lunedì 20 ottobre 2014

I voli dell'anima


                                                     I VOLI DELL'ANIMA 

                                           MARC CHAGALL

" Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa; essa vede la mia tristezza e la mia solitudine, ma non vi sono case, furono distrutte durante la mia infanzia, i loro inquilini volano ora nell'aria in cerca di una casa, vivono nella mia anima"  Marc Chagalll, Autobiografia ( Ma vie, 1922 )

" Mio padre aveva gli occhi azzurri, ma le sue mani erano piene di calli. Osservai le mie mani. Erano troppo delicate...dovevo cercare un'altra occupazione che non mi costringesse a voltare le spalle al cielo e alle stelle e che mi consentisse di trovare il senso della mia vita", Marc Chagall, Autobiografia, Ma vie, 1922 

" Si ama veramente soltanto quello che si rischia di perdere", Leone Tolstoj 



Marc Chagall, La passeggiata, 1917.18, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo 
«Non muoverti, resta dove sei…».Non riesco a stare ferma. Ti sei gettato sulla tela che vibra sotto la tua mano. Intingi i pennelli. Il rosso, il blu, il bianco, il nero schizzano. Mi trascini nei fiotti di colore. Di colpo mi stacchi da terra, mentre tu prendi lo slancio con un piede, come se ti sentissi troppo stretto in questa piccola stanza. Ti innalzi, ti stiri, voli fino al soffitto. La tua testa si rovescia all’indietro e fai girare la mia. Mi sfiori l’orecchio e mormori…” Belle Ronselfeld, moglie di Marc Chagall, Memorie ( Come fiamma che brucia, Roma, Donzelli, 2012 )


Marc Chagall, Il Compleanno, 1915, Moma, New York

" Non voglio essere simile agli altri, voglio vedere un mondo nuovo" Marc Chagall






                                                  Marc Chagall, Sopra la città, 1914-18,  Galleria di Stato Tretjakov, Mosca



Nel suo eccezionale Lezioni Americane, a proposito della Leggerezza, Italo Calvino cita una battuta del Romeo e Giulietta di Shakespeare, quando Mercuzio entra in scena per contraddire Romeo che mesto ha poco prima affermato di sprofondare sotto un peso d'amore : " Tu sei innamorato: fatti prestare le ali da Cupido e levati più alto di un salto". L'amore è leggerezza, chi ama sembra quasi superare la forza di gravità, danzare, innalzarsi, levarsi in alto con un salto. Mercuzio definisce il suo modo di interpretare uno stato d'animo e lo rappresenta all'angosciato Romeo. L'amore è sempre un distacco dalle cose del mondo, dagli altri, dalla terra; un proiettarsi nel sogno, una fuga in alto, lontano. Marc è un giovane pittore ebreo squattrinato in cerca di fortuna; la sua famiglia di professione rigorosa hassimita, è povera e il padre non vede d buon occhio le scelte del figlio che pure ha fatto studiare in una scuola russa e non ebraica. La religione che professa la famiglia, se pure meno rigorosa del giudaismo ortodosso e volta al riconoscimento ottimistico delle cose quotidiane e di dio in esse, non concepisce la figurazione, la riproduzione delle immagini del mondo e per nulla quelle del sacro.Ma Marc ha spirito laico, voglia di vivere e di imparare. Ha 25 anni e progetta di allontanarsi dalla sua città natale Vitesbek, in Bielorussia occidentale, dove è nato nel 1887, dove pure ha vissuto una felice infanzia rivissuta pienamente nei suoi sogni di adulto; vuole recarsi a Parigi, la metropoli della modernità, della cultura, della grande arte. Intanto riesce a trasferirsi a Pietrogrado e a frequentare la Scuola di belle arti dove impara a disegnare e a dipingere. Nel 1909 conosce Belle Ronsfeld, anch'essa è di Vitesbek, ma di altro ambiente e disponibilità economica. Figlia di una ricca famiglia di commercianti ebrei di oro e gioielli che hanno botteghe sulle rive del fiume. Belle ha 15 anni,  bellissima, il pittore se innamora, ricambiato, immediatamente. Con lei si reca a Parigi nel 1913 dove frequenta la comunità artistica di Montparnasse, gli impressionisti, i fauves, i cubisti; conosce Apollinaire, Léger e il cubista orfico Delaunay, da cui ricava uno stile analitico cubista che si completa con la policromia armonica e musicale delle forme unite ai colori. Nel 1914 ritorna a Vitesbek; l'anno successivo sposa l'amatissima Belle con la quale resterà sino al 1946 quando la donna morirà a seguito di una infezione virale. L'amore come volo, come leggerezza, come felicità assoluta è cantato nelle sue tavole dai colori chiari e caldi. L'amore come espressione intensa dell'anima, come vibrazione di sensazioni uniche che possono essere sentite soltanto dalla coppia distaccata ed estranea al mondo. In Passeggiata una diagonale unisce i due amanti, in alto la prima metà è il braccio della donna vestita di rosa, in basso la seconda metà è il braccio dell'uomo vestito di nero. A fianco a questa diagonale contrastante ma unita e doppia, due perpendicolari, una in alto è il braccio in rosa di Belle che sembra quasi sfuggire fuori del dipinto; in basso il braccio di Marc che punta verso il basso : il cielo e la terra. Due direzioni che si uniscono nello stato intimo di un'anima sola. La città è Vitesbek, tutta in verde, il colore della speranza, della giovinezza, della saggezza. Edifici, campi, il letto del fiume, ricavati dalle forme geometriche armonizzate nell'unica tinta, sono espressione non di ciò che è, non di quello che si vede, sono espressione di uno stato d'animo. La tovaglia rossa della dejeneur, con i fiori, la bottiglia, il bicchiere, non hanno nulla di realistico, di impressionistico, sono le forme, il colore di un momento intimo, di incontro già vissuto. Il cielo sopra la città è bianco latte, un cielo russo, un cielo freddo, ma è come se il freddo non si sentisse, come se fosse estraneo e lontano rispetto alla coppia. Degli edifici che vediamo solo uno non è verde, ma rosa, ha lo stesso colore anche se più tenue dell'abito di Belle. è un edificio sacro, indica spiritualità. Un luogo dell'anima. Il Compleanno  mostra un attimo d'intimità : Belle ha comprato dei fiori per celebrare il compleanno dell'amato, li sta sistemando quando ecco, come un miracolo, come in un sogno, il suo amante si libra in aria e compie un gesto acrobatico e impossibile per baciare l'amata. Quando si ama nulla diventa impossibile, tutto è praticabile, anche il superamento dei limiti gravitazionali, anche le improbabili contorsioni che Chagall aveva visto al circo o nelle fiere del paese. La coppia si trova in uno spazio senza confini in  un tempo senza limiti. Il colore del pavimento non è separato da quello della parete, il tappeto che dovrebbe stare in orizzontale è in verticale. I due vorrebbero oltrepassare i limiti angusti della stanza, aprirsi all'esterno, volare fuori e volteggiare sulla città, ma il bacio esaurisce altri desideri, completa ed unisce e allora non vi è altro. Sopra la città la coppia unita e abbracciata vola sopra gli edifici, nel cielo bianco. In basso le case grigie, i giardini verdi, la sinagoga violacea, le strade e le piazzette vuote. Non ci sono anche qui persone: la coppia basta a se stessa, vive in se stessa; il prossimo diventa superfluo. Il verde di lui si accoppia all'azzurrino di lei. L'unità degli opposti, l'unità dell'amore. 
                Nel folklore russo, nella fiaba popolare dei racconti di fate e di magia, studiate da Vladmir Propp e pubblicate da Afanasev, il volo è spesso presente. L'eroe attraversa l'aria, viaggia attraverso lo spazio; riceve il dono di un oggetto volante dal'aiutante magico, se ne serve per sorvolare a città. Il tappeto volante, ancora prima che nelle Mille e una notte , che Chagall illustrò a New York, è presente nell'antico folklore russo e dunque Chagall ne aveva una informazione di antica data. La funzione del volo, che è una delle funzioni essenziali della Morfologia della Fiaba studiata da Propp, è una funzione ricorrente in molte fiabe: grazie ad essa l'eroe sposa la principessa ( in una fiaba chi riesce a costruire un vascello volante sposerà la figlia del re ) , può fuggire con la donna amata, può unirsi a lei, può risolvere una situazione, può contemplare la città dall'alto come Aladino a Bagdad. Un personaggio volante tipico del folklore russo è la strega Baba Yagà che vola in un mortaio usando il pestello come remo-timone; ora cattiva, ora buona, ora spauracchio dei bambini, ora loro amica, ha qualche parentela con la befana e con la strega occidentale. Nelle fiabe russe è molto presente ed è un riferimento favolistico per l'immagine della donna in volo.
                Oltre alla verticalizzazione, allo slancio, al volo, ha importanza, nella poetica figurativa di Chagall l'inversione, il sottosopra, l rovesciamento. Nei dipinti gli animali, gli uomini, lo stesso pittore, gli oggetti, gli edifici, i musicisti, le donne, i rabbini, sono talvolta mostrati rovesciati o in pose di ribaltamento e di contorsione che sono tipiche del mondo circense, che Chagall aveva appassionatamente frequentato come spettatore da bambino. Il mondo rovesciato è un cambio di prospettiva, è un guardare con un altro sguardo, meno oggettivo ma più interiore ed intimo. Il volo e il rovesciamento sono aspetti che ritornano in molti dipinti e mostrano un altro mondo, quello che si vede con gli occhi della mente e dell'anima: il mondo alterato nelle forme e nei colori , in ciò che si vede e in ciò che si sente. All'arte, per Chagall, non interessano le convenzioni, non la realtà così come si vede, ma interessa andare a guardare oltre l'apparenza, scrutare ciò che ad un primo momento non si vede, guardare nell'anima. E' possibile che Chagall abbia guardato alle carte da gioco francesi, all'immagine della figura doppia e rovesciata ( Il Re, la Regina, il Fante ), ma è possibile che si sia rifatto anche all'arte dei tarocchi, o meglio alla loro raffigurazione popolare ( ma anche artistica; conosciamo i Tarocchi dipinti, da Mantegna ). Ad esempio a certe immagini di sotto in su come l'Appeso, che guarda il mondo dall'alto in basso,  sorretto dalla corda che lo stringe ai piedi. Il mondo è dunque quello che si vede in equilibrio precario, a rovescio, in una condizione di perenne precarietà. E l'uomo sembra essere sopra i tetti della città e il suo piegarsi all'indietro con il peso della testa che potrebbe precipitare diventa una curvatura impossibile e possibile allo stesso tempo : è come se a sorreggerlo fossero l'anima e lo sguardo che gli occhi spalancati uniscono al cielo ed alle stelle. L'uomo, forse un autoritratto dello stesso pittore, si liberato, in quella posizione del peso corporeo, del peso delle convenzioni, del peso della sua interiorità. Il rovesciamento non è solo un ribaltamento di prospettive e di sensazioni, è la scoperta di un nuovo modo di vedere e di sentire. Nel dipinto anche la firma è capovolta cosicché ci viene il dubbio s quale possa essere la disposizione giusta del dipinto, ma anche la posizione giusta del mondo, quale sia la realtà e quale l'apparenza. Il mistero dell'uomo bianco e del cielo blu è il mistero stesso dell'arte, di un'arte che si apre al surrealismo, come del resto aveva intuito André Breton. Ma che nonostante questa apertura resta se stessa, unica e inimitabile.     


