martedì 2 maggio 2017

Il primo tempo: Musici, fioriere e fruttiere ( Parte seconda )


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                                                                IL PRIMO TEMPO

                                          Musici, Fiorerie e Frutterie ( Parte seconda )



Caravaggio, Ragazzo che sbuccia un frutto, 1592-1593? ( o 1594 ), olio su tela, Roma, Collezione Privata




Il dipinto, oggi in collezione privata romana, è probabilmente, a detta di Maurizio Marini, il prototipo autografo di varie copie ( forse più di 10 ), di cui una nella Collezione Roberto Longhi, che altri considerano però perduto ( Mina Gregori, Caravaggio e il suo tempo, Catalogo Mostra, Napoli, 1984, Milano-Napoli, Electa, 1984, pp. 200-203 un secondo autografo è in collezione privata londinese, Dickinson Group e un altro di alta qualità, possibile, nella Collezione Ishizuca di Tokio  ) . Vediamo un giovane ragazzo che indossa una elegante camicia aperta sul collo e con la manica del braccio destro rimboccata poco oltre il polso, mentre sbuccia con un coltello ( nella mano destra che risulta nel dipinto a fronte l'osservatore a sinistra, come se fosse vista nello specchio ) uno strano frutto scuro, forse un melangolo ( citrus aurantium, un ibrido fra pomelo e mandarino, dal sapore molto amaro usato più in farmaceutica o in profumeria ), piuttosto che un bergamotto ( più chiaro nella buccia e molto più amaro ) o una piccola pera ( buccia troppo scura e frutto che si distanzia da quelli sul tavolo tutti piuttosto a buccia dura ). Oppure un persico ( prunus persica, la comune pesca ) Il primo acquirente sarebbe un erudito perugino Cesare Crispolti spinto dal'turcimanno'( propagandista ) del pittore Prospero Orsi ( Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, Newton Compton, 2005, n. 5, p. 374. ). Nell'elenco delle opere del Crispolti del 23 agosto 1608 si legge: " ...una figura d'un giovane dalla cintura in sù che monda un persico à oleo" ( Marini,cit., p. 374 ). E' forse la prima opera di Caravaggio che mostra frutti accanto ad una figura di giovane; l'opera forse già promessa, venne in seguito acquistata dal cardinale Scipione Borghese a seguito del sequestro di opere al Cavalier D'Arpino, presso cui si trovava. Giulio Mancini afferma che questo dipinto venne realizzato a Roma da Caravaggio, mentre era ospite di monsignor Pandolfo Pucci da Recanati, ed in seguito messo in vendita ( Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura, Roma 1957, a c. Adriana Marucchi, p. 220 ), quasi sicuramente presso la bottega di Costantino Spada, dove il pittore portò altri lavori come I Bari. Possiamo pensare, però,che questo dipinto, il primo originale, potesse essere una delle tele che Caravaggio portò con sé da Milano per farsi conoscere nell'ambiente romano e immediatamente apprezzare. Tele che mostravano in qualche modo delle novità, come la rappresentazione, sia inerte, morta, di fiori e frutti, sia inserita in un contesto dinamico della figura, come appunto nel Ragazzo che monda un frutto. Una certa secchezza della figura umana ci porta a ritenere che questo dipinto sia molto antico, una prima maniera, a mio avviso lombarda ( anche Maurizio Calvesi non esclude che si tratti di un dipinto realizzato prima dell'arrivo a Roma, www. assonet. org/caravaggio400/Calvesi-Caravaggio-i documenti e dell' altro, p. 19 ). Se guardiamo con attenzione, fra i frutti sul tavolo ci sono delle spighe che non sono di grano o di avena, bensì di riso. Ora sappiamo che il riso è coltivato, col sistema a sommersione, nella pianura Padana nella zona attraversata dal Po e poco a nord e a sud di esso. Nel XV secolo, ancora molto costoso, era poco usato, ma nel XVI secolo cominciò a servire i mercati della Romagna, dell'Emilia, della Lombardia e del basso Veneto. In altre regioni e nello Stato Pontificio non costituiva abitudine alimentare e quindi era molto difficile trovare spighe di riso nei mercati romani e laziali. Quanto al melangolo o arancia amara diffusa dagli Arabi in Sicilia, era coltivata in Liguria e anche sulle rive dei laghi lombardi Garda e Como. La scelta del frutto che appare duro, dalla buccia scura e spessa e che è noto per essere amarognolo, potrebbe essere dettata da una certa selvatichezza e esoticità, ma anche in quanto espressione simbolica del frutto proibito, amaro, che porta alla considerazione allegorica della vanità ( vanitas vanitatum ); poco o nulla credibile l'interpretazione cristologica ( l'umanità mondata, riscattata dal peccato originale, Calvesi, 1971 e Marini, p. 375. ); mentre è possibile che il giovane ( che non guarda lo spettatore, ma è intento a sbucciare il frutto con la camicia aperta che mostra il petto nudo ), costituisca anche un richiamo erotico non esplicito: in una replica o copia pescarese si vede un supposto angelo ( Marini, p. 375 ) che impone una corona regale al giovane che si vorrebbe un Cristo-giovane o redentore, ma potrebbe ben essere un amorino che, invece, incorona il giovane emblema di erotismo giovanile, sempre che si accetti la presenza nella prima versione che non si conosce, di una simile iconografia e che non sia, invece, una interpolazione successiva.

          Abbiamo visto come nel Suonatore di liuto  sul tavolo vi siano dei frutti irrorati di fresca rugiada e un vaso di vetro con vividi fiori. L'attenzione del pittore è rivolta al mondo naturale inteso nel suo rigoglio vitale, nella sua dignità figurativa, nel suo impatto visivo; certo anche nel suo carattere allegorico, ma senza che esso sia prevalente. Il pittore non è a Roma che ha sviluppato la sua attenzione, il suo interesse per il mondo naturale, è semmai in Lombardia che egli può assimilare una cultura figurativa ancora non autonoma e in qualche modo piegata ad esigenze di mero genere o di allegoria ( l'eros, la vanità, l'abbondanza ). La concezione di natura morta che da Caravaggio in poi si svilupperà pienamente negli anni milanesi e lombardi del pittore inizia a definirsi, segue strade tortuose, ma mostra chiaramente aspetti di sé a chi sa coglierne la particolarità e la novità.

              Quella che noi chiamiamo comunemente natura morta nel Seicento era detta in olandese Stilleven ( in tedesco Stilleben ), ed in Italia, con traduzione dall'originale nederlandese natura immota , ma gli oggetti naturali figurati erano anche detti oggetti di ferma e così anche la stessa figurazione d'insieme. Il termine natura morta, diffuso nel Settecento e rimasto sino ad oggi, di fatto errato, deriva invece da un travisamento linguistico nella traduzione dell'espressione nature inanimée usata da Denis Diderot per definire la pittura di Jean Baptist Simenon Chardin ( 1699-1779 ), che raffigura oggetti di uso quotidiano in contesti di spesso straordinari effetti di luce. E' chiaro che l'uso del termine finiva per comportare un'accezione negativa alla pittura di natura morta , ritenuta inferiore alla pittura sacra e alla pittura di storia. Nel Seicento invece oggetti di ferma o pittura di ferma, erano termini che indicavano una differenziazione stilistica fra quegli oggetti che erano senza mobilità e la figura umana che invece esprimeva affetti, gesti, espressioni. Negli inventari seicenteschi poi i dipinti di ferma erano spesso definiti negli oggetti rappresentati ( fiori, frutti, verdure, erbe ). Come abbiamo già indicato nel precedente post sui musici, in una lettera a Dirk van Ameyden, il marchese Giustiniani aveva detto che" Il Caravaggio disse, che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure", un'espressione che stava ad indicare sia che una raffigurazione naturale doveva avere la stessa dignità di una raffigurazione umana, che una figura umana doveva richiedere la stessa minuzia e attenzione necessaria a realizzare un dipinto di fiori. Nel Suonatore di liuto abbiamo ben visto come il vaso di vetro che riflette la luce della finestra e che contiene un mazzo di vividi fiori ( non certo morti, semmai, appunto, immoti o fermi ), possa reggere il confronto con l'appassionato e languido liutista intento a suonare. La natura ferma posta accanto alla natura in moto, nel senso di complessità di moti dell'animo e del'agire umano. Ciò è visibile anche in un altro dipinto di Caravaggio, anche se non da tutti i critici riconosciuto, il Ragazzo con caraffa di rose ( o con vaso di ) , presente nell'Inventario Borghese del 1693" Stanza IV, n. 47. Tra le due finestre sotto il cornicione un quadro di due palmi con un ritratto d'un Giovane con un vaso di rose in tela ...con cornice dorata del Caravaggio"( Marini, 2005, p. 370, n. 2 ), che doveva far parte dei quadri sequestrati al Cavalier d'Arpino ed in seguito acquisiti dalla famiglia Borghese. Maurizio Marini ne indica un dipinto così fatto in collezione privata romana ( n. 2, p. 132 ) che ritiene possibile originale dopo un esame a seguito della pulitura, altri pensano che l'originale sia perduto e che ne restino solo copie; Ferdinando Bologna, crede che l'opera, di cui si è perduto l'originale, sia da considerare una anticipazione del Ragazzo morso da un ramarro ( Bologna, cit, 2006, n. 5, p. 299 ), realizzata nella bottega del Cavalier d'Arpino.

Caravaggio, Ragazzo con vaso di rose, 1593-1594, Olio su tela, Roma, collezione privata 
                       
Se guardiamo il dipinto vediamo alcune cose interessanti: innanzitutto il carattere androgino del giovane, della tipologia di "Antinoo", il bellissimo ragazzo diciannovenne della Bitinia, amato dall'imperatore Adriano morto nelle acque del Nilo in circostanze oscure: gelosia, omicidio politico o forse per un rito magico sacrificale che sarebbe servito ad allungare la vita dell'imperatore già ammalato, divinizzato dopo la morte e riprodotto in molte immagini, sculture e monete, volute da Adriano. L'immagine di Antinoo è un'icona gay, un riferimento dell'amore omoerotico. Il giovane del tipo di Antinoo, androgino, effeminato, è presente nei quadri giovanili del pittore. Lo abbiamo già visto nel liutista appassionato, lo vediamo qui e lo vedremo nel Ragazzo con il canestro di frutta e soprattutto nel Ragazzo morso da un ramarro che i critici riferiscono al prototipo del Ragazzo con vaso di rose . In tutti questi casi si vuole sottolineare il vigore, ma anche la caducità della giovinezza. Il colore rosa unisce i fiori al giovane in una linea diagonale che va dalle guance, alle labbra truccate, al fiore centrale; la bocca socchiusa, sensuale e con evidente messaggio erotico è in rapporto semantico con la stessa rosa, non solo con quella centrale ( forse una rosa damascena ) , ma soprattutto con l'ultima, che mostra un cerchio stretto di petali rosa circondato da altri bianchi. La rosa è simbolo dell'amore sensuale sin dall'antichità; nel mito Afrodite innamorata del cacciatore Adone attaccato da un cinghiale, non potendo fare nulla per salvarlo, Afrodite-Venere si ferisce con le spine di un cespuglio di rovi e dalle gocce del sangue versato nascono delle rose rosse ( in Ovidio, Metamorfosi liber X, anemoni, in altre versioni antiche del mito Venere si punge con rose bianche che col suo sangue diventano rosse ) . Zeus, commosso dall'amore della dea decide che questo debba sopravvivere alla morte e fa si che Adone possa vivere sei mesi nell'Ade e sei nel mondo dei vivi. Fonte principale sono le Metamorfosi di Ovidio volgarizzate, come quelle di Andrea dell'Anguillara pubblicate a Venezia nel 1565  molto diffuse in ambiente veneziano e certo note a Tiziano, Giorgione, Veronese e crediamo non ignote al Peterzano. Alcune edizioni erano illustrate, come quella del Solomon, del 1557 ( cfr. B. Guthmuller, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana del Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997 per i rapporti con l'arte veneta A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano: mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1980 ) e importante era anche la diffusione del romanzo mitologico illustrato Hypnerotomachia Poliphily di Francesco Colonna pubblicato a Venezia nel 1499. Gli aspetti mitologici e simbolici dei fiori erano di certo seguiti dai pittori anche quando non illustravano il mito, come lo erano i riferimenti letterari ricchissimi per la rosa, dal Poliziano al Marino. Nell' Orlando Furioso ( I, 43 ), l'Ariosto carica il fiore di significati erotici e la paragona alla verginella: "La verginella è simile alla rosa/, ch'in bel giardin su la nativa spina / mentre sola e sicura si riposa,/ né gregge né pastor se le avicina;/ l'aura soave e l'alba rugiadosa,/ l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/ gioveni vaghi e donne inamorate / amano averne e seni e tempie ornate."E naturalmente le " tempie ornate" con la rosa dei giovani vaghi ci rimandano al Ragazzo morso da un ramarro, dove il giovane effeminato morso dal ramarro ha una rosa fra i capelli. La rosa è simbolo della caducità, della giovinezza effimera e della passione minacciata da pericoli come indica la rosa stessa con le sue spine.  Naturalmente era anche ben noto il simbolismo religioso, in cui la rosa è associata alla Vergine Maria ( tipica la figurazione medievale della Madonna nel Giardino delle rose ) e la rosa bianca è simbolo della sua purezza.

             I fiori in genere sono portatori di un ricco simbolismo che i pittori conoscono e che gli stessi fruitori delle opere, almeno i più colti erano in grado di riconoscere e spesso erano gli stessi committenti a chiedere determinati fiori-simbolo. L'iris, ad esempio, è il fiore della Vergine Maria, la sua forma a spada può alludere al dolore della Madonna per la morte di Gesù, il colore azzurrino al cielo, la forma a tre, alla Trinità. Sul retro del Ritratto di un giovane orante di Memling del 1485-1490 vi è un vaso di ceramica ( posato su di un tavolino coperto da un tappeto caucasico ) con sopra il monogramma di Cristo e  dentro degli iris insieme a gigli e aquilegie. L'uomo in preghiera è sicuramente il committente mostrato in atto devozionale. Possiamo dire che questo è una specie di "doppio ritratto" con finalità morali: da una parte la figura umana, dall'altra la figura naturale estremamente curata, come in genere erano gli stilleben fiamminghi.

Hans Memling, Vaso di fiori. Retro del Ritratto di giovane orante, 1485.1490, Madrid, Museo Thyssen Bornemisza 
  
Qualcosa di questo vaso di fiori ci ricorda il vaso posto sul tavolo del Suonatore di liuto ( nella versione ex Giustiniani il tavolo è di marmo, in quella ex Del Monte il tavolo è coperto da un tappeto orientale, come qui ); ma gli svettanti, vivi, iris non hanno un significato cristologico come qui ( l'insieme dei fiori allude a Maria e allo Spirito Santo, l'ris anche alla Trinità e al Cielo ), ma sono un simbolo di speranza ( Iris-Iride era la dea messaggera che volava in cielo portando i messaggi degli dei agli uomini sulla terra ) ( sui significati cfr. DAE, Dizionari Arte Electa, La natura ed i suoi simboli, di Luisa Impelluso, Milano, Electa, 2003 e Mirella Levi D'Ancona, The garden of Renaissance:botanical symbolism in Italian painting, Firenze, Olschki, 1977 ).

Caravaggio, Suonatore di liuto, 1595.96, San Pietroburgo, Museo dell' Ermitage

Nel vaso dell'Ermitage vediamo gelsomini, una rosa damascena, aster, rosa gallica, iride bianco selvatico, iride violetto domestico o germanico odoroso, calendula, ginestra, aquilegia vulgaris, la rosa canina e la mathiola incana purpurea ( Marini, 2005, p. 162, n. 17 ). Sarebbe naturalmente ozioso e fuorviante cercare singoli simbolismi, non è questo che serve: i fiori colpiscono per la loro verosimiglianza, sollecitano l'ammirazione e lo stupore per la perizia rappresentativa, per la varietà cromatica e botanica, per il senso materico suscitato. Magari nel loro insieme, associati alla frutta e agli strumenti del suono forniscono un richiamo simbolico d'insieme, quello dei 5 sensi: l'olfatto ( i fiori ), il gusto ( la frutta ), l'udito ( il liuto e il violino ), la vista ( le figure materiali, naturali e umana ), il tatto ( il senso materico suscitato dagli oggetti ). L'insieme dei piaceri offerti a chi guarda. Il rapporto fra voluttà e vanità, il senso di malinconia e languore, forse per una passione perduta o inaccessibile ( il giovane dalle labbra dischiuse sta lacrimando ). Non sembrano possibili altri significati, come quelli di tipo cristologico. Abbiamo visto sopra come il rapporto simbolico in questo senso è chiarito ( il monogramma, la posizione dell'orante ), ma anche se si trattasse di un significato nascosto questo non ha luogo: la scena è solo profana e, a mio avviso, lo sono tutte le immagini di giovani raffigurate dal primo Caravaggio.

               Certamente una importanza non secondaria fu lo studio empirico e scientifico della natura fatto in specie nei paesi del nord e ricordiamo botanici come Fuchs, impegnati a fornire una visione più naturalistica agli erbari medievali, a rappresentare ciò che una pianta o un frutto è e non ciò che si vorrebbe che fosse. Vennero realizzati i primi orti botanici con finalità di studio universitario, come quello presso lo Studio di Pisa realizzato da Luca Ghini, maestro di Aldovrandi e Cesalpino nel 1545. Lo stesso Aldovrandi ne istituisce uno a Bologna nel 1565 ed altri vennero realizzati in Francia e Germania. Ulisse Aldovrandi, naturalista e botanico ( ne abbiamo il ritratto di Agostino Carracci ), fu uno dei più importanti studiosi della varietà del mondo animale e vegetale del suo tempo, istituì a Bologna il Teatro naturale e scrisse molti testi di entmologia, botanica e zoologia ricchissimi di illustrazioni. Per Ulisse è fondamentale, per la conoscenza, l'osservazione diretta e l'illustrazione dell'oggetto. Scrive: " Non  ho mancato nell'età mia di descrivere tutte le cose naturali e animate, ovvero inanimate, che mi sono venute alle mani e di farle dipingere tutte et disegnare a diversi pittori et disegnatori perché io conosceva veramente che questa è la strada da fare frutto per i posteri" ( Marinella Haxirai, Aldovrandi il museografo, Bononia University press, 2017, pp. 32-33. Per le illustrazioni, G.Olmi, Ulisse Aldovrandi, in FMR, 7, 1982. ). L'efficacia visiva del disegno nella rappresentazione di piante e animali è nell'esempio di un  insetto stecco realizzato da Agostino Carracci ( Haxirai, cit., tav.20 ). Aldovrandi, a proposito della riproduzione figurativa delle piante da parte del pittore precisa che è necessario avere la pianta fresca, perché "le piante essiccate non si fanno dipingere" ," Ma chi haverà la pianta viva innanzi agli occhi non è dubbio che se egli è eccellentissimo pittore, l'imiterà in ogni minima parte" ( Haxirai, cit., p. 59 ). Sebbene non ci si possa riferire esclusivamente a quella che è poi una illustrazione scientifica da quella che è un' opera d'arte, queste parole ci appaiono significative.  Aldovrandi dimostra grande ammirazione per gli illustratori nordici dei libri e dichiara che per le sue illustrazioni gli necessitano pittori e miniatori che non siano anche pittori o disegnatori di altre cose, ma siano propriamente specializzati in questo genere di illustrazioni, la natura raffigurata nella sua vitalità, non una natura dormiente o morta. Uno dei suoi più stretti collaboratori, con il quale studiò attentamente come riprodurre in pittura i colori naturali, fu Giovanni de'Neri, autore di ben 7000 figure di uccelli. Ma Aldovrandi si dervì anche di artisti di affreschi sacri come l'emiliano Procaccini il quale nella Creazione di Eva, della chiesa di San Prospero a Reggio Emilia, raffigura un Paradiso Terrestre con animali e piante tutti ritratti dal vivo. E va anche detto che la cultura naturalistica fu senza dubbio importante e significativa per alcuni artisti naturalisti emiliani come il Passarotti e il Cavazzoni e molte figurazioni del Museo del naturalista bolognese circolavano a Venezia e in città lombarde ed erano spesso consultate dai pittori ( Haxirai, pp.67- 68, ). Jacopo Ligozzi pittore e miniatore, pur non lavorando alle dipendenze con Aldovrandi è fra tutti il più lodato dallo scienziato bolognese per la sua straordinaria capacità di illustrazione del mondo naturale usando punte e pennelli finissimi e tratto e colori del tutto atti alla raffigurazione del verosimile. Il veronese Jacopo lavoro come illustratore naturalista per la corte medicea dove, per ammissione dello stesso Aldovrandi aveva ritratto più di 80 piante dal vero in modo mirabile. Alcune bellissime tempere di piante sono oggi conservate a Firenze presso il Gabinetto dei disegni degli Uffizi ( Categoria" Ornato" ). Secondo Eugenio Battisti Caravaggio nel suo viaggio verso Roma avrebbe potuto fermarsi a Bologna e a Firenze presso l'Aldovrandi e il Ligozzi e aver preso conoscenza dell'illustrazione scientifica del mondo naturale ( Eugenio Battisti, L'antirinascimento, Milano, 1962, pp. 276-277 ) insistendo sul fatto che la famosa fiscella dell'Ambrosiana " ha una storia che potrebbe essere stata ricostruita da un botanico". Giustamente Ferdinando Bologna ha sottolineato come l'Aldovrandi non considera né la figura umana né l'estro e l'invenzione del pittore, la sua attività mentale, ma la riproduzione del mondo naturale è un fatto nell'illustratore puramente materiale, meccanico al servizio solo della scienza ( Ferdinando Bologna, cit., p. 57 e 568, n. 5 ). Quindi l'artista dovrebbe porsi al servizio dello studio scientifico, in qualche modo" spersonalizzarsi" e ciò non è proprio del carattere di libertà e autonomia artistica sempre mostrato da Caravaggio. Tuttavia il Battisti ha ragione nel sostenere che Caravaggio giunse a Roma con una conoscenza naturalistica ben esercitata e questa conoscenza, per la presenza di alcuni particolari quasi microscopici, per l'osservazione delle patologie vegetali, è possibile che fosse stata osservata non solo tramite l'osservazione diretta, ma anche attraverso la visione di qualche volume illustrato, senza per questo dare importanza all'aspetto della pianta in quanto oggetto scientifico, ma della pianta come oggetto botanico in sé, da riprendere nelle sue particolarità naturali, patologiche, curiose,straordinarie: il pittore qui non si pone al servizio dell'illustrazione, bensì si serve dell'illustrazione per creare la sua pianta, la sua idea di fenomeno vegetale.

Jacopo Ligozzi, Tavola Naturalistica con uccelli e ficus carica,
1577-1587c Firenze, Gabinetto disegni e stampe 
         

Nel cap. XXIII del suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane, scritto nel 1582, Gabriele Paleotti, tratta " Delle pitture profane che rappresentano varie cose come guerre,paesi,edifici,animali,arbori,piante e simili" e dopo aver considerato che si tratta di cose inutili per il cristiano, precisa che "se bene paiono infruttuose, nondimeno non è così, e servono per ornamento, et imitando il vero terminato dalla ragione dell’arte, figurano compartimenti di broccati, ricami, fregi, marmi, porfidi, bronzi per abbellimento de pavimenti, di palchi, di muraglie et altri luoghi. E queste non riproviamo, né mettiamo propriamente in numero delle vane, purché siano fatte col suo decoro e proporzionate ai luoghi." ( www.memofonte,it/home/file/pdf/scritti/paleotti, p.356). Aggiungendo; " quasi tutte le cose naturali e artificiali, opportunamente dipinte, possono servire di qualche utile alla vita come...effigie d'animali, di piante, di pietre, cose d'architettura". Come osservato giustamente dal Bologna questo passo si ricollega all'altro scritto da Federico Borromeo nel De pictura sacra :" Volendo per esempio dipingere san Giovanni nel deserto [ i pittori ] lo mettono in un angolo oscuro e trascurato, e riempiono la scena di animali, di piante, di rocce, con varia prospettiva. Molto più opportuno si sarebbe rappresentata quella varietà di scena in un'altra tavola"
( Ferdinado Bologna, 2006 citazione da De pictura sacra di Federico Borromeo, p. 285. Il testo si può leggere in www.storiadimilano.it/arte/FBorromeo-pittura/federico/borromeo/pdf  ) . La cosiddetta natura morta può dunque essere consentita se estranea alla scena sacra, relegata in appositi spazi di raffigurazione che potranno anche essere le illustrazioni scientifiche, ma anche pitture apposite sempre che siano segnate da proporzione e decoro. E sappiamo quanto il cardinale Federico avesse ammirazione per i fiori del pittore fiammingo Brueghel e come avesse acquisito la bellissima fiscella dello stesso Caravaggio per la sua collezione milanese all'Ambrosiana. Jan Brueghel il Vecchio (1568-1625 ), detto "dei velluti" ( per i colori vellutati dei suoi fiori dipinti ), era uno specialista del genere floreale che aveva in ambito fiammingo connotazione di vanitas . Le sue composizioni sono ricchissimi di fiori colorati ( in un dipinto realizzò più di 50 specie diverse ). In genere i fiori compaiono in vasi di vetro e porcellana, in caraffe o uniti a frutti o insieme a gioielli sparsi e spezzati; a volte erano associati fiori freschi e bagnati di rugiada insieme a fiori avvizziti. La raffigurazione voleva essere un monito a non lasciarsi vincere dalle cose vane, destinate a sfiorire, a durare un tempo limitato. Non sono estranei simbolismi cristologici ( giglio bianco= purezza; giglio selvatico=la grazia; la viola del pensiero=divinità;garofano= divina incarnazione di Cristo ) e allegorie profane ( i cinque sensi, la giovinezza ). Brueghel fece il suo primo viaggio in Italia nel 1589 e nel 1595 entrò alle dirette dipendenze come pittore del cardinale Federico Borromeo. I suoi quadri sono anche grandi allegorie di paesaggi boscosi e di interni che rappresentano i sensi ( l'udito evidenzia una sala da musica; il gusto una tavola imbandita in un esterno incredibilmente ricca di cibi, di animali morti e vivi; la vista uno studio di pittore zeppo di quadri dello stesso pittore o naturalistiche scene di vita evangelica, come il Riposo nella fuga in Egitto, dove le figure sacre sono assorbite dalla grandiosità naturale del bosco ( cfr. Robert Keith, Jan Brueghel, Phaidon, London,2002 ). Ma di lui si ricordano soprattutto i vasi di fiori. I fiori in un vaso di cristallo trasparente di Vienna, del 1599, sono un esempio della straordinaria arte di questo pittore. Colori vellutati, trasparenze di luce sulla superficie del vetro, sottile gioco di ombre, fondo nero che spinge in avanti verso lo spettatore il vaso. Come ha osservato Ferdinando Bologna Federico Borromeo non dà particolare importanza all'aspetto allegorico-simbolico, sembra anzi trascurarlo, è più ammirato dalla perizia tecnica, dalla varietà dalla bellezza dell'insieme. In questo senso il dipinto profano non è giustificato moralmente dai suoi significati, bensì magnificato per le sue qualità artistiche ( Ferdinando Bologna, cit., p. 134 ): " Vi sono anche i lavori di Giovanni Brueghel di piccolissime dimensioni-afferma parlando dei dipinti della sua collezione-i quali abbracciano, per così dire, quanto di grandioso e di rinomato vi è in arte, sicché tu puoi ammirare la grandezza e la sottigliezza...Fu egli meraviglioso nel suoi genere e seppe dare a quelle piccolissime figure tanta nobiltà e tanta vita da lasciare incerto a chi le mira intorno alle dimensioni delle cose dipinte"( Bologna, p. 135 ). Come afferma lo studioso l'elogio del pittore è dovuto essenzialmente al fatto che"l'aspetto di universalità fosse il risultato della capacità di imitare la natura nella'facilità'che della natura è l'essenza" Ammirazione dovuta però non tanto al rapporto felice fra chi guarda e ciò che vede, quanto piuttosto alla idealizzazione e sublimazione di ciò che è visto. Una natura trasmutata in figura, tale da perfezionare la realtà naturale stessa. E forse questo aspetto, afferma sempre il Bologna, non gli permise di comprendere appieno le novità della canestra di frutta del Caravaggio, alla quale non sembra, come si dirà, fornire troppa attenzione.

Jan Bruegel il Vecchio, Vaso di fiori, 1599c, Wien Kunsthistorisches museum


                 Svetlana Alpers in Arte del descrivere,del 1983ha avuto il merito di fornire agli specialisti e agli interessati all'arte di fine secolo, il materiale figurativo elaborato nelle botteghe del nord, in Olanda e in Belgio che si basa essenzialmente su una minuziosa osservazione del reale naturale; un'arte descrittiva che non è più legata strettamente alle fonti letterarie di modo che l'artista ha una sua propria visione dell'oggetto raffigurato che è indipendente da interpretazioni libresche e iconologiche o che, quanto meno esse hanno un rapporto con le cose figurate minimo o secondario. Importante è la considerazione che la studiosa fa del fatto che Caravaggio era stato particolarmente attratto dalla tradizione nordica ( Svetlana Alpers, Arte del descrivere, Roma, Donzelli, 1983, p. 10 ) e questo, a mio avviso, dalla sua attività milanese e soprattutto da quella. La priorità data al senso del vedere, all'analisi della realtà, al valore dell'ottica, all'uso delle lenti e degli specchi. A proposito della natura morta del Seicento la Alpers, afferma che" gli oggetti vengono offerti alla esplorazione dello sguardo" ( Alpers, p, 249 ) . Importante anche l'osservazione dei giochi di luce sui recipienti che permettono di distinguere la materia, il vetro dal metallo o dal tessuto, un aspetto che è visibile nell'opera del Caravaggio. Ferdinando Bologna nel suo riferimento alla Alpers, al di là delle importanti considerazioni sul valore del vedere analitico della realtà naturale degli artisti del nord, trova un appoggio sostanziale per contestare l'interpretazione iconologica, o meglio la sua esagerazione in particolare quella cristologica sul Caravaggio sostenuta da Maurizio Calvesi. Tuttavia crediamo che un aperto simbolismo profano e sacro sia sottinteso in alcuni dipinti tardo rinascimentali nordici : se guardiamo ancora al Brueghel, non possiamo negare la giustezza dei titoli e della interpretazione di quadri che alludono chiaramente ai cinque sensi e in taluni altri di soggetto sacro la presenza del fiore non è un ornamento, ma ha un chiaro valore simbolico, come la Madonna con la ghirlanda di fiori . Se l'allusione simbolica è esplicita per l'associazione dell'oggetto naturale alla figura sacra, non si può negare che vi sia intenzionalità, anche da parte del committente a sottolineare l'aspetto simbolico. Altro discorso quando la scena sacra è di ambientazione e quest'ultima finisce per essere totalizzante, finisce per emergere al di sopra di essa, come nel Riposo nella fuga in Egitto ; ed altro discorso ancora è nella figurazione dei soli vasi di fiori, che finiscono per essere l'oggetto del tutto vedere e del tutto significare, essi significano solo ciò che sono: fiori, non vi è altra indicazione né esplicita né implicita né nascosta. Il caso di Caravaggio è particolare: egli mostra innanzitutto l'assenza di gerarchie figurative: vi è uguaglianza e pari dignità fra gli oggetti naturali e la figura umana, come nel Ragazzo con vaso di rose o nel Suonatore di liuto ; il simbolismo è secondario, quello che si vede è l'aspetto più importante. Ma la figurazione ha un altro aspetto, che è quella della teatralizzazione; nel Suonatore ( ma anche nel Ragazzo con vaso di rose ) non recitano solo le figure umane, ma anche gli oggetti con la loro posa. L'intenzione del pittore è di allestire una scena teatrale ( vedremo in altro post i suoi rapporti col teatro dell'arte specie in lombardia e nell'ambito dell'Accademia di Blenio ) ed il simbolismo è in rapporto alla rappresentazione e al suo soggetto, la struggente giovanile passione amorosa in questi due dipinti che sono in rapporto anche con Il ragazzo che monda un frutto, sebbene qui non vi sia un coinvolgimento espressivo come negli altri, ma il giovane, che ha la camicia aperta come il Suonatore esprime un suo erotismo, più contenuto, ma non diverso e se c'è simbolismo esso è legato a questo erotismo magari acerbo e nascosto, ma esistente. Pertanto sono fuorvianti e forzate le interpretazioni di tipo cristologico perché escono dal contesto proprio e ve ne sostituiscono un altro ( il supposto angelo che incorona il giovane, come detto, se non è una interpolazione tarda, è un amorino, un eros che incorona la giovinezza che è ancora acerba, dura come la buccia del melangolo che il giovane sta togliendo al frutto: è una rivelazione dell'eros, semmai, una scoperta dell'intimo ).

                Torniamo alla natura morta. Oltre alle fioriere, al gusto per i fiori vivi e in posa, anche i frutti compaiono come figurazioni sia nell'ambito di un soggetto complesso profano o sacro, sia, ma è un caso piuttosto raro a fine Cinquecento, come soggetto a sé, ancora se non ancora consapevolmente autonomo come sarà per la fiscella del Caravaggio. Abbiamo già detto come nell'arte fiamminga i pittori volendo aggirare le censure ecclesiastiche ed essere liberi di esprimere soggetti profani come vasi di fiori trovavano l'espediente di inserirli in opere sacre, o nel rovescio di esse come nel caso di Memling che abbiamo già visto o nell'altro caso di Hugo van der Goes con l'inserimento nel Trittico Portinari ( c. 1478 ), che abbiamo agli Uffizi a Firenze di due bellissimi vasi di fiori; questi fiori possono anche avere un significato simbolico, ma certo sono esempio di una accurata descrizione del loro aspetto naturale. In Italia, invece, l'inserimento di fiori e frutti è quasi del tutto subordinato al soggetto e quindi i naturalia presenti sono prima di tutto portatori di un significato simbolico moralistico o cristologico : un esempio complesso è la Madonna della Candeletta di Carlo Crivelli, del 1490, a Brera dove abbiamo la Madonna in trono circondata di fiori e frutti ( il vaso con i gigli e le rose in basso indica la purezza e la virtù di Maria Vergine; la pera nelle mani del Bambino indica la bontà e la dolcezza con il quale Egli si apre al mondo, il cetriolo che si mostra nella corona di verdure e futti, indica perdizione umana ma è distante dalla Vergine, non la tocca e quindi Essa è lontana da ogni forma di peccato comune agli uomini ). Un cambiamento, in aerea lombarda, si ha con la rappresentazione di frutti del mercato che sottintendono l'abbondanza e la varietà ed evidenziano un'attenzione dei pittori per la natura in quanto cibo e in quanto prodotto di vendita, espressione dei mercati cittadini. Spesso sono gli stessi committenti ad ordinare questa abbondanza di prodotti di mercato da esporre in spazi in relazione ad essi quali ad esempio le sale da pranzo dei palazzi signorili, dove l'abbondanza di cibo è ricchezza e prestigio del signore. E' il caso, ad esempio, della Fruttivendola di Vincenzo Campi del 1580 a Brera. Il pittore aveva anche realizzato altri mercati , con altra tipologia di prodotti e altra abbondanza ( la Pollivendola, la Pescivendola ). Il ricco banchiere tedesco Fugger aveva commissionato a Vincenzo, repliche di questi dipinti da collocare nella sua sala da pranzo nel castello di Kirchheim, 5 dipinti di forte sapore naturalistico con soggetto di mercati, sicuramente ispirati ai mercati di Cremona ( i dipinti originali prima di essere ospitati a Brera erano collocati nel convento di San Sigismondo a Cremona ) e realizzati anche grazie agli esempi nordici di un Peter Aersten e di Joachim Benckelaer, famosi per le accurate raffigurazioni di cucine . Il primo, olandese, di Amsterdam ( 1508-1575 ) che lavorò molto anche in Italia ed ebbe contatti con Jacopo Bassano, divenne famoso per il suo gusto naturalistico accuratissimo tanto da essere un precedente importante per Jan Brueghel. Il pittore dava una particolare importanza ai suoi mercati e cucine , al punto che talvolta la scena religiosa viene posta in subordine alla scena di mercato che diventa più importante ed è più curata e realistica tutta in primo piano, come ad esempio nell'Ecce Homo dell' Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. I piaceri umani, il gusto, l'abbondanza sono aspetti sottintesi alle opere di Aersten che ebbero una notevole influenza in pittori attenti alla pittura di genere e sui fratelli Campi in particolare. Un'opera come il Venditore  di frutta e verdura del 1567, Berlino, Staatliche Museum è vicina alla Venditrice di frutta di Vincenzo.  


Vincenzo Campi, Fruttivendola, 1580, Milano, Brera 

Peter Aertsen, Venditore di frutta e ortaggi, 1567, Berlino, Staatliche Museum
   
            Le figurazioni di frutta e ortaggi nascondevano simbologie erotiche, la presenza dei fichi spaccati, dei cetrioli, della zucca, erano altrettante simbologie sessuali, Aertsen oltre alle grandissime capacità descrittive della natura quotidiana dei mercati, era anche dotato di uno spirito ironico e malizioso. In quest'opera è anche sottintesa con i cetrioli in primissimo piano ( simbolo fallico ), la fecondità e la riproduzione, il valore sessuale degli ortaggi che è anche rafforzato semanticamente, nella scena da una figurazione amorosa sul fondo con l'uomo e la donna che si abbracciano. Il fico spaccato o la zucca sono altrettanti simboli erotici con valore propiziatorio e di fecondità. Pensiamo al malizioso inserto seminascosto nella Villa della Farnesina a Roma realizzato da Giovanni da Udine nella Loggia di Psiche, dove nel particolare della zucca vediamo un fico rosso spaccato a metà penetrato da una zucchina in chiara forma di pene. In un'altra Fruttivendola di Vincenzo Campi vediamo una zucca spaccata sul grembo della donna; questa ha nelle mani un vassoio o piatto colmo di frutti fra cui spiccano i fichi che sono posizionati in direzione dell'uomo a sinistra. Lo stesso maschio compie un gesto di chiara simbologia erotica mettendosi un dito nell'orecchio, mentre a destra un uomo getta frutti dall'albero nel grembiale aperto della donna in basso. Temendo un'interpretazione pericolosa nella raffigurazione profana delle frutta e dei vegetali ( le censure controriformistiche sulle immagini abbiamo visto come erano particolarmente severe e Gabriele Paleotti, nel suo Discorso sopra le immagini aveva bacchettato ogni forma di figurazione inopportuna, senza decoro e scandalosa ), Vincenzo Campi era stato costretto in una delle sue fruttivendole ad inserire laddove veniva meno lo stretto contesto del mercato perché inserito in uno spazio naturale più ampio e più paesaggistico, ad inserire un alto giglio bianco come quello presente nell'Annunciazione, per sottolineare che va solo a dio creatore il merito della varietà delle forme e dei tipi dei vegetali e dei frutti ( cfr. Arte erotica in www.stilearte.it/ 21 settembre 2016 ), come della prosperità e fecondità ( e vediamo come più indietro un uomo e una donna raccolgono frutti gettati dall'albero da un uomo ). L'analogia fra il senso del tatto come mezzo per mostrare e sentire la consistenza della frutta da parte della fruttivendola e il senso del tatto come evidenza erotica è spesso mostrato, ad esempio da un altro pittore fiammingo specialista in mercati e cucine, Joachim Beuekelauer ( 1533-1570-74 ), in opere come Mercato di campagna e Donna che vende verdura , la fruttivendola tocca con una mano una zucca e un uomo le tasta il seno. Si tratta di analogie, simbolismi, allusioni che non vanno sottovalutate nel discorso della rappresentazione dei naturales , la simbologia erotica era spesso usata perché richiesta anche dagli stessi committenti. La scelta di Beukelauer era propriamente popolaresca e dallo stesso mondo popolaresco, dai mercati spesso esposti egli traeva anche i suoi significati erotici. Così come le sue stilleven ebbero tanta fortuna presso i pittori italiani di fine Rinascimento e del Seicento, allo stesso modo lo ebbero anche le sue simbologie e le sue allusioni erotiche ( un pittore che aveva risentito delle suggestioni fiamminghe e si era dedicato a scene popolaresche alle quali non mancavano significati erotici era Bartolomeo Passerotti o Passarotti, nato nel 1529 e morto nel 1592 ). I naturalia di Beukelauer sono sovrabbondanti nelle sue scene e spesso in primo piano, offrono una ricca abbondanza, una strabocchevole prosperità al punto da oscurare quasi completamente la scena sacra laddove essi vi sono presenti. Ad esempio in Mercato di pollame sulla strada per Emmaus , del 1560 conservata alla Royal Picture Gallery Maurishuis a De Hague nel sud dell'Olanda, in cui la presenza sacra è miniaturizzata nell'angolo in fondo a destra, del tutto insignificante rispetto a carni, pollame, frutta e vegetali di orto che occupano tutta la scena del quadro.


Joachim Beuckelauer, Mercato di pollame e vegetali sulla strada per Emmaus, olio su tela, 1560,  De Haag, Royal Picture Gallery Maurishuis

Sarà poi Caravaggio a ridimensionare canestri di naturalia e personaggi sacri inserendoli in un ambiente popolaresco contemporaneo come può essere un'osteria, ad esempio nella Cena in Emmaus di Brera, del 1606. E questo ridimensionamento era già iniziato prima negli juvenilia , nel dimensionamento prospettico e significante fra figura e fiori e frutti, delle prime opere nate nella cultura figurativa lombarda. Ora ci si chiede se prima dell'esplosione figurativa della Fiscella  acquisita dal cardinale Federico Borromeo per la sua collezione all'Ambrosiana di Milano ma probabilmente acquistata a Roma dallo stesso Caravaggio, della sua straordinaria ed autonoma espressione pittorica, Michelangelo Merisi avesse avuto modo di formarsi figurativamente su dipinti di stretta autonomia naturale, vale a dire senza la figura umana. Abbiamo già detto dei vasi di fiori di Brueghel così tanto apprezzati dal cardinal Federico ( Caravaggio stesso aveva dipinto per il cardinale Francesco Maria del Monte un vaso di fiori senza figura umana, un dipinto autonomo perduto presente nell'Inventario dei beni del cardinale del 1627, cfr. Marini, 2005, p. 429. Lo studioso crede di poterlo ravvisare in un dipinto di collezione privata romana databile al 1597, n. 29 ) e sappiamo che i pittori fiamminghi sempre alla ricerca di espressioni di acceso naturalismo e accurati descrittori dei naturalia  nelle loro opere avevano cercato di portare frutta, verdura, cacciagione, pesci sempre più in primo piano nei loro mercati e cucine ed avevano posto attenzione anche alle novità di prodotti venuti dalle Americhe ( agrumi, meloni, pesche ) che costituivano curiosità alimentari ed interessavano i ricchi committenti borghesi che in Olanda in  particolare erano gli stessi mercanti ricchi. Il cibo non solo come abbondanza, ma anche come rarità preziosa da mostrare. Furono i pittori popolareschi di metà e fine secolo decimosesto che in Olanda aprirono la strada con i loro mercati e cucine ai grandi specialisti delle nature morte autonome del XVII secolo ad autori di grande qualità come Peter Claenz, Willem van Heda, Van Dijck ed altri che realizzarono gli ontbijt , il termine olandese che significa colazione , dipinti di frutti e cibi e fiori accompagnati da straordinarie cristallerie di caraffe, bicchieri, calici, tedeschi e boemi e da piatti e contenitori in porcellana cinesi posti su di un piano, tavoli di legno, in lamina di metallo, in marmo, coperti da tovaglie preziose spesso di origine orientale ( Silvia Danesi Squarzina, Tracce per lo studio della cultura figurativa fiamminga e olandese dal XV al XVI secolo, Firenze, Aperion, 1997. Bert W Meijer, Fiamminghi e Olandesi. Dipinti dalle collezioni lombarde, Milano, Silvana, 2002 Stefano Zuffi, La natura morta, Milano, Electa, 1999  ). La Lombardia, Milano, Cremona, Bergamo in particolare, vivono l'intrecciarsi di tante esperienze pittoriche e mostrano un particolare interesse proprio per i dipinti popolareschi e la natura morta fiamminga e olandese al punto che nel Seicento sono molti i collezionisti che se muniscono per accrescere e valorizzare le loro collezioni. Nella Milano borromaica, quando vi vive Caravaggio l'interesse per i naturalia è piuttosto vivo grazie agli apporti stranieri e ai mercati e cucine dei fratelli Campi. Nei mercati cittadini degli anni '80 la città ambrosiana, una delle più urbanizzate  poteva contare su un apporto alimentare ricco e vario, i prodotti giungevano anche da luoghi lontani e le importazioni compensavano i periodi di magra ( cfr. D.Sella, L'economia lombarda durante la dominazione spagnola, Bologna, Il Mulino, 1982, pp.16-18). I ricchi borghesi mercanti non di rado erano committenti di opere d'arte con interesse alla pittura naturalistica e popolaresca, allo stesso modo vi erano committenze nobiliari italiane e spagnole. Le immagini profane dovevano naturalmente fare i conti con la rigida impostazione tridentina di Carlo Borromeo che aveva dettato come andavano fatti gli edifici sacri, le loro suppellettili, gli ornamenti e gli spazi e oggetti della liturgia e dei sacramenti ( le note Instructionem fabricae et suppellectis ecclesiasticae libri duo del 1577  ) e a proposito delle pitture di ornamento, i parergi, ne parla nel capitolo XVII, che non devono essere profani, né voluttuosi, né volti al diletto estetico e non debbono mostrare uccelli o il mare o campi verdeggianti; a meno che queste cose non facciano parte integrante della storia sacra, non siano cioè previsti dal vangelo: la chiesa quindi non deve avere alcuna immagine che sia svincolata da ciò che è sacro e che per questo accettabile e valido nello spazio della chiesa. Una posizione non diversa da quella offerta nel Dialogo dal suo amico Gabriele Paleotti. Abbiamo già visto come le censure avevano colpito alcuni pittori come Aurelio Luini che era stato costretto a sospendere la sua attività di pittore e come alcuni pittori si erano ritagliati spazi alternativi come quello dell'Accademia di Blelo di Gian Paolo Lomazzo e come l'unico aiuto ad una committenza e promozione artistica non in linea arrivasse quasi da contraltare da un altro Borromeo, Pirro. In questo ambiente così variegato e ricco culturalmente, l'interesse per i naturalia aveva spinto alcuni pittori verso la composizione di opere che fossero in qualche modo solo ciò che erano, senza contesti o figure umane di contorno: prodotti alimentari, come frutti, offerti alla ammirazione per la perizia esecutiva, per l'attenta descrizione, composti in cesti o piatti. Non è certo consapevolezza di autonomia come sarà per la Fiscella di Caravaggio, ma un'attenzione per il particolare, per il dettaglio, per il primo piano figurativo, ma anche per la novità, la particolarità, per la capacità di riprodurre la materialità, il senso tattile, di suggerire il gusto, l'olfatto, di eccitare la vista. Parliamo ad esempio del Piatto di pesche  ( esattamente Piatto metallico con pesche e foglie di vite )di Giovan Ambrogio Figino, amico di del Lomazzo e, come abbiamo visto, conoscente del Caravaggio, probabilmente per il tramite del Peterzano. E' un incunabolo di natura morta e un unicum. Prima del Merisi, ma probabilmente senza che lui lo potesse vedere, dipinto in un periodo in cui Michelangelo era impegnato prima con vendite e divisioni ereditarie, poi impelagato in un fatto di cronaca. Tuttavia il fatto che forse il Figino lo aveva aiutato ad uscire dai guai in cui si era cacciato potrebbe farci credere che vi fosse un contatto ed anche uno scambio di idee e di esperienze pittoriche.

Giovan Ambrogio Figino, Piatto metallico con pesche e foglie di fico, olio su tavola, anni '90 del XVI, forse dopo il 1591-92, Milano, Collezione privata.
Oltre all'opera del Figino che non sembra avere un seguito nella sua produzione, attenzione va messa alla pittrice Fede Galizia figlia del miniaturista trentino Nunzio nata forse a Milano ( o a Trento ) nel 1574 piuttosto che nel 1578 ( Giacomo Berra, le Alcune puntualizzazioni sulla pittrice F. G. attraverso le testimonianze del letterato Gherardo Borgognoni, in Paragone, XL ( 1989 ), pp.14-29 e sull'artista dello stesso, La natura morta nella bottega di Fede Galizia, Osservatorio delle arti, V ( 1990 ), pp. 55-62 ) , formatasi nella bottega del padre, che oltre a miniature molto raffinate disegnava vestiti da parata e abiti teatrali, Fede mostra un grande talento pittorico di cui abbiamo prova in alcune opere come Giuditta ed Oloferne del 1596 oggi nel Ringling Museum of art di Sarasota in Florida. Forse sollecitata da Arcimboldi iniziò a lavorare a studi di natura morta sul tipo di quello che vediamo sopra del Figino, che forse conosceva. Non è chiaro quando iniziò a dipingere nature morte, ma è possibile che fossero di fine secolo XVI, anche se la prima nota è Alzata con prugne, pere e una rosa che del 1602 come si legge da un cartiglio posteriore al dipinto, il cui originale risulta disperso, mentre una copia è in collezione privata a Milano . La Galizia, forse perché ne aveva richieste dai suoi committenti, realizzò diverse nature morte, oltre una dozzina ( Inventario del 1647 , Berra, 1990, p. 59 ), difficilmente identificabili, Tipico della sua composizione è la disposizione raggruppata dei frutti, spesso su foglie di vite, con la presenza di fiori o anche di animali da cacciagione, disposti su di un piano sollevato ( un contenitore " alzata", di porcellana o cristallo o vetro o in un cesto ); importante è la collocazione dei prodotti naturali in primissimo piano per essere offerti alla piena attenzione dell'osservatore.


Fede Galizia, Alzata con prugne, pere e una rosa, copia dell'originale perduto, 1602c, Milano, Collezione privata



E' possibile che una svolta importante per Fede sia stata la conoscenza all'Ambrosiana di Milano della Fiscella del Caravaggio, databile al 1598-99 acquistata dal cardinale Federico Borromeo a Roma e portata a Milano per collocarla nel suo Museum all'Ambrosiana. Una conoscenza rivelazione che portò Fede Galizia a sviluppare il genere in molti esemplari realizzati nei primi decenni del XVII secolo. Una possibile derivazione da Caravaggio è ravvisabile, in alcuni suoi dipinti e del suo atélier, nella collocazione del cesto di frutta di poco fuori del margine del piano di appoggio di modo che avanzi verso lo spettatore.

Caravaggio, Canestra di frutta, 1598-1599c, Milano, Pinacoteca Ambrosiana


Malgrado Roberto Longhi definisse le nature morte di Fede di grande perizia tecnica ma un poco" contristate" ( Roberto Longhi, Un momento importante nella storia della natura morta, in Paragone, I, 1950, p. 35 ), le sue opere  definiscono in Italia, alla pari del Caravaggio ( ma Fede, pur mostrando una qualità lontana da quella eccelsa del Merisi,  realizzò più cesti e alzate ) l'affermazione autonoma del genere, che evidenzia una cura minuziosa dei particolari, della scelta della posizione e della posa, del tipo di illuminazione e della varietà delle figure: i suoi cesti prorompono dal fondo buio alla luce e si offrono all'attenzione materia dello spettatore che ne percepisce la forma e la sostanza dei frutti e rimane colpito dalla presenza quasi furtiva di essi animati, come farfalle o cavallette.

Fede Galizia, Vassoio di vetro con pesche, fiori bianchi, mele e una cavalletta, 1610c Collezione privata.
 
                 Osservando le opere di Fede vediamo come la pittrice superi il tradizionale simbolismo religioso e profano tardo cinquecentesco e sviluppi soprattutto una descrizione precisa del dato naturale, dando vita ad una natura che non è affatto morta, ma è in una posa superba per mostrarsi per ciò che è, per sollecitare i sensi ( vista, tatto, olfatto, gusto ), per evidenziare magari ( la Galizia era molto religiosa), la perfezione della creazione, ma soprattutto per esaltare la straordinaria vitalità e varietà della natura che vuole essere viva e sana ( si guardi la metà spaccata della mela come è pulita, liscia e gustabile, senza segni di corrosione del tempo o di malattie vegetali, ancora viva dunque, non diversamente dalla curiosa cavalletta posta poco più avanti ).
              Dietro Figino, Fede e anche Caravaggio ancora un artista lombardo, milanese per la precisione, ancora un artista che ha saputo interessarsi, sebbene in modo del tutto particolare e grottesco, della natura, Giuseppe Arcimboldi o Arcimboldo ( 1526-1593 ). Figlio del pittore Biagio che era stato in contatto con Bernardino Luini e quindi con la scuola di Leonardo, lavorò all'inizio con il padre in opere decorative come pannelli d'organo, vetrate, cartoni per arazzi, Dopo essersi fatto conoscere ed apprezzare si trasferì alla corte di Praga al servizio del principe Massimiliano divenendo artista ufficiale di corte. Dopo aver realizzato composizioni antropomorfe con frutti e vegetali che ebbero subito grande successo ( le Quattro stagioni dal 1563 al 1577 ) , lasciò la corte imperiale del principe Rodolfo a cui prestava servizio dopo la morte di Massimiliano, per tornare nel 1587 a Milano dove si stabilì definitivamente. Qui dipinse il Ritratto dell'imperatore in veste di Vertunno databile intorno al 1589-90. Le composizioni di Arcimboldo erano definite al suo tempo illusionistiche ed erano costituite, se così possiamo dire, da figure umane con un insieme di prodotti di mercato e cucina: il personaggio raffigurato era composto dall'insieme degli elementi naturali che costituivano il suo mestiere, così, per esempio, un ritratto di cuoco, era formato dai cibi collocati dalla testa ai piedi. Un aspetto delle figure "illusionistiche" comico-grottesche di Arcimboldo è la reversibilità  nel senso che possono essere viste sia in forma antropomorfa che, rovesciate, in forma vegetale pur essendo composte, entrambe, degli stessi elementi naturali.


Giuseppe Arcimboldo, Testa di cesto, vegetali e frutta reversibile, 1590, New York French &Company coll.

Dovendo omaggiare l'imperatore Rodolfo II d'Asburgo, pensò di creare, nel 1590, un proteiforme ritratto frontale a mezzo busto in cui appariva come il dio Vertumno, dio delle stagioni, formato dalla straordinaria giustapposizione di frutti, ortaggi e fiori. Si trattava del punto di arrivo delle sue opere destinate alle stagioni che qui si riassumevano in un insieme delle quattro, ricche di tutti i prodotti della terra. L'opera naturalmente era elogiativa, voleva essere un'esaltazione dell'abbondanza che sotto il regno di Rodolfo si godeva in tutte le stagioni dell'anno, come in una nuova età dell'oro. L'ammasso ordinato e composito dei frutti, ortaggi e fiori non sminuiva l'impatto che doveva fornire l'imperatore: l'impressione di vigore fisico e potenza politica, né ne sviava l'interpretazione accentuando il senso del grottesco o del comico, ma invece ne forniva una vera e propria potenza figurativa che dava proprio quell'idea di floridezza e abbondanza che un sapiente e regolato governo sapeva dare.
Giuseppe Arcimboldo, Rodolfo II come Vertumno, 1590c, olio su tela, 70x58, Castello di Skoklosten, Hàrbo, Svezia

             Possibile che Caravaggio sapesse qualcosa di questo dipinto famoso e ne vedesse copie o riproduzioni a stampa. In ogni caso l'idea del dio delle stagioni di certo lo aveva interessato. Probabilmente ne conosceva la storia non tanto nell'originale delle Metamorfosi di Ovidio ( Liber XIV, 623-697; 765-771 )  quanto nella sua traduzione illustrata di cui si è detto che poteva essere disponibile nella bottega del Peterzano o era di sua proprietà. La storia è quella del dio romano ( o di origine etrusca ), il cui nome Vertumno ( Vertumnus ) viene etimologicamente dal latino vertere , cambiare che sta ad indicare il carattere metamorfico del dio, che si mutava ad ogni stagione. Vertumno conobbe Pomona, la bellissima dea dei frutti ( pomo= frutto ) e se ne innamorò perdutamente. Tutti cercavano di sedurla, ma nessuno vi riusciva per la sua scontrosa e orgogliosa ritrosia. Allora pensò di trasformarsi in giovane donna per avvicinarla, ma vi riuscì, pensò ancora di trasformarsi in una dolce vecchia che la avvicinò per parlargli dell'amore e del matrimonio. Pomona si lasciò incantare dalle sue parole e Vertumno ne approfittò per trasformarsi in un bellissimo giovane che alla fine convinse Pomona. Nell'arte figurativa la coppia Vertumno e Pomona è spesso raffigurata: nella PoLunetta di Vertumno e Pomona della Villa medicea di Poggio a Cajano presso Firenze, Pontormo, ispirandosi alle Metamorfosi di Ovidio e alle Georgiche di Virgilio raffigurò il dio come un giovane vestito da contadino con accanto una canestra e Pomona come una contadina con in mano una falce. Al di sopra di Vertumno vediamo un giovane completamente nudo che alza un braccio verso un ramo con foglie di lauro, che ha le gambe aperte e il sesso in vista, Forse potrebbe trattarsi di un giovane Bacco ebbro. Probabile che stia ad indicare la vitalità erotica della libera vita della campagna. O forse che stia ad indicare la versione giovanile e seducente del giovane apparso a Pomona. In basso fra il fogliame vediamo i frutti. La lunetta potrebbe anche essere un'allegoria dell'età dell'oro raggiunta dalla potenza medicea e simboleggiata dal broncone di lauro che era uno dei simboli di età laurenziana.

Pontormo, Vertumno come un vecchio contadino con la cesta dei frutti, Part. della Lunetta di Vertumno e Pomona, 1519c-1521 affresco ,Villa di Poggio a Cajano

Pontormo, Giovane nudo ( Bacco? ) Part. della Lunetta di Vertumno e Pomona, 1519-21, affresco, Villa di Poggio a Cajano 

Pontormo, Lunetta di Vertumno e Pomona, affresco, 1519-1521, affresco, Villa di Poggio  a Cajano 

Che Arcimboldo conoscesse questa figurazione attraverso stampe o riproduzioni è possibile, meno che la conoscesse anche Caravaggio ( malgrado la suggestione del supposto Bacchino nudo a gambe aperte che ci rimanderebbe all' Amor Vincit Omnia ) ; entrambi però erano al corrente delle figurazioni nordiche dove si mostravano tanto figure umane che fiori e frutti e, come abbiamo visto, si dava talvolta, maggiore visibilità a questi ultimi rappresentati in primo piano piuttosