sabato 24 gennaio 2015

Le agitate





                                              LE AGITATE

                                                                        Telemaco Signorini
      
                                                                LA SALA DELLE AGITATE


Telemaco Signorini, La sala delle agitate, 1865, Galleria d'Arte moderna di Ca'Pesaro, Venezia.



"La Sala delle Agitate al manicomio di Firenze è un dipinto che vi mette addosso i brividi della paura. E' un quadro che non mi piace, ma che esercita le spaventose attrazioni dell'abisso e che si rivela nell'autore una giustezza e una robustezza quali a pochi è dato di raggiungere" ( Giuseppe Giacosa )

" Se si pulissero le porte della percezione ogni cosa apparirebbe all'uomo come esse sono, infinite. Invece l'uomo vi è da se stesso rinchiuso, fino a non vedere più le cose, se non attraverso le strette feritoie della sua caverna" ( William Blake)


L'esposizione a Firenze della Sala delle agitate  provocò forti reazioni nel pubblico di cui dà testimonianza il drammaturgo Giacosa rivelando come il dipinto poneva di fronte ad una cruda realtà ignorata e che il pittore aveva in modo altrettanto crudo portata allo scoperto. Nel 1793 il medico francese Philippe Pinelle, aveva avviato la rottura del vecchio sistema carcerario del ricovero degli alienati, con l'istituzione di appositi luoghi di cura in cui i folli potessero trovare assistenza. In realtà la vantata liberazione di Pinelle allo stato dei fatti di rivelò solo un mito, in quanto non vi fu alcuna liberazione e gli alienati incontrati dal medico e da tutti gli studiosi dell'isteria e della follia del XIX secolo, come sentenziò giustamente un grande studioso della follia come Michel Foucault, vennero lasciati dov'erano al proprio destino. La costruzione di appositi luoghi o l'adattamento di altri, in genere vecchi conventi dismessi, non fece altro che aumentare la distanza, l'emarginazione, l'incomunicabilità, dei disadattati mentali, cacciandoli in un nuovo incubo. L'ospedale per malati mentali di San Bonifacio a Firenze, noto come l'Ospizio di San Bonifacio, malgrado le iniziative ed i proclami del noto medico psichiatra Chiarugi che si adoperò per alleviare le sofferenze degli alienati, di fatto fu un luogo di grande emarginazione sociale, più preoccupato di allontanare dalla città il pericolo del contagio e solo intenzionato a nascondere quella che era vista come una vergogna sociale. In effetti in Europa la paura della follia anche se non apertamente dichiarata era di fatto un'evidenza che tutti i governi avevano di fronte e che pertanto la casa di cura rappresentava una sorta di luogo necessario dove nascondere più che guarire. E questo nonostante dagli anni'70 del XIX in Francia si era avviato un dibattito sulla reale utilità dei manicomi che ebbe un riflesso anche in Italia come mostrano le considerazioni di Andrea Verga, un alienista milanese che nel 1879 chiedeva l'abolizione dei manicomi " luoghi infami di sequestri arbitrari e d'inumazione anticipata ".( in Roscioni, 2014, p.XIV ) . Quella di Verga è una posizione in realtà un po' isolata, non apertamente condivisa. Non vi furono voci altrettanto coraggiose e i luoghi di cura per alienati non vennero mai presi seriamente in considerazione come luoghi da revisionare radicalmente se non addirittura da chiudere. ma continuare ad essere luoghi di segregazione e d emarginazione sociale. Gli istituti di cura accoglievano in gran parte donne consegnate dalle famiglie o su imposizione giudiziaria, o sole, o abbandonate, o ancora perché sottratte a famiglie e familiari indifferenti o degeneri e non solo fanciulle, ma anche donne in età matura, donne mal maritate, sposate che mostravano atteggiamenti devianti, adultere o donne che avevano espresso comportamenti asociali  o pericolosi per la società. Il termine frequente che le racchiudeva era quello di isteriche ( da hysterion, utero, Ippocrate che per primo aveva parlato di questa malattia credeva che gli atteggiamenti anomali fossero dovuti a spostamenti dell'utero ). Gli studi di Charcot prima e successivamente di Freud, diedero all'isteria una descrizione scientifica, togliendo molti luoghi comuni e tentando cure che potessero guarirla, ma allo stato dei fatti, le espressioni patologiche isteriche continuavano ad essere trattate, per l'intero XIX secolo secondo metodi costrittivi. L'internamento, che spesso, come ha mostrato Roscioni, poteva portare a veri e propri abusi ( una delusione amorosa degenerata in una sorta di depressione maniacale diventava una sorta di isteria , una monomania affettiva che poteva condurre ad internamento ed isolamento ), era il mezzo di difesa della società dall'alienato e dello stesso alienato da se stesso. E nell'internamento erano praticati mezzi coercitivi gravi per far fronte all'agitazione: catene, legacci, sbarre, finestre ferrate, rinforzi alle porte e luoghi come stanzoni ampi ed alti e illuminati, sorvegliati dai guardiani. Dell'ospedale di San Bonifacio a Firenze di sapeva ben poco e molto si voleva ignorare, anche se, chi passava davanti, poteva sentire le urla che vi venivano . Telemaco Signorini, animato da quello spirito sociale di condivisione delle sofferenze degli emarginati e degli umili che attraversava la società post-risorgimentale si sentiva nella necessità di esprimere i suoi sentimenti populistico-umanitari attraverso la pittura, affermando un intento anche di denuncia sociale al pari di quanto stava facendo la letteratura naturalista di Zola. Si trattava di gettare uno sguardo nello scandalo, nel logo segreto e proibito della sua città che tutti conoscevano di nome e di triste fama, ma che tutti volutamente ignoravano. Prima di quel dipinto il suo interesse sociale e populista era rivolto all'esterno, al lavoro degli uomini in un contesto ambientale determinato. Nel 1864 aveva dipinto l' Alzaia. Le alzaie sono camminamenti lungo gli argini dei fiumi o dei canali nei quali si disponevano in fila indiana degli operai per tirare, alla stregua di animali da tiro che pure vi erano adoperati per lo stesso lavoro, le chiatte con carico. Nel dipinto la chiatta non si vede, si vede solo lo sforzo immane degli uomini piegati dallo sforzo mentre tirano le funi. 


                   
                                                    Telemaco Signorini, L'Alzaia, 1864, Collezione privata.
                       
E' una chiara denuncia sociale delle condizioni di sfruttamento della classe operaia sfruttata dalla borghesia imprenditrice, arrogante ed indifferente : si guardi a sinistra l'uomo ben vestito con tuba in testa che volta la schiena agli operai ignorando la loro fatica che sembra incuriosire il solo cagnolino nero che probabilmente appartiene allo stesso uomo isolato e indifferente.  Guardiamo come gli uomini in una scena di esterno tranquilla e serena, con un cielo limpido, hanno tutti la schiena piegata e la testa bassa contratti nello sforzo del lavoro che è soprattutto tormento, travaglio ( in francese travail  rende ancora meglio l'idea di cosa sia il lavoro vero come fatica ). A Parigi aveva visto le opere di Coubert e del suo realismo a forte denuncia sociale e si pensi al noto dipinto Gli Spaccapietre del 1849 ( oggi perduto, se ne hanno solo delle fotografie ), in cui l'occhio analitico del reale del pittore non tralascia alcun particolare dei segni di povertà e di emarginazione dei due operai, visti soprattutto nello sforzo e nella concentrazione del lavoro ingrato che stanno facendo. E sulla spinta di questa visione realista si accosta nella Firenze positivista e attenta alle nuove istanze della cultura europea, ad una scelta di denuncia sociale in cui il pittore può e e deve essere protagonista e diffusore al pari del letterato ( e sono anni di attività letteraria sulla scia del naturalismo da parte di Capuana, lo saranno in modo più esplicito a Maliano con Verga e nella stessa Toscana col Fucini del nascente Verismo ).   

                      La Sala delle agitate mostra un interno da una prospettiva per angolo di una stanza molto alta e abbastanza larga,  illuminata dalla luce del sole che proviene da una finestrella chiusa da sbarre a sinistra ( si veda la spina di luce più forte rispetto a quella diffusa sull'intonaco in terra, come se fosse un taglio, una ferita ). La luce diffusa sulla parete è chiara ma se alziamo lo sguardo lì non c'è traccia umana, solo uno spazio verticale liscio e biancastro. L'umanità è sotto, nascosta quasi, tutta attraversata dall'ombra e dal chiaroscuro. Guardiamo questa umanità di scarto: sono donne, ognuna identificata da un atteggiamento, da un gesto, da una posizione, alcune sono in piedi ( una alta al centro, tre a destra ), altre sono sedute a dei banchi, dei tavoli nudi ( una decina ), con dietro una spalliera ; una di esse però è in piedi dietro il tavolo o meglio è sollevata con atteggiamento isterico poggiando una mano sulla superficie e un'altra a pugno chiuso in alto, in atteggiamento oratorico, di leader invasato . Gli atteggiamenti delle altre sono vari : disperazione ( come la donna a sinistra che si copre il volto ), di deliquio ( come la donna che poggia la testa alla spalliera ) di depressione ( come la donna con lo sguardo fisso o come l'altra più avanti e più alla luce coperta dal cappuccio; la cui depressione ha forse un risvolto religioso di penitenza ). Una donna è sotto il tavolo; quella in piedi a destra, immobile e di profilo ha un atteggiamento altero, quella più indietro, che cammina oscilla verso destra e probabilmente il suo è un movimento maniacale di oscillazione del busto che il pittore ha fedelmente registrato. Lo scarto fra il grande spazio dato alla parete vuota, al soffitto alto e la prospettiva di taglio delle figurine umane è molto forte, identifica molto bene il senso di emarginazione, di solitudine, di abbandono. Lo spazio non amalgama né divide è qualcosa di estraneo, le donne protagoniste non stanno dentro lo spazio, è come se ne fossero espulse, respinte e non stanno nemmeno in relazione fra di loro : se guardiamo bene ognuna sta per sé, nessuna guarda l'altra. Ogni donna è un caso unano, una tragedia isolata. Questo aspetto di disposizione per angolo e di dislocazione addossata alla parete, degli emarginati, ritornerà in un dipinto successivo, Bagno Penale a Porto Ferraio  del 1890 ; dove lo spazio prospettico ad imbuto è dato dalle due direttrici laterali dei detenuti ( fra di essi, primo a destra, è il brigante Carmine Crocco ) addossati alle pareti durante una visita ispettiva. La luce viene dal fondo, dalla porta di ferro aperta sull'umanità dimenticata. La luce entra quasi con violenza in una tana di sepolti vivi, scoprendo l'orrore. Un orrore di tipo diverso, che fece meno scalpore, ma che nasceva dal medesimo tentativo di fare luce sugli scandali nascosti del Paese. Sull'Italia che non si voleva vedere. 

              
     Telemaco Signorini, Bagno Penale a Porto Ferraio, 1890, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze

Se ben guardiamo anche qui, i detenuti con le catene, disposti in rigorosa riga lungo le due pareti sull'acciottolato regolare del pavimento sono assolutamente estranei gli uni agli altri, nessuno guarda il compagno, o fissa in terra, o resta immobile o distaccato ed estraneo  guarda fra incuriosito e infastidito l'autorità ben vestita che avanza scortata dalle guardie in bianco. C'è lo stesso senso di freddo distacco delle agitate. Questi dipinti, al di là della denuncia sociale, erano anche un'occasione cronachistica, ritraevano situazioni estreme, uniche, segrete; avevano anche la funzione indiretta di scatenare la curiosità. Il ritratto del brigante lucano è curato nei dettagli, del volto scuro, dei capelli, dei tratti del viso, della lombrosiana fronte bassa. Signorini, durante il soggiorno all'Elba deve avergli fatto vari schizzi in posizioni di luce diversa. Il colorito del volto attesta certamente il colorito naturale di contadino del sud, ma spicca rispetto al bianco deli altri per concentrare l'attenzione su un criminale molto famoso. Nessuna fotografia sua e ve ne sono diverse lo ha meglio ritratto, anche col ceffo e l'espressione strafottente. Così nella figurazione delle agitate contava anche l'effetto di una curiosità morbosa che la gente cercava nelle deformazioni e degenerazioni del popolaresco come attestano i successi delle illustrazioni dei romanzi popolari di Carolina Invernizio o le Tavole della Domenica del Corriere. Se si pensa alla folla di persone che veniva ad assieparsi dietro alla vetrata dell' obitorio dell'Ospedale Pubblico di Parigi descritta da Zola in Thérèse Raquin, si può avere un'idea di quanto gli eccessi del popolo, criminalità, prostituzione, follia, morte violenta, potessero diventare spettacolo, di come il dolore potesse essere sfruttato, dato in pasto alla folla. Naturalmente gli intenti di Signorini sono umanitari, ma è l'immagine che da sé diventa catalizzatrice degli sguardi, indiscreti e scandalizzati, ma anche morbosamente interessati. E da qui le reazioni di Giacosa che da buon letterato non aveva mancato di sottolineare come il dipinto fosse in grado di " mettere paura ".  Nella categoria del ritratto un posto a sé dovrebbe rappresentarlo il ritratto di alienato. Qui non si tratta della interpretazione figurativa di un personaggio letterario, si tratta della raffigurazione realistica di un folle o di una folle. Theodore Gericault nel 1822 dipinse 10 ritratti di alienati visti nell'ospedale parigino della Salpiètere. Ne abbiamo conservati solo 5 gli altri sono andati perduti; erano stati realizzati su precisa indicazione dello psichiatra francese G. J. Georget che era allora impegnato ella realizzazione d un suo testo scientifico sull'argomento. Ogni ritratto indica uno stato di alienazione mentale secondo le classificazioni del medico. Il ritratto che vediamo sotto è quello di una Alienata con monomania dell'invidia . 

                   
                    Théodore Géricault, Alienata con monomania dell'invidia, 1821, Lione Musée de Beaux Arts      

L'attenzione realistica del pittore romantico della Zattera della Medusa  è estremamente precisa, ma non è legata solo a ciò che egli aveva visto nell'ospedale, ma anche a ciò che quell'immagine doveva rappresentare: i segni della follia come alterazione del volto, l'estetica del malato. La luce centrale pone in rilievo la carnagione emaciata della vecchia, le labbra strette e gli occhi arrossati, lo sguardo innervosito, il lieve sorriso ebete, il povero abito, la bianca cuffia : tutti i segnali di una sensazione fissa patologica, quella di un'invidia di un qualcuno che non c'è se non nella mente. La luce rivela uno stereotipo. E' un ritratto d una donna per un museo di psichiatria, non è una donna. Né una donna matta. Quello che si propone Signorini è un'altra cosa; non gli interessa presentare una campionatura di tipologie alterate. Le donne sono visti da una certa distanza, la figura del volto si vede appena. Solo tre possono dirsi caratterizzate, la donna semi alzata a sinistra con il pugno stretto con rabbia che urla, la donna di profilo centrale, la donna di profilo opposto a destra. Ad agitarsi è soprattutto la donna di sinistra, con questo scatto violento dei due pugni: uno in alto, uno sul tavolo. Un atteggiamento ribelle ben caratterizzato. Le altre due sembrano belle statuine, forse hanno anche una funzione di regolazione della simmetria, specie la donna a destra in bianco posta fra due donne con abiti scuri in ogni caso, esprimono con quella loro fissità assoluta, anche di più della agitata il dramma della follia: l'assenza della parola, la chiusura all'esterno, il rifiuto dell'altro, del mondo, che è cose se non esistesse. Ed esprimono anche il senso della solitudine, del vuoto intorno a loro. Se guardiamo un altro quadro di denuncia sociale, sull'esempio di ciò che a Parigi andava facendo il grande Toulouse-Lautrec, La Toeletta del mattino , del 1890,  notiamo  come nella luce mattutina che riempie la stanza abitino altre emarginate della società, le prostitute, qui intente a farsi la toletta ( in realtà solo una seduta davanti allo specchio, mentre le altre aspettano sedute sul divano a destra ), osservate dagli uomini che ne saranno clienti. 

                                               Telemaco Signorini, La Toeletta del mattino, 1890, collezione privata
Se guardiamo la pavimentazione della Toletta, notiamo come essa sia simile al quadro coevo del Bagno penale  , come tratteggi linee di simmetria definendo la prospettiva dello spazio, ma anche come questa geometria perfetta, secondo la tradizione di casa, del grande disegno rinascimentale, finisca per fare da contrasto stridente fra l'ordine apparente dell'ambiente e il disordine del soggetto. Le donne qui non sono meno sole ed isolate nel luogo, con gli altri, anche fra di loro ( nessuna si guarda, si scambia sguardi d'intesa, ma anche i due uomini sono estranei: uno si limita ad osservare, ma è impaziente per l'attesa, l'altro se ne sta stravaccato sul divano ). I dati realistici  della pura osservazione erano stati incrementati sul piano stilistico dalla attenta osservazione degli impressionisti parigini ed in particolare di Edgar Degas divenuto poi suo amico ( il grande pittore francese visitò Signorini nel suo studio fiorentino negli anni'70 dove vide ed ammirò proprio La Sala delle agitate ) . In particolare si era interessato ai molti dipinti fra 1880 e il 1885 che mostrano l'ambiente della toeletta dove è mostrata in genere una figura intera o una mezza figura nuda. Ma nelle sue donne alla toeletta il grande pittore francese aveva visto soprattutto l'eleganza formale, la perfezione del nudo, la perfetta dislocazione fra figura umana ed ambiente. Non si trattava di donne che rappresentavano un documento umano  , come fa invece nella Toeletta Signorini, ma un'immagine di atteggiamenti realistici ( lavarsi, specchiarsi, pettinarsi ), realizzati come figurazione originale, perfetta, elegante ( e si pensi alle tante, straordinarie inquadrature di schiena ). L'idea della toeletta, dunque, da Degas, ma la toeletta, dalla vita. Non diversamente l'idea della follia, ma essenzialmente la follia. La posizione di rappresentazione del pittore è sempre dal fondo di uno spazio angolare, anche qui; nelle Agitate  questo spazio illuminato, pur presentando due centri di attenzione ( anzi tre, considerato anche il fondo presso la finestra a sbarre ) sui lati dell'ambiente, in gran parte tutto lo sguardo è direzionato pesantemente verso sinistra, dove le matte sono addossate alla parete alta. E' un'idea originale che piacque anche a Degas quando vide il dipinto nello studio del pittore e lo ammirò, come testimoniò Marcelin Desbordin, amico di entrambi e del critico dei macchiaioli Diego Martelli in una lettera al pittore. Anzi sembra che la posizione degli emarginati ai tavoli addossati alla parete fosse poi ripresa da Degas nel dipinto L' Assenzio del '75-'76.


L'assenzio
Edgar Degas, L'assenzio, 1875-76, Musée d'Orsay, Paris

In questo dipinto il grande pittore francese, presa consapevolezza dei grandi temi sociali affrontati dal Naturalismo, si era interessato alla descrizione dell'emarginazione : due esseri umani intorpiditi dall'alcol e dalla dilagante droga di moda a Parigi, l' assenzio, il liquido verde nel bicchiere della donna ( in quello accanto all'uomo è  vino rosso ), sono allineati lungo la parete; l'uomo, un clochard appoggia il gomito pesantemente per non perdere l'equilibrio, la donna, quasi certamente una prostituta, poggia la schiena alla parete di legno per cadere in avanti. Il taglio prospettico d'angolo dei tavoli a sinistra ha la funzione di separare e quindi di isolare i due emarginati, mostrando così, in modo più specifico, l'abbandono e il distacco dalla "normalità" della società civile. Era un'operazione che aveva già tentato appunto Signorini. 
Nelle Agitate, abbiamo detto, colpisce questo amalgama di luce e ombre, questa divisone fra ombra e luce. La tecnica alla macchia che il Signorini al pari degli artisti che si riunivano al Caffè Michelangelo a Firenze attorno al teorico Diego Martelli, era oramai se non disconosciuta almeno considerata superata dal pittore che se ne era servito sin dalla formulazione teorica e dalla sua applicazione pratica come base del dipinto, formata cioè dalla giustapposizione di macchia-luce e macchia-ombra ( o meglio ci colore-luce e colore-ombra ), in grado sia di fungere da colore in sé, sia da chiaroscuro; questa tecnica era però alla base della sua opera e, naturalmente, riaffiorava prepotente così come aveva avuto il su esordio felice nei paesaggi veneziani e liguri di La Spezia. Se guardiamo Le acquaiole , un altro momento in cui l'attenzione al popolare è particolarmente attenta, vediamo come la separazione fra luce ed ombra in un esterno rende efficace proprio la raffigurazione dello sforzo nel lavoro, concentrando l'attenzione di chi guarda sulle due donne che portano  a fatica l'acqua con le brocche disposte sulla testa, la cui ombra è proiettata sul muretto illuminato dal sole.

Telemaco Signorini, Le acquaiole, 1862, Collezione privata
Questa separazione fra luce ed ombra è poi ripresa nel chiuso ambiente delle Agitate  con un'intenzione diversa : le nuove intenzioni sociali dovevano dare un significato anche alla distinzione fra spazio illuminato e spazio in ombra; per cui le donne sono tutte relegate nello spazio in ombra, mentre la parete bianca e liscia e vuota e in piena luce solare, come il paesaggio a sinistra qui sopra: la soluzione serviva ad accentuare il sesno di disagio e di abbandono, di isolamento: come se la luce cacciasse nell'ombra infernale della follia le reiette della vita. Un altro particolare. Si noti la perfetta, quasi statuaria posizione della donna in rosso e blu al centro, naturalmente è una posizione imposta e necessaria per mantenere l'equilibrio e per portare il vaso d'acqua senza toccarlo con la mano ( il braccio è disposto con la mano sul fianco a destra, mentre a sinistra la donna regge un bastone, forse anche per equilibrio ). Il pittore ha posto attenzione alla modalità del lavoro. Ora, nelle Agitate vi è una donna a destra della Sala che è vista di profilo come questa donna. E' vestita di bianco, immobile, probabilmente con una camicia di forza; sembra stordita o allucinata, spicca benissimo in odo inquietante fra due donne vestite di scuro:si noti la vitalità anche cromatica di questa donna attiva, che lavora, caratteristica, e si noti come l'agitata sia some un fantasma, una specie di mummia; un essere devitalizzato. Entrambe hanno una loro dignità e una loro solitudine, ma l'agitata non può proporla o condividerla. E' morta e dimenticata. Questa attenzione al sociale non verrà praticata con continuità; è un po' il limite del pittore di non seguire un filone, una'idea, ma di adattarsi a varie situazioni. Tuttavia nelle poche escursioni negli "inferni" italiani, egli è stato l'unico pittore a guardare con occhio analitico e scandalizzato quanto non doveva essere visto e non solo nei luoghi eclatanti e proibiti, ma anche nell'ambiente del quotidiano rivelando angoli oscuri dove emergevano ombre semoventi di esseri dimenticati da dio e dagli uomini, come i quartieri popolari o il ghetto ebraico della civilissima Firenze.

           
Telemaco Signorini, Il Ghetto di Firenze, 1885, Collezione privata.
         Bibliografia:

Raffaele Monti, Telemaco Signorini, Giunti, Firenze, 2007
E. Spalletti, Il nuovo dopo la macchia. Origini e affermazioni del naturalismo toscano, Milano, 2009
Telemaco Signorini e la pittura in Europa, Mantova 2009, Mostra
R. Canosa, Storia del manicomio in Italia dall'unità ad oggi, Milano, Mondadori, 1979
Il governo della follia: ospedali, medici e pazzi nel'età moderna, a cura di Luisa Roscioni, Milano, Mondadori, 2014.
www.paolocardoso.com ( sulla storia del manicomio in Italia ) Il manicomio:asilo ed esclusione, 2011
M. Fubini Liuzzi, Per condurre ad onore. ( sull'assistenza sociale a Firenze in età moderna ), Firenze, 1999.
www.dacampo.altervista.com ( arte e pazzia )