    
                                 
                              Marc Chagall, Il pittore con testa rovesciata,Museo nazionale Marc Chaall, Nizza  


Volo e rovesciamento sono presenti, come metafore oniriche, in quei dipinti che rievocano l'infanzia. L'infanzia del pittore è stata felice, ricca di scoperte e di sensazioni a contatto con il mondo piccolo, contadino della sua città dove tutto è vario, semplice, colorato, sentito come se apparisse per la prima volta e vissuto in un insieme apparentemente disordinato di forme, geometriche, colori brillanti, sensazioni vibranti. Tutto è in movimento senza avere una direzione, un senso: animali che volano, oggetti rovesciati, tetti sottosopra, strade che si intrecciano e si perdono che non hanno un piano, una forma, una direzione, vallate e colline viola, marroni, rosse,blu. Ha scritto Chagall che siamo la nostra infanzia, che tutto ha origine e fine in quella: scoprire l'infanzia è dunque scoprire noi stessi, ciò che siamo stati e ciò che siamo. L'immaginario dell'infanzia non è dunque cosa che possiamo ri-vedere, ma che possiamo solo ri-viverla in noi, attraverso il ricordo, la rimembranza, come diceva Leopardi.


                         
                                                  Marc Chagall, Io e il mio villaggio, 1911, Moma, New York 
                         
Io e il mio villaggio è realizzata durante il primo periodo parigino e risente de cubismo orfico di Delaunay, la divisione degli spazi colorati segue un criterio di armonia, di accordo geometrico-musicale. Due grandi profili si guardano il pittore col viso verde a destra, una mucca bianca, rosata e azzurra a sinistra. Il pittore guarda stupito il proprio passato e lo vede come se lo vivesse in quel momento. Dentro la testa della mucca una donna munge una mucca: un ricordo dentro un ricordo. Sul fondo edifici ritti e rovesciati, con la punta del tetto che tocca la terra e de contadini, lui con la zappa sulla spalla è ritto, lei con la gonna turchese è rovesciata. Al centro mezzelune, mezzi cerchi, onde di vari viraggi dal rosso al bianco sono una strada e na striscia immaginaria di passato, in basso il triangolo contiene la pianta che si solleva sino alla bocca della mucca che potrebbe mangiarla. Una visione onirica proiettata in un luogo che non ha confini di tempo e di spazio: un luogo dell'anima. L'infanzia passata al suo paese ritorna attraverso i ricordi sparsi e non concatenati delle botteghe, del fiume, delle feste, delle ricorrenze, delle funzioni religiose, delle nascite, dei funerali, dei violinisti, dei bambini, de rabbini, degli animali. Un intersecarsi di ricordi che non hanno fine, che continuano ad agitare allegramente la mente del pittore adulto: abbiamo tutti origine dalla nostra infanzia.
Un'altra grande fonte di ispirazione per Chagall è la Bibbia, il grande codice figurativo e letterario della civiltà occidentale. Tutte le epoche cristiane hanno raffigurato la Bibbia, si sono specchiate in essa. I motivi della Bibbia sono diventati i temi di riflessione preferenziali, le interrogazioni della coscienza, la misura dell'esistenza e della bontà di dio nel mondo. Di Bibbia, quella in lingua yidish, si è sempre parlato in casa Chagall e da bambino e da adolescente il pittore aveva imparato a conoscerla piuttosto ampiamente e intensamente.  Ha scritto Mircea Eliade che " Chagall ha riscoperto il mistero e il carattere sacro della natura, primitivo e materno: un luogo in cui un uomo e un animale vivono insieme, in pace, sotto l'occhio di dio e sotto una grande luna, come era al momento della creazione."  Ed infatti la raffigurazione biblica espressa da Chagall ( anche se in genere vale per tutta la sua opera ) è proprio in questa immagine primitiva, materna e sacra dove si manifesta dio. Come abbiamo detto la religione ebraica di tipo hassisita, professata dal pittore, è una religione aperta alla comprensione del popolo e la lettura biblica non ha bisogno di interpreti rabbinici, bensì di una lettura semplice ed immediata della gente comune.  Un detto hussisita dice: "ciò che è determinante non è che dio è, ma tutto ciò che è, è insito in dio". Tutto ciò che ci circonda, che vive intorno, a noi è espressione di dio. Per rappresentare la Bibbia Chagall ha tenuto bene a mente questi aspetti e li ha applicati quando ricevette l'incarico di illustrarla dal mercante Ambroise Vallard. Si trattava soprattutto di attingere ad una tavolozza ricca di tutti i colori possibili che potessero esprimere sensazioni interiori. Ha scritto lo stesso pittore che non ha illustrato la Bibbia leggendola, ma sognandola. Le figurazioni, dunque, non sono illustrazioni delle storie, ma sono immagini che vengono dal suo mondo onirico. Nella rappresentazione dei soggetti biblici ( oggi sono conservati al Museo Nazionale di Nizza ), il pittore si è rifatto anche alla propria infanzia, sognata e colorata; in questo modo la Bibbia non è un libro chiuso, per iniziati o per lettori colti, ma è il libro di tutti e raggiunge un significato universale nella sua semplicità di comprensione e nella sua rivisitazione sognata.
              Il volo, l'idea del volo, il sogno del volo, che spesso abbiamo visto così presente nell'opera del pittore, ritorna anche nella Bibbia: Mosè, per ricevere le tavole dei X Comandamenti sul Monte Sinai sembra innalzarsi in volo verso dio. E questo rapporto dell'uomo con dio è un rapporto che si ha al di là della concretezza e della pesantezza della realtà: è la leggerezza ( una leggerezza colorata ) che unisce al trascendente.

               
                                      Marc Chagall, Mosé riceve i X Comandamenti da dio, Museo Nazionale, Nizza



Dei libri della Bibbia Chagall  riserva particolare attenzione al Cantico dei Cantici , libro dell'amore passionale ed erotico, ricco di metafore figurali che non potevano non colpire il pittore. Le tavole sono realizzate dopo la morte dell'amata Belle e il nuovo amore molto più giovane di lui che lo riconciliano con la vita e gli fanno superare il nero periodo di depressione. A favorire la riscoperta della vita, della felicità e dell'amore è anche la fine della Seconda Guerra Mondiale, l'entusiasmo per la ricostruzione. Nella tavola dominata dal colore femminile per eccellenza, il rosa, ma anche carico di sensualità ancor più accesa dal morbida nudità, la Sposa è adagiata nuda in un letto di foglie ricavato dalla palma, simbolo di purezza, che si è piegata per lei. Da un lato è il re David con ali che aleggia sopra il trono di re Salomone e protegge la Sposa.

   Chagall - Cantico dei Cantici II (Song of Songs II)
                           Marc Chagall, Il Cantico dei Cantici, c. 1954, Museo Nazionale Marc Chagall, Nizza.


In basso la città di Gerusalemme che è quasi coperta, in  alto dalla palma che, però, non ha alcun rapporto con la città, ma è solo in rapporto alla Sposa che sembra addormentata in un sogno felice. Proprio sotto di lei lo Sposo ( anche il solo volto dello Sposo ) che guarda lontano, ma oltre la Sposa, quasi estraneo a lei o, forse, impossibilitato a raggiungerla. Forse Chagall nella Sposa ha raffigurato Belle, la moglie amata e morta che ora può solo sognare, anche ad occhi aperti, senza poterla più raggiungere. Ma soprattutto la tavola è un'illustrazione di un sogno d'amore passionale, vero ed intenso, mosso da queste ondate di rosa che si muovono sinuose intorno al corpo nudo e sovrastano la città santa  ed i suoi simboli. 
                   Ma torniamo al tema del volo. Due personaggi singoli accendono la fantasia di Chagall, entrambi direttamente connaturati alla tradizione ebraica: l'ebreo errante e il violinista. L'ebreo errante è ripreso da una leggenda medievale cristiana: quando Gesù si caricò la croce sulle spalla e si avviò al Monte Calvario, incontrò sul suo cammino la bottega di un ciabattino ebreo che appena lo vide, senza riconoscerlo ( o senza sapere chi fosse, se non un comune condannato ) lo invitò ad andare più svelto. Per questo motivo il ciabattino, per non aver aiutato Cristo e per averlo umiliato, fu costretto a vagare in eterno ( almeno sino al ritorno di Cristo sulla terra ), da una terra all'altra senza potersi mai fermare in nessun luogo, scacciato da tutti. Da una parte la leggenda era usata dalla propaganda cattolica per additare gli Ebrei quali persecutori di Cristo e quindi degni di essere allontanati, rifiutati, cacciati; dall'altra invece venne usata dalla propaganda ebraica come simbolo della persecuzione contro gli Ebrei e della Diaspora. Chagall ha immaginato in due modi l'ebreo errante, in una è visto come un pellegrino, in un'altra è un'ombra che vola sopra la città che nessuno vede, ma che è presente con i suoi occhi aperti e profondi che trascendono la realtà circostante.




Marc Chagall, Sopra Vitesbk, 1914, Art Gallery of Ontario, Toronto.


La città è ammantata di neve, vuota, silenziosa. I campi di neve che contemplano anche degli usci bui nella muraglia, quasi degli ingressi occulti, sono formati da un insieme di composizioni geometriche, rettangoli, mezzi cerchi, trapezi, triangoli che delineano una strana struttura bianca e grigia che non definisce uno spazio determinato, ma alterato, strano, irreale. L'unica cosa reale, sopra ai capi è la staccionata verde e il muro bruno, da cui escono alberi carichi di neve. Nella zona della geometria fantasmagorica, nulla può essere retto, ordinato, nemmeno il lampione che è fortemente inclinato: ogni cosa qui dà il senso della precarietà, della provvisorietà, dell'instabilità. Alle spalle della staccionata si erge gigantesca e fiabesca la sinagoga formata da mure alte gialle, ocra,marroncine e sormontate da cupole a specchio viola; si vedono anche pinnacoli bruno e sfere violacee. Non vi è rispetto delle proporzioni l'edificio a sinistra, la casa geometricamente e realisticamente più delineata e che indica la tranquillità domestica è alta quasi la metà della sinagoga; la città ha delle casette da paese dei balocchi, da paese fatato con le cupoline azzurre e verdi che si distacca dietro i tetti in primo piano imbiancati. A distaccare il colore bianco del tetto e del campo è la parete rossa della casa al centro che non ha una chiara disposizione formale ma sembra come una giustapposizione di due forme colorate: il tono è ancora incantato. Solo in un luogo così può passare come un'ombra l'inquietante figura dell'ebreo errante così grande e così fiabesca. E' vestito come un viandante, come un pellegrino, uno straniero apolide, con il bastone, il pastrano nero, il sacco grigio sulle spalle, il cappello e la barba. L'ebreo non si sa da dove venga, né si sa dove vada. Nessuno viene fuori a guardarlo passare; è come un sogno o come la materializzazione onirica della sua leggenda, della fiaba raccontata ai bambini davanti al fuoco. E' la condizione precaria degli esseri che non hanno un luogo dove fermarsi e camminare insieme agli altri; ma debbono vagare solitari e rifiutati senza essere mai della città, ma guardando la città dall'alto, senza mai scendere, nemmeno per morire. 
                 Un'altra immagine leggendaria è quella del violinista sul tetto. Ci sono molti dipinti di varie cromie con questo soggetto particolarmente caro a Chagall. Il violinista è tipico della cultura della festa ebraica: ai matrimoni, alle riunioni, alle nascite, agli incontri del mercato, nelle vie, nei bazar, nelle piazzette, nelle botteghe, i violinisti sono sempre presenti; allietano con la loro musica e soprattutto accompagnano con la loro musica. Il violinista per il pittore è una figura importante: nella sua famiglia, lo zio era violinista e lui l'aveva spesso visto mentre suonava e lo aveva seguito: nel 1911, una delle prime immagini vede il violinista con un bambino che chiede l'elemosina in mezzo alla strada. Figura di precarietà, di miseria, ma mai triste, come non è triste la melodia che egli lascia. Che vi sia un contesto felice e domestico lo dimostra la coppia abbracciata sul fondo. Ma il violinista è spesso visto sul tetto delle case e questo perché egli, così , è metafora della condizione di precarietà in cui sono costretti a vivere quotidianamente gli ebrei.




                     
                                                      Marc Chagall, Il violinista, 1912-1913, Stedelijk Museum, Amsterdam 


Il violinista è una figura abnorme che sovrasta la città , una figura leggera e allo stesso tempo quasi monumentale e comunque carismatica: i tre ometti con le teste in verticale sovrapposte guardano in alto via via attirati dal suono, dalla melodia cercano il violinista sui tetti senza vederlo. Il violinista ha un abito bianco come la neve dei campi e marrone a righine come la cupola specchio della chiesa ortodossa; anche il violino è bicromatico : arancione e giallo e persino l'archetto, bianco e marroncino, tutto indica il non definito, il provvisorio, l'irrealistico, il meraviglioso, il favolistico. Si guardi a destra il delizioso alberello con la chioma blu con gli uccelli bianchi, colombe della pace. Il violinista ha il viso verde. E' il colore del riconoscimento per lo stesso pittore che molto spesso si dipinge la faccia di verde, il colore della speranza e della saggezza. Ed ha la barba blu che fa da corona, da completamento al volto; sulla testa il cappello rosa completa l'abbigliamento strano e inverosimile come inverosimile è la stessa figura. Sul fondo aleggia una strana figura ocra, una specie di presenza messianica, una specie di richiamo che il violinista non vede e continua invece a suonare solitario sopra la città e sopra il mondo ( lo spazio verde, bianco e giallo, in basso è semisferico ). Chagall diceva spesso che la sua pittura era come una finestra da dove egli guardava un mondo altro, diverso, un mondo creato dall'artista. Da questa finestra tutto diventa possibile, anche l'impossibile: è la finestra della figurazione magica, dei colori irreali, della dimensione favolistica, è la finestra del sogno di noi tutti che cerchiamo nella realtà altra, diversa dalla nostra, la nostra anima.

Bibliografia: 

Lionello Venturi, Marc Chagall, Skira, Milano, 1967
Bool-Teschova Jacob, Marc Chagall, Taschen, Berlin, 1998, vers. italiana
Viktor Misano, Chagall, Art e Dossier, Giunti, Firenze, 2009
Michele Dantini, Marc Chagall, Ar e Dossier, Giunti, Firenze, 2014
Metzgen Rainer Walther, Marc Chagall, Taschen, Berlin, 2012    
Federica Tammarzio, Amore e musica nell'opera pittorica di Marc Chagall, Firenze libri, 2006  
AA.VV. Chagall e la Bibbia, 2004.

Attualmente al Palazzo Reale di Milano è in svolgimento una grande mostra retrospettiva su Chagall curata da Claudia Zevi e Meret Meyer, in allestimento sino 1 febbraio 2015. Per i biglietti www.ticket.it/Chagall.  


 

            
   

domenica 12 ottobre 2014

la vita blu




                                             LA VITA BLU

                                                                        PABLO PICASSO
                            

                                                  LA VITA


       
Pablo Picasso, La vita, 1903, The Cleveland Museum, Cleveland

" L'arte è figlia della tristezza e del dolore", Picasso

            Picasso affermò di aver cominciato il suo periodo blu dopo aver saputo della morte del suo carissimo amico pittore, spagnolo come lui, Casagemas. Carl Casagemas condivideva con Picasso una vita bohémien fatta alquanto di stenti, privazioni, tristezza per le condizioni in cui erano costretti a vivere gli emigranti; sebbene questo aspetto, pure important,e non impediva a Picasso ed hai suoi amici di godersi la vita fra bordelli, bevute di assenzio, divertimenti notturni. L'amore aveva distrutto la vita di Casagemas perdutamente innamorato di una ragazza parigina, orgogliosa, capricciosa, piena di vita. Costretta la ragazza a scegliere se abbandonarlo o sposarlo, Germaine Gallo, questo era il suo nome, rispose con un netto rifiuto provocando la immediata reazione del pittore che si presentò in n locale di mescita con in tasca una pistola. ppena vide Germaine Carles puntò l'arma su di lei e fece fuoco. Credendo di averla colpita ( ma in realtà si era nascosta sotto un tavolo e il proiettile l'aveva solo sfiorata ) Casagemas si sparò alla testa e morì. La vicenda gettò nello sconforto Picasso, che era fuori Parigi e ebbe la notizia in ritardo; a lui era molto legato e la fine dell'amico lo catapultò in un forte stato malinconico-depressivo. La morte di Casagemas, del 1901, testimonia di questo stato d'animo.


Pablo Picasso, La morte di Casagemas, 1901, Musée d'Art moderne de la Ville, Paris
Come possiamo vedere dal dipinto tanto il volto ( su di una prima coloritura giallognola, come sul lenzuolo mortuario, ma anche sul bordo della cassa e nel fondo piatto, vi è una dominante di tinte bluastre. In un altro dipinto dello stesso periodo, Il seppellimento di Casagemas, chiaramente ispirato a El Greco de Il seppellimento del conte di Orgaz, mostra come nella composizione drammatica il colore blu segni in modo significativo il senso della morte e della disperazione, conferendo ala scena un qualcosa non solo di tragico, ma anche di spirituale e di immobile, di profondo freddo silenzio.


Pablo Picasso, Il seppellimento di Casares, 1901, Musée d'Art moderne de la Ville, Paris
Il dipinto si sviluppa in verticale e si divide in due zone : la terra verde marrone e il cielo blu; ma possiamo vedere come sul cadavere avvolto nel lenzuolo domini una colorazione bluastra ce diventa più intensa e luminosa sul giaciglio e nel fazzoletto che asciuga le lacrime della donna inginocchiata a sinistra. Ed il blu ad ondate è anche in cielo, sul manto del cavallo, nelle vesti delle genti in basso, nel disperato richiamo dell'amore e della vita perduti, nella fuga allegorica e paradossale dell'artista circondato da prostitute.  La colorazione blu per Picasso allude alla malinconia, alla tristezza, alla povertà, al dolore, alla morte. Vi è un senso gelido, come se il colore vibrasse freddo ed un profondo silenzio: il periodo blu comunica o invita al silenzio; nessuna voce, né un sussurro, né un alito di vento. Anche nello spazio chiuso di una stanza, il blu invade, penetra, sta più nella nostra anima che sulle pareti. In questa stanzetta angusta non dissimile da quella dipinta da Van Gogh ispirandosi alla sua stanza ad Arlès, con un poster di Touluse-Lautrec a destra, ed una marina di Barcellona dello stesso Picasso a sinistra; ed un nudo di donna di rimo piano chiaramente ispirato ad un nudo di Degas, non ci sentiamo in un luogo intimo, ma ci sentiamo quasi respinti, distanziati e, allo stesso tempo emotivamente coinvolti : il blu della triste consapevolezza della solitudine.

Pablo Picasso, La stanza blu, 1901, The Philips Collection, Washington.
 La luce che penetra dalla finestra colpisce la donna bionda che si sta lavando su una fascia ristretta di capelli e su larga parte del corpo bianco. E' una luce discreta, silenziosa anch'essa, che penetra in uno spazio povero e, nonostante i pochi oggetti, vuoto. Di recente i raggi X hanno rivelato, dietro l'immagine la figura di un uomo barbuto in seguito cancellata. L'ipotesi più probabile è che si tratti del mercante d'arte Ambroise Vollard, per il quale il giovane Picasso parigino ( il suo vero nome catalano era Ruiz ), aveva dipinto la marina di Barcellona  che vediamo nel quadretto a sinistra, a fianco al poster di Toluse-Lautrec. La curatrice della collezione, Susan Behrends Frank ha sottolineato come Picasso, trovandosi n quel periodo in una condizione di semi povertà e non potendosi permettere l'acquisto di una nuova tela ( non di rado il giovane artista era costretto ad usare il cartone in luogo delle costose tele ) , avesse usato una tela già compiuta, forse un ritratto del mercante, per realizzare il nuovo quadro. Dunque, al dolore per la perdita dell'amico, alla conseguente solitudine al senso di malinconia e scoramento, si aggiungeva anche il senso di precarietà quotidiana, che non era solo quello che poteva osservare per le vie dei sobborghi e mercati parigini, o nelle stanze dei bordelli, o nelle vie illuminate dai fanali a gas della effimera vita notturna intorno al Moulin Rouge descritta da Toluse-Lautrec, ma anche quello che coinvolgeva lui stesso alle prese con le difficoltà della vita quotidiana. Fra il 1902 e il 1904, fra Barcellona e Parigi Picasso delinea la sua poetica del blu arrivando all'uso di un monocromo assoluto, vale a dire che l'opera è realizzata con delle variazioni di gamma cromatica del colore blu, dalla più chiara alla più scura, dalla più leggera alla più densa. Il blu è utilizzato nelle figurazioni della miseria, della tristezza, della solitudine umana. I relitti della città sono visti come se il pittore si mettesse davanti all'occhio un filtro blu e guardasse interamente il corpo umano attraverso quella luce filtrata. Vive, quasi in simbiosi simbolica, insieme al blu della malinconia, della miseria e della freddezza, l'immagine del personaggio cieco. La cecità nella tradizione classica è associata ad una mancanza, ad una volontà di errore, ad un peccato. Tiresia, per aver visto le nudità della dea Atena venne privato della vista. Ma la cecità è anche associata alla capacità profetica, alla divinazione. Zeus per compensare la punizione inferta a Tiresia, gli donò la divinazione. Il cieco vede con la mente. E' una guida dell'anima. Vediamo il Vecchio cieco con ragazzo, del 1903. La monocromia del blu conferisce un senso accentuato, tragico e commovente, alla miseria e distacca la dimensione interiore del tragico, dalla dimensione esteriore del reale. Il vecchio e il ragazzo non si trovano in un luogo fisico determinato, si trovano in uno spazio dell'anima, dove il colore fornisce il senso di un tragico superiore, quasi spiritualizzato.


Pablo Picasso, Il vecchio cieco e il bambino, 1903, Museo Puskin, Mosca 

Se guardiamo l'immagine qui sopra, notiamo come l'inclinazione delle teste, di quella bassa del bambino e di quella alta dell'uomo è la stessa; anche il copricapo segue la stessa inclinazione: si tratta dell'inclinazione della medesima miseria, della stessa tragica alienazione ed estraneità a tutto ciò che è spazio fisico ( è assolutamente assente la definizione della dimensionalità ); Il blu sembra colorare su tutto, ma allo stesso tempo il blu tira fuori i segni reali ( nella irrealtà del luogo ) della miseria assoluta, di una miseria che unisce l'uomo a Cristo: guardiamo il piede scheletrico del cieco posto in primo piano, sembra quello del piede di Cristo inchiodato alla base della Croce. Del 1903 è anche Il vecchio chitarrista . Quello che colpisce qui è la posizione orizzontale della testa del vecchio che si piega definitivamente alla vita e che contrasta con la linea ritta diagonale, che passa attraverso la chitarra, lo strumento che gli serve ancora e miseramente per vivere e che ripete la linea, sempre diagonale, che va dalla punta della spalla alla punta del gomito, indicando come allo strumento per la vita corrisponda una vita oramai distrutta, alla fine, deprivata, misera. I viraggi del blu qui sono di una gamma molto vasta. L'unico colore estraneo, ma non fuori posto, è il marroncino della chitarra



Pablo Picasso, Il vecchio chitarrista, 1903, The Art of Institute, Chicago
E' il colore  del suono, il colore dell'utilità. Guardiamo la mano scheletrica sopra le corde; le dita non toccano le corde, non sono impostate: il vecchio non può più suonare a memoria in quanto cieco come faceva prima perché le forze lo hanno abbandonato? Il vecchio sta su un marciapiede alle spalle di una finestra. Le gambe, in basso, sono incrociate con due diagonali opposte che formano nella parte inferiore una curva che ripete quella alta della chitarra e si oppone a quella contraria della parte bassa della stessa. Si tratta di opposizioni che suggeriscono l'armonia di un suono triste, di un lamento appena sussurrato nello spazio ristretto e freddo della miseria urbana. Nel 1904, è la volta di Celestina a caratterizzare come figura singola monocroma il dipinto. Non è noto chi fosse Celestina, si è ipotizzato che si trattasse di una mezzana, una  ruffiana di un bordello parigino o catalano, una certa Carlotta Valdivia, certamente spagnola che era cieca da un occhio. Il tema della cecità, dunque ritorna anche con la Celestina. Il colore qui è ancora più scuro, è un blu notte, un blu che è quasi nero, un colore da lutto. In Spagna erano le donne a comunicare al parentado un lutto, erano le donne che lavavano e vestivano i cadaveri, che li vegliavano, da qui l'associazione della donna alla veglia funebre e alla morte. Ricordiamo però che Celestina , in spagnolo ha due significati prevalenti, appunto mezzana o ruffiana e mammana, cioè colei che favorisce o procura aborti. Inoltre, il termine sta ad indicare la tenutaria dei bordelli. La sfera semantica, dunque, è intorno alla interruzione della vita e al piacere ( lo favorisce e lo controlla e lo protegge ). Va anche detto che in lingua spagnola il termine indica colei che protegge, una protettrice ( dal male, dal malocchio; ma anche una che protegge la vita esorcizzandola con una funzione contraria che è quella di dare la buona morte.



Pablo Picasso, La Celestina, 1904, Museo Nazionale Picasso, Parigi
L'immagine è inquietante, Celestina è come una parca, la parca Lachesi che taglia il filo della vita. Il fondo piatto è blu, mentre questo colore nelle varianti più chiare è presente fra i capelli, nelle pieghe del volto e in quelle della veste, della mantella che indossa. Il soprabito con cappuccio, una specie di cappa nera, accentua questo sesno d freddo smarrimento, di sottile angoscia che serpeggia in chi la guarda. Le labbra strette accennano ad un tiepido sorriso, mentre colpiscono i due grandi occhi: quello sveglio, aperto e pieno, con la pupilla sveglia e volitiva; quello spento bianco, smorto. Celestina è cieca e fa della sua menomazione non  una mancanza da nascondere, ma anzi come un'affermazione del sé interiore: essa ci comunica la sua freddezza, il suo gelo interiore, la sua indifferenza nei confronti della vita. La figura cade a piombo, in una precisione geometrica che unisce la punta del cappuccio al collo scavato alla piega diagonale della mantella. La luce è frontale è in un attimo rivela il carattere determinato, freddo e indifferente della donna dei morti, della guardiana del piacere : ancora Eros ( così importante è la dimensione erotica nell'arte e nella vita di Picasso ) e Thanatos ( la morte sempre in agguato ). In Poveri in riva al mare , del 1903, venne dipinto a Barcellona quando Picass era assiduo frequentatore dei circoli anarchici della città e in particolare  del Cabaret Els Qatre Gat . L'opera evidenzia il Picasso accademico, quello che si richiama ai riferimenti fondanti dell'arte classica. Si veda la donna di spalle in primo piano che ha una posa e una consistenza della figura di tipo giottesco ( sull'esempio delle donne evangeliche agli Scrovegni dove sono anche i monocromi allegorici ) e poi l'insieme delle tre figure ( qui Picasso blu aumenta a tre il numero dei personaggi , come sarà anche in Vita ) presenta una impostazione di Sacra Famiglia reinterpretata in chiave moderna.


Pablo Picasso, Poveri in riva al mare, 1903, attualmente alla National Gallery of Art di Washington

Nel dipinto fortemente segnato dalla monocromia blu che conferisce un senso di freddezza ulteriore ad un gruppo malnutrito e malvestito in inverno a pieni scalzi e sulla spiaggia ( l'uomo è intirizzito dal freddo e la donna si copre con lo scialle, mentre il agazzin cerca conforto e quasi un aiuto ) e di malinconia e  solitudine. Aspetti che sono dati anche dalla disposizione geometrica delle figure e del paesaggio ( linee orizzontali, il mare e la spiaggia si contrappongono alle linee verticali dei personaggi ) e dal loro valore simbolico: le linee verticali formano figure strette e smagrite che indicano la miseria e la fame, quelle orizzontali indicano un o spazio piatto e freddo, come un'unica lastra  di ghiaccio; il terzo spazio è quello della verticalità di un cielo incombente che cade come un'altra lastra gelida sulla natura silenziosa, malinconica, tragica e invernale. E tuttavia questa famiglia di poveri isolati, abbandonati a se stessi, evidenzia una intima sacralità : gli ultimi della terra in un luogo abbandonato da dio e dagli uomini, ritrovano l'intimità della famiglia, un calore interiore che sanno di avere e di sentire nell'intimo ma che quasi hanno pudore a condividere ( nessuno guarda l'altro perché la miseria, la solitudine, il freddo comprime anche l'esternazione dei sentimenti ). La famiglia a tre, l'intima unità del femminile col maschile e con la maternità e la paternità riaffiora in Vita . Il dipinto è del 1903 ed è ambientato in uno spazio non spazio ed in un tempo non tempo. Il carattere è quello dell'allegoria e della figurazione simbolica. I piani sono prevalentemente due. In primo piano figurativo due figure seminude, una donna ed un uomo che ha il volto dell'amico scomparso Casagemas come è facile confrontare con l'immagine del suo ritratto del 1901 sul letto di morte. Casagemas è quasi nudo, indossa solo un paio di mutande ed indica le due figurazioni allegoriche sulla parete, disegni che raffigurano, sopra, la Solidarietà, con le due figure umane nude che si abbracciano e, sotto, un'altra che ha un atteggiamento di disperazione con la testa fra le gambe. All'uomo si appoggia  con le braccia alle sue spalle una donna completamente nuda. Mentre a destra vediamo una donna vestita con un bambino in braccio. E' chiaro che la coppia nuda rappresenta il matrimonio e l'unione erotica ( il pube della donna tocca il sesso dell'uomo ), la donna vestita a destra, la madre e la maternità. Le figure allegoriche di fondo staccano dal primo piano apparente il secondo piano con i disegni attaccati alla parete che mostrano ciò che la vita realmente è: dolore. 


Pablo Picasso, La Vita, 1903, The Cleveland of Art, Cleveland
Come possiamo vedere le figure dell'uomo e della madre sono sulla stessa linea . Anche qui però nessuno guarda l'altro. La madre di profilo, taglia la direzione della vista oltre a sinistra, l'uomo guarda di taglio oltre la destra, la giovane donna, guarda in basso con una diagonale in basso. Il bambino ha gli occhi chiusi. Tutti, come ne I poveri sulla spiaggia hanno i piedi nudi appena ombreggiati. Fra sinistra e destra vi è uno stacco netto determinato dall'opposizione nudo-vestito, da amore erotico a amore materno ( si vedano anche la disposizione dei piedi, a sinistra il piede della donna è fra i due piedi dell'uomo, mentre i piedi della donna sono disposti simmetricamente e quieti. 


La Vita, particolare della coppia a sinistra e allegorica grafica della Solidarietà

La coppia nuda allude ad Adamo ed Eva, alla prima coppia, alla prima scoperta della sessualità; ma è anche immagine dell'amore, quello stesso amore che portò Casagemas alla morte. La donna per Picasso è anche Eva; così chiamava la sua amante Marcelle Huvelet frequentata nel 1912. E' la donna-donna, l'eros in sé. Qui è anche una donna in cerca di protezione, di aiuto. L'uomo con la testa dritta e le spalle rette è una sicurezza, una forza. La donna ha un atteggiamento di tenerezza e sembra appoggiare tutta se stessa, sembra voler assorbire il calore del suo uomo. La coppia indica, abbiamo detto, anche il matrimonio: l'accostamento dei corpi allude alla loro unione non solo sessuale, ma appunto anche matrimoniale. La donna vestita a destra, la madre, allude anche alla madre del pittore, Maria e alla madre delle madri, appunto Maria, la Madonna. Il bambino dorme come in altre Madonne con Bambino, come nella Madonna di Casa Santi di Raffaello o come nel Riposo nella Fuga in Egitto di Caravaggio. Il bambino è ignaro della vita, del dolore, dell'eros, dell'amore. La donna lo tiene in braccio nascondendo le mani nelle maniche della tunica. Non sono le mani a trattenerlo, è il grembo materno da cui esso è nato. Picasso aveva già realizzato una figura materna durante il periodo blu, Madre e figlio, dove il  manto della madre è la culla del bambino.


Pablo Picasso, Madre e figlio, 1903, Museu Picasso, Barcellona
Nel dipinto notiamo un alto senso di tenerezza e di protezione. Il bambino non dorme, è sveglio, ma è tranquillo, senza piangere. Il manto della madre ha qualcosa di particolarmente morbido, vellutato ( e allo stesso tempo avvolgente, come le spire robuste di un boa ) ed il blu non comunica qui freddezza, anche perché è stemperato dai due volti bianchi accostati ( la guancia della madre sui capelli radi e biondicci del bambino. Il manto della madre, una Madonna in blu in una stanza senza dimensionalità spaziale e temporale, una madre che è la Madre.  Questa madre accovacciata ha lo stesso senso protettivo della madre in piedi del nostro dipinto: entrambe le madri nascondono con l'amore materno al bambino la vita che verrà ed i suoi dolori e malinconie.

Bibliografia:

William Lieberman, Pablo Picasso. Il periodo blu e il periodo rosa, Garzanti, Milano, 1999
F. Galluzzi, Pablo Picasso, Giunti, Firenze, 2002
Inigo F. Walther, Picasso, Taschen, 2000 ( ed. it. )
Philippe Dagen, Picasso, Mondadori, Electa, 2009.

giovedì 9 ottobre 2014

A due passi dall'abisso






                                    A DUE PASSI DALL'ABISSO VERDE

                                     Giulio Aristide Sartorio  

                                           ABISSO VERDE



Giulio Aristide Sartorio, La Sirena o ( Abisso verde ) 1899 - 1900, Galleria d'Arte Moderna" Ricci- Oddi, Piacenza 
                                     
"Un'onda verde s'avvalla: in quest' avvallamento si culla e s abbandona la sirena pallida, dalla fulva chioma sparsa, un braccio immerso e trasparente nell'acqua, 'altro ripiegato sul seno, con tentatrice mollezza: Dall'alto del quadro una breve barca si piega seguir l'onda; sulla barca, proteso e supino, un  adolescente cinge con un braccio l'emersa incantatrice. In quest'onda è tagliato con sommo ardire tutto il quadro. E vi par di sognare guardandolo"  Luigi Pirandello, Su Abisso verde, in Scritti vari, 1960.

L'incontro con la pittura simbolista, per Giulio Aristide Sartorio, avviene in Germania, dove ha modo di frequentare i pittori simbolisti e dove conosce personalmente Nietzsche. E' un incontro importante, non meno di quello con la pittura preraffaellita che va a studiare in Inghilterra e che  ben si evince dall'illustrazione del romanzo dannunziano Isotta Guttadauro del 1886 e quello che ha con il realismo campagnolo verista nello stile" fotografico" di Michetti che frequenta a Francavilla a mare insieme a D'Annunzio e che lo porta a realizzare veri e propri documenti fotografici delle condizioni di difficoltà economiche e sanitarie del mondo contadino, come vediamo in Malaria. Nel simbolismo il pittore trova nuovi stimoli, si misura con l'immaginario mitologico e con i simboli della psiche, dell'interiorità, dell'eros spontaneo e primitivo. In stile e concetti simbolisti realizza alcune opere come La Gorgone e gli Eroi della Galleria d'Arte Moderna di Roma; ma l'opera simbolista più significativa e di maggior qualità pittorica è certamente L'abisso verde, realizzato sul declinare dell'800, un dipinto veramente affascinante. Il taglio è orizzontale e stretto di modo che vi possano affiorare in modo preponderante le due figure nude, cariche di forte sensualità. Sono due corpi associati per antitesi, quello maschile, bruno e riverso sulla prua di un'imbarcazione nel tentativo di sollevare dall'acqua il corpo femminile, bianco e morbido, disteso in galleggiamento con la distesa dei capelli fulvi abbandonati sulla superficie del mare. Se guardiamo bene, sulla sinistra, vediamo come la donna termina con una pinna caudale molto chiara, quasi trasparente. S tratta, dunque, di una sirena.  Di questa sensuale sirena abbandonata nelle braccia di un gorgo marino a forte dominante cromatica verde, colpisce la cascata di capelli ramati sciolti nell'acqua e il corpo affiorante e in parte semi sommerso, sostenuto solo dal braccio del giovane tutto proteso in avanti. Ha scritto Gilbert Durand, 1972, p. 223, che i colori dell'acqua attiva, non propriamente immobile pur in presenza del mare calmo, sono il verde ed il violetto, i colori dell'abisso. L'abisso, dunque, si apre nel fondo, fra i due giovani che si stanno per accostare ed unire. In un'opera di Friedrich Nitzsche, Al di là del bene e del male, del 1886 , che l'artista potrebbe aver letto, si legge:  " Chi lotta con i mostri deve guardarsi a non diventare egli stesso un mostro: E quando guardi a lungo nell'abisso anche l'abisso ti guarda dentro" A guardare troppo a lungo il male e a scoprirlo dentro di noi s finisce per restare catturati da esso, che prende presto possesso di noi. Ma cos'è questo male, questo abisso? Forse Giulio Aristide Sartorio pensa all'abisso come una caduta nella perdizione, nell'abisso della passione travolgente che inghiotte e trascina. Dicevamo della sirena. La sirena è un'immagine onirica di seduzione, rappresentano la passione cui nulla si può opporre e che non è in grado di opporsi anche alla più ferma ragione. La sirena nell'antichità classica era metà donna e metà uccello, come mostra l'anfora dipinta da Python, esposta al Museo di Paestum o il mosaico romano con Ulisse e le Sirene nel Museo di Tunisi. E' in epoca cristiana che la sirena subisce una metamorfosi, dal cielo è collocata nell'acqua, che è propriamente un principio femminile. Diventa una donna-pesce, dai seni prominenti, dall'aspetto molto seducente, con una sola grande pinna caudale. Le sirene attiravano con il loro canto i naviganti che presi dalla passione si gettavano in mare e venivano divorati dalle acque. Ulisse, per non essere sedotto dal canto delle sirene si era tappato le orecchie con la cera e si era fatto legare all'albero maestro della sua nave, che rappresenta la ragione. Il pittore inglese preraffaellita John William Waterhouse, ben noto all'artista, dipinse molte sirene e una scena con Ulisse assalito da sirene-uccello che volteggiano intorno alla sua nave secondo il mito classico. Qui le donne coperte di nero piumaggio non appaiono seducenti ma funeree; l'intenzione di esse è quelle di trascinare Ulisse nell'abisso, nel gorgo della morte.
 File: John William Waterhouse - Ulisse e le Sirene (1891) .jpg
       James Williams Waterhouse, Ulisse e le Sirene, 1891, National Gallery of Victoria, Melbourne.

La donna-pesce che viene descritta dai bestiari medievali e interpretata in senso cristiano da Clemente Alessandrino come la prostituta che lusinga il Cristianesimo per concupirlo e allontanarlo dall'essenza del divino, appare in tutto il suo aspetto seduttivo nell'opera di un altro preraffaellita James Draper.


                                Herbert James Draper, Ulisse e le sirene, 1909, Ferens Art College, Kingston-upon-hill  


Ma un'immagine di sensualissimo abbraccio e dove è significativo il rapporto fra chiaro ( la donna, l'immaginario ) e scuro ( il giovane pescatore, la realtà ), fra un giovane ed una sirena dalla curata acconciatura di stampo rinascimentale è quella di Frederick Leighton, in cui la pinna caudale stringe in un ulteriore abbraccio gli arti inferiori de due giovani, ne suggerisce l'unione sessuale.

                               
                                        Frederick Leighton, Il pescatore e la sirena, 1856, Collezione privata

E' un dipinto che sicuramente Sartorio in collegamento coi i suoi amici pittori londinesi conosceva e che forse aveva visto di persona. Qui i capelli non sono fulvi, ma biondi e contribuiscono a creare il tono favolistico all'immagine. Nel creare la sua figurazione mitologica, Sartorio si era rifatto ad un dipinto di Gustave Coubert, Donna con pappagallo del 1866 che aveva probabilmente visto direttamente a Parigi. Come si può notare la donna  nuda sdraiata, ha la stessa posizione della sirena e, meglio, la stessa distribuzione sparsa dei capelli sulla superficie.


                                Gustave Coubert, Donna con pappagallo, 1866, Metropolitan Art Museum, New York
                               
La disposizione dei capelli nella Donna con pappagallo suggerisce il riferimento simbolico al mito della gorgone ( le ciocche hanno chiaramente un aspetto serpentiforme ) . Gorgone ( Medusa ) era una donna bellissima capace di sedurre chi la guardava al punto da trasformarlo in dura pietra solo con la potenza deviante del suo sguardo; con Steno ed Euriale era figlia di mostri marini, Forcite e Ceto. Nellopera di Sartorio però i capelli-serpi di Coubert non sono visibili, piuttosto essi s trasformano in una massa disordinata, scomposta, il cui colore rosso sta più ad indicare il colore del sangue a seguito della deflorazione. Il colore chiaro della sirena è simile a quello della donna di Coubert , che viene qui raddoppiato dal colore del lenzuolo e a livello simbolico rafforzato dall'immagine-simbolo del pappagallo, che è indice simbolico di purezza. Pertanto, il principio femminile, acquatico, il richiamo simbolico al chiaro-puro, nel momento del gorgo, dell'abisso, si scontra ed unisce con il principio maschile, della forza virile, della sessualità, della passione travolgente che spingerà il giovane, già abbondantemente sbilanciato in avanti a cadere nelle acque che avvolgono e dissipano. Questo aspetto è anche ben caratterizzato dal corpo in acqua della sirena, che è parte emerso e parte sommerso.
             Nella Sirena ( o Abisso verde ), la sirena appare svenuta o priva di vita e sembra che sia affiorata dalle acque del mare quasi all'improvviso e che i giovane pescatore l'abbia avvistata e si sia precipitato verso di lei. Non vi è dubbio che il giovane nudo, dalla carnagione bruna, si sa invaghito della bella sirena; basta il so sguardo rapito e che abbia fatto il possibile per salvarla, rianimarla e che si sia precipitato anche attratto sessualmente dal corpo nudo di lei, che abbia ceduto alla tentazione rischiando la sua stessa vita. Nella tradizione classica, omerica e virgiliana, le sirene incantano con il loro canto ( ma le figurazioni greco-romane mostrano anche sirene che suonano strumenti musicali ); qui, però, la sirena incanta col suo corpo nudo, ma spinge l'attenzione verso di lei perché adagiata esanime, perché galleggia sull'acqua come un corpo morto. E' chiaro che Sartorio deve essersi rifatto ad una leggenda che vede protagonista una sirena. Secondo un'antica leggenda tedesca ( Sartorio potrebbe averla appresa in Germania ) racconta che sulle sponde del Reno viveva una bellissima sirena ( o Ondina, nella variante tedesca ), Lorelei, che credeva di aver perduto il suo amore affogato nelle acque del fiume. Il suo compito era quello di attirare i naviganti, sedurli col canto e la bellezza sensuale del suo corpo nudo e farli morire nel gorgo. Un giorno attirò un giovane pescatore e lo fece cadere in acqua facendolo affogare. Solo più tardi comprese che il giovane era il suo amante creduto morto, così, disperata, salì su di una rupe, si gettò nel fiume e morì. La leggenda ispirò diversi poeti romantici come Clemens Brentano ( 1801 ) e soprattutto Heinrich Heine ( 1824 ), la cui versione dell'Ondina, venne musicata da Friedrich Silcher ( 1837 ). Un'altra famosa Ondina è quella scritta da Hoffmann, che va in scena nell'opera Undine, nel 1816 a Berlino. Letteratura e musica, oltre che pittura, sono dunque fonti di ispirazione per Sartorio che in Germania, presso i pittori simbolisti, assorbe molta cultura germanica di derivazione romantica ( inutile ricordare anche la fiaba di Andersen, la Sirenetta ) . Proprio La Sirenetta di Andersen inizia in molto significativo che rimanda all'abisso del nostro dipinto: "Lontano, in alto mare, l'acqua è azzurra come petali di bellissimi fiordalisi e trasparente come cristallo purissimo, ma è molto profonda, così profonda che un'anfora on potrebbe mai toccarne il fondo e bisognerebbe mettere uno sopra l'alto molti campanili prima di arrivare a fondo. Laggiù abitano le genti del mare". Nella versione danese, la sirena innamorata di un giovane principe per lui vorrebbe rinunciare alal sua voce che seduce i naviganti e li conduce alla morte; ma il principe sposerà un'altra e la sirena, rifiutandosi di ucciderlo attirandolo nel gorgo dell'abisso marino, si uccide gettandosi fra i flutti. In entrambe le leggende, dunque, la sirena seduce, attira verso la morte e muore essa stessa. Nell'abisso verde il pescatore è stato attirato nel gorgo, ma la sirena, che si  è rifiutata di ucciderlo, è morta gettandosi nei flutti. Se guardiamo bene, a sinistra della sirena, nella straordinaria trasparenza dell'acqua, notiamo un teschio e delle ossa. Potremmo parlare, a livello iconografico, di un uso del memento mori, del "ricordati che devi morire" non tanto come ammonimento allo spettatore, come nei dipinti del XVI e XVII secolo, specie fiamminghi ed olandesi, quanto come un riferimento alla fine prossima del pescatore nella fiaba e alla fine della sirena nella fiaba romantica della Sirenetta o di Ondina? La presenza delle ossa nell'acqua trasparente è però anche un richiamo forte all'aspetto effimero delle passioni sensuali, al coinvolgimento e al dissolvimento in tempi brevi di ogni cedimento al piacere.

Bibliografia:

F.Arisi,G.A.Sartorio, Piacenza, 1971
AA.VV. G.A.Sartorio, Roma, Accademia di San Luca, 1980
Antonella Crippa, G.A.Sartorio, Catalogo on-line, Art-Gate, 2010
Giulio Aristide Sartorio, Arte antica. eu.
A.M.Mantura e B.Damigella, Giulio Aristide Sartorio. Figure e decorazione, Cat. Mostra, Roma,1989
A.Cipriani, Giulio Aristide Sartorio, Roma, 1978.



                            

il bagno di luce





                                                           IL BAGNO DI LUCE

                                                   George Seurat

                                              Il bagno ad Asnières 




Georges Seurat, Il bagno ad Asnières, 1883-84, National Gallery, London


" La vita a Parigi è piena di soggetti poetici e meravigliosi; il meraviglioso ci avvolge e ci bagna come l'atmosfera che ci circonda", Charles Baudelaire.


        Alla National Gallery di Londra, accanto a Il bagno ad Asnières, di Georges Seurat ( un quadro realizzato non ancora con la tecnica del pontillisme, una composizione formata da tanti punti di colori giustapposti secondo le regole dell'ottica, ma da piccole pennellate di colori diversi accostati o sovrapposti che anticipa quella che sarà poi la tecnica principe di Seurat ), si trova un quadro famosissimo, Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca.  Non è un caso. Seurat è ben lontano dall'impressionismo al quale pure si era avvicinato, ed invece denuncia in modo molto più evidente i rapporti con la sua formazione classica e con i grandi maestri toscani del'400, con Piero e con la sua visione geometrico-luministica in particolare. 



                          
                                    Piero della Francesca, Il battesimo di Cristo, 1440-1460, National Gallery, London
Nel Battesimo Piero non è tanto interessato alla costruzione prospettico-matematica del dipinto secondo quelle che erano le regole compositive spiegate nel trattato dello stesso pittore, De prospectiva pingendi, quanto è particolarmente interessato alla formazione di figure ideali geometrizzate, di corpi platonici che Piero descriverà nell'altra sua opera De corporibus regularibus, nella quale si parla di corpi formati dalla giustapposizione di figure geometriche solide ideali. Questo interesse di Piero comporta una composizione tutta geometrica formata da un quadrato sormontato da un cerchio; nel quadrato si iscrive un triangolo equilatero che ha la base ai piedi di Cristo, mentre all'incontro delle diagonali di questo quadrato si trova l'ombelico del Salvatore. La composizione segue strettamente le leggi dell'ottica e la luce, domina incontrastata in modo assolutamente ideale al di fuori da qualsiasi attenzione naturalistica ( non ci sono ombre ). Un  bianco quasi accecante che viene fortemente messo in evidenza dal canone corporeo di Cristo, della veste e dell'incarnato dell'Angelo al centro, dell'uomo che si spoglia prima di entrare nel fiume Giordano,con la sua carne bianco abbacinante, dell'albero dal tronco bianco posto fra <cristo e L'Angelo, Piero qui conosce bene la lezione della luce di dio, espressa dal Beato Angelico. La luce qui illumina non solo il paesaggio, ma fa il paesaggio; non ,lo scopre, lo materializza, come le utopiche figure geometriche che creano i corpi. Se guardiamo il dipinto di Seurat ci accorgiamo che la composizione segue regole simili: il pittore è intenzionato a creare corpi geometrizzati e ad illuminare tutto il paesaggio con una luce irreale che serve soprattutto ad esaltare i corpi. Si vedano, ad esempio, il giovane seduto in secondo piano figurativo e il giovane che si bagna in acqua. Le ombre sono appena accennate e quasi inesistenti, mentre i due corpi evidenziano la sovrapposizione della sfera al cilindro. Seurat dimostra la vicinanza a Piero specie nel corpo dell'uomo seduto con appena la schiena arcuata che ha analogia con il corpo piegato dell'uomo che si spoglia nel Battesimo. Seurat porta la ricerca impressionista all'esasperazione andando oltre l'impressionismo ( lui e gli altri "puntinisti" verranno detti neo-impressionisti ) : quello che il pittore realizza non è l'immagine quale essa è, anche cromaticamente, nella realtà, ma quella che è dalla scomposizione dei colori, anzi dalla divisione dei colori ( la pittura è detta anche " divisionismo " , in ambito italiano ), dall'accostamento con l'intenzione di creare un effetto di mescolanza che esalti soprattutto l'insieme luminoso. L'opera più famosa di Seurat è la Una domenica pomeriggio all'isola della Grande Jatte.

                        Georges Seurat, Una domenica pomeriggio all'isola della Grande-Jatte, 1886, Art Institute, Chicago 

Per la preparazione di questo dipinto Seurat si recava la mattina presto, quando la luce era migliore, all'isola sulla Senna presso Neully, detta La Grande-Jatte , dipingeva, con modalità impressioniste, in momenti diversi della mattina e da diverse angolazioni o singoli personaggi che vedeva; poi tornato nel suo studio lavorava di matita e correggeva e migliorava. Esistono ben 30 tavole di questo dipinto che evidenziano la lavorazione meticolosa e la tecnica raffinata impiegate dal pittore. Sulla tela stendeva una superficie di colore, poi la riempiva di punti di diverso colore secondo la complessa tecnica del pointillisme , impiegata da Seurat e da Signac, insieme al critico Felix Fénéon, intorno all'85, ed elaborata partendo dalle sperimentazioni sul cromatismo e la luce  di Egène Cheunel . Se guardiamo bene questo dipinto notiamo come pure nell'ambito di diversi contrasti luministici, l'insieme che l'occhio percepisce è molto luminoso. Le ombre non sono mai scure, ma colorate e chiare, pur mantenendo una diversità evidente con le zone in luce. Nel dipinto notiamo de campi di colore non creati da una pennellata stesa sulla superficie, ma dalla giustapposizione di questi punti di colore; si creano così spazi colorati distinti pur se posti in un unico ambiente : vediamo il prato; si tratta dello stesso prato sia nel punto di fuga lontano fra gli alberi che nello spazio in primo piano. Ma se qui il prato è in ombra ( salvo uno spicchio al sole sulla gamba dell'uomo sdraiato a sinistra ), al centro e verso il punto di fuga il prato è al sole anche se su di esso si allungano le mbre colorate e chiare delle persone e degli alberi. Se ci avviciniamo molto all'immagine, notiamo i punti colorati distinti fra loro, se invece ci allontaniamo notiamo un insieme compatto e luminoso. I personaggi in piedi e seduti, o sdraiati, sono resi con assoluta perfezione formale, ma sono indistinti, estranei tra di loro ( nessuno guarda l'altro, è come se tutti guardassero ignorando chi sta vicino. Si tratta di una umanità a prevalenza borghese vista con sguardo attento ed ironico ( una donna pesca nella Senna a sinistra; un'altra porta al guinzaglio una scimmia ed ha un ridicolo cuscino sotto la gonna,chiaramente esagerato rispetto alla moda del tempo ). Se osserviamo le figure esse sono volumetriche  : il cilindro e la sfera. E la luce, il colore e l'ombra ne esaltano la forma: la donna con la gonna rosa, il giacchetto stretto in vita rosso, con n ombrellino rosso, ha la parte superiore del corpo in una leggera ombra prodotta dall'ombrellino, in luce la gonna, mentre a terra si staglia un'ombra verde scuro sul verde chiaro del prato. Guardiamo, a sinistra, la resa della Senna, dell'acqua. Qui il pittore accosta punti di azzurrino, al celeste e al bianco ( strisce di luci, le vele, le increspature dell'acqua ) : la resa è quella di una gran luce specchiante su tutta la superficie dell'acqua. Ma torniamo al nostro dipinto, partendo proprio dall'acqua. Guardiamo il bozzetto preparatorio dell'opera ( uno dei 14, insieme ai 10 disegni, realizzati per la composizione dell' opera ).


Georges Seurat, bozzetto preparatorio per il bagno ad Asnìers, Art Institut, Chicago


Nel bozzetto c'è una certa atmosfera compositiva più impressionista, non notiamo, cioè, la presenza del puntinismo. Il ragazzo in acqua ha u cappello di foggia diversa rispetto all'opera e di un colore più rosso; diversità anche nel giovane seduto a sinistra, che indossa una canottiera viola e calzoni viola separati da una striscia rossa alla vita; mentre in testa ha un cappello di paglia giallino. Sensibili le modifiche nell'originale, con il cappello bianco a falde più regolari, canottiera celeste e pantaloni a mezza gamba verde scuro. Come possiamo notare, sebbene il punto di vista sia lo stesso e l'esposizione anche, l'originale è molto più luminoso. A dare questa sensazione non è soltanto la tecnica del puntinismo, ma anche la forma dei corpi, caratterizzati da solidi con ombre chiare e colorate ( guardiamo ne bozzetto, a destra l'incupirsi dell'acqua, mentre nell'originale in tutta la superficie acquatica dipinta vi è una uniformità luministica sottolineata non ancora da puntini, ma da pennellate piccole, a trattini di colore azzurro, verdino e bianco, sovrapposti o giustapporti fra loro. La composizione mostra una domenica di relax sulle rive della Senna non lontano dall' Ile-de France; in primo piano, sul manto erboso, giovani a torso nudo o semi vestiti, seduti o sdraiati; in acqua, invece altri due giovani. Nell'originale ( il bozzetto non la comprende perché evidentemente aggiunta dopo ), un'imbarcazione sta conducendo dei turisti all'isola vicina; sul fondo invece i segni della Parigi industriale, con le fabbriche di Clichy che hanno le ciminiere spente, senza fumi, perché appnto è domenica. Mentre il fumo che si vede è quello del treno che attraversa il ponte sulla Senna. Notiamo nel dipinto definitivo la presenza di una zona di colore verde a sinistra, di una di colore azzurro al centro, per chiudersi di nuovo col verde a destra. La domenica, sebbene soleggiata e primaverile, doveva essere ancora fresca : il giovane a sinistra seduto sull'erba si scalda le braccia un po' intirizzite, forse, dalla brezza e il giovane con l'acqua sino al petto sembra aver freddo nell'acqua gelida. Tuttavia il giovane in primo piano sembra essere a suo agio nell'acqua fredda e si permette pure di scherzare con le mani unite e poste davanti alla bocca, forse per spruzzare allegramente l'acqua; sembra essere una specie di divinità fluviale prima ancora che un giovane borghese. Come si può notare nessun personaggio si accorge dell'altro, persino il cane marroncino, accucciato accanto al padrone, guarda da un'altra parte. Al di là di fuorvianti interpretazioni sociologiche sull'estraneità della classe borghese alle problematiche operaie, va detto che qui i personaggi non sono umanizzati nel senso stretto del termine, sono forme geometriche solide ( e la lezione volumetrica di Cézanne, in questo senso è fondamentale ) che non tanto occupano uno spazio, ma assorbono la luce e schiariscono le ombre: nell'insieme, quindi, non rappresentano né personaggi tipici, né ostacoli materiali alla diffusione della luce, ma definiscono un'idea diversa, un'armonia e un insieme, nuovi al classico tema delle bagnanti.  Vediamo qui proprio Le bagnanti di Cézanne.  

 
                                 Paul Cézanne, Le bagnanti, 1875, Metropolitan Museum of Art, New York.

In una lettera ad Emile Bernard, del 1904, Cézanne scrive: " Tutto in natura si modella secondo la sfera, il cono, il cilindro: Bisogna imparare a dipingere sulla base di queste figure semplici, dopo si potrà fare tutto quello che si vorrà". La geometria solida dei corpi trova la sua più efficace, completa, immediata raffigurazione nei nudi,nelle bagnanti, che dipingerà e disegnerà molte volte. Nella operazione compositiva contava soprattutto il ricordo di quanto visto nei musei ( ad esempio La Venere di Milo al Louvre ) e di quanto aveva disegnato nell'Atelier. L'attenzione così frequente alla raffigurazione del bagno ( in particolare nel fiume ), nasceva anche da ricordi giovanili, dai molti bagni fatti con l'amico scrittore Emile Zola. Nel dipinto per Cezanne aveva molta importanza il contrasto e la sensazione data dai colori. Per questo suggeriva di usare colori chiari e luminosi, con l'intento di fornire all'insieme rappresentato un'idea di ricchezza cromatica, di luminosità generale che si impone anche sulle ombre che divengono chiare o colorate. Tanto in questo dipinto, quanto nelle Grandi bagnanti  di Philadelphia, questi principi sono accuratamente rispettati e le bagnanti sono viste in varie posizioni: a fronte, di lato, di retro, sdraiate, accovacciate, sedute. Nel dipinto di sopra la luce domina incontrastata ed  colori esaltano l'insieme e colpiscono il nostro occhio . il verde dei prati e degli alberi, il celeste e l'azzurrino dell'acqua e del cielo, i bruni dei capelli, la gamma dei rosa, dei grigi, dell'ocra, del giallino, sui corpi nudi; la dislocazione è armonica : in piedi, accovacciate, sedute, sdraiate di fianco, le donne occupano gli spazi : il prato, l'acqua, il terriccio.  Le figure sono costruite richiamandosi ai solidi che vengono poi modellati sui corpi: il cilindro per le gambe ed il bacino e e braccia, le sfere per le teste, i seni, i glutei. Se guardiamo le due bagnanti, quella seduta in mezzo alle due in piedi e quella piegata in acqua, possiamo capire quanto Séurat si sia rifatto a questo ed altri dipinti di bagnanti di Cèzanne. Nell'opera Le modelle, del 1888, Séurat, applicando la tecnica del puntinismo, riprende la tematica del nudo delle bagnanti di Cézanne e sviluppa un discorso visivo formato da tre visuali fornite dalla medesima modella: a sinistra seduta di schiena, in  piedi frontale al centro,una seduta a destra, di profilo mentre si infila le calze. Qui si vede molto bene come l'anatomia della modella in tre pose diverse parta da forme geometriche solide come aveva insegnato Cézanne ( il cilindro e la sfera, ma anche il cono delle capigliature ) e si vede anche come Séurat non voglia rinunciare affatto al richiamo di un esterno, ma voglia invece riprenderlo inserendolo nell'ambiente chiuso. E allora dipinge sulla parete di sinistra una parte de La Grande-Jatte.      
 
                                                       Georges Séurat, Le modelle, 1888, Barnes Fondations, Philadelphia


Come vediamo le modelle ( o meglio la modella divisa per tre in tre diverse posizioni, sono collocate in un interno ricostruito, una stanza di una donna accuratamente descritta con alcuni oggetti semplici a significativi, i vestiti, il cappello, l'ombrellino da sole, le calzature, una borsa ed altro. Sulla parete di fondo sono dei quadri senza cornice, simmetricamente disposti, a sinistra, in terra, un cesto di vimini con  fiori rosa. La modella ha tre pose significative, a sinistra si infila le calze verdi, una è già interamente infilata, l'altra sta per esserlo, i capelli sono scuri e corti con un ciuffo sul davanti, l ventre è prominente la donna siede s un panchetto s cui è disposta una stoffa bianca che contrasta con l'incarnato rosato e che il vestito violaceo a pois e l'ombrello rosso e il cappello giallo. Possiamo notare l'ironia del pittore che compone l'opera a puntini colorati e pone i pois sul vestito quasi a richiamarli ingranditi. Al centro la donna è in piedi, con le mani sul pube. L'anatomia geometrizzata è straordinaria ( le gambe cilindriche a compasso, il busto cilindrico incorniciato dalle braccia,  due seni piccoli e simmetrici , due sferette regolari; la testa formata da un ovale sormontato da un cono scuro che è quello della capigliatura bruna. La donna in piedi è s un tappetino bianco che non tanto richiama il contrasto rosa-bianco di destra, ma indica semmai che si tratta della stessa modella. Infatti ciò si ripete anche a sinistra con la donna di spalle che ha ai fianchi un panno bianco. Vediamo come il dipinto sulla parete, un trompe-l'oeil  , stacca l'interno dall'esterno, rapporta per contrasto ed antitesi, il nudo al vestito. Nudo e vestito, che in una stessa scena esterna si trovano nel Bagno ad Asnières. Anche nel dipinto di sopra la luce è dominante, non ci sono ombre ( molto sottile e chiara quella che si stacca dal piede sinistro della donna nuda in piedi )ed i colori esaltano la luce pe loro brillantezza ( il verde delle calze, il rosso dell'ombrello e del sofà che si richiamano anche, in modo straordinario a colori del dipinto sulla parete : il verde del prato, il rosso della bambina al centro ). A fornire a Séurat una visionarietà elegante e luminosa era stato anche e con un'influenza considerevole, il simbolista Pierre Puvis de Chavannes. In lui il nudo, di derivazione classica, entra nel mondo dell'immaginario personale di Séurat in modo prepotente, soprattutto il suo inserimento in un contesto evocativo e simbolico di ambiente naturale idealizzato, quasi un Eden, dove la figura umana si sposa con la natura in un colorismo tenue ed elegante, senza stridori né forti contrasti e in una immagine luminosa, ma quasi a luce soffusa e filtrata, depurata da ombre e contorni. Vediamo il bellissimo Fanciulle in riva al mare del 1887:

                         
                                             Pierre Puvis de Chavannes, Fanciulle in riva al mare, 1887, Musée d'Orsay, Paris

Anche qui le fanciulle assumono tre posizioni diverse, a sinistra sdraiata su un fianco, al centro in piedi, a destra sdraiata sulla schiena con le braccia dietro di essa. Ance qui, come nelle Modelle ( e Séurat teneva bene a mente questo dipinto ) l'incarnato è posto in relazione al bianco del, diremmo oggi, pareo ( si veda la stupenda piega del drappo sul bacino e le gambe, della donna al centro ); anche qui il colore della natura, come nel Bagno e nella Grand-Jatte , si distingue per la sua luminosità (l'azzurro del mare, il bianco delle onde sulla riva, il rosa del tramonto, il grigio del cielo ); ma qui è una luminosità evocativa e mitica, proiettata in un luogo che non c'è, mentre in Séurat nasce da un dato realistico. 
Paul Signac, allievo, collaboratore ed erede dello stile di Séurat scrive, nel 1886, che i neo impressionisti di cui fa parte il suo maestro, dovrebbero chiamarsi in realtà cromo-luminaristi in quanto la finalità è quella di una resa cromatica unitamente ad una resa piena della luce; ma il richiamo all'impressionismo resa fondamentale perché essi ne seguono le orme e lo superano in quanto la loro opera non si limita ad assicurare il massimo della luminosità e della colorazione mediane la mescolanza ottica di colori puri, ma determina un'armonia integrale dell'opera. " Bisogna riconoscere- precisa Signac- che un quadro neo impressionista è più ricco d'armonia di uno impressionista : in primo luogo perché, grazie alla costante osservazione della legge del contrasto, l'armonia dei singoli dettagli è resa con maggior precisione; in secondo luogo perché la composizione accuratamente predisposta e il linguaggio estetico dei colori li conferiscono un'armonia d'insieme e un'armonia morale, di cui l'altro è volutamente privo".  L'armonia dell'insieme e l'armonia morale , ciò che si evidenzia nella Grande-Jatte e nel Bagno ad Amièns . Un incontro originale e puro fra estetica ed etica.

Bibliografia:  
Paul Signac, Da Eugène Delacroix al neoimpressionismo, Liguori, Napoli, 1993
Georges Séurat, Corréspondance, témoignages, notes inédit critiques, Paris, 1991
Wikipedia, Séurat
S. Capenta, Séurat, Milano, 2004
F.Minervino, L'opera completa di Séurat, Rizzoli, Milano, 1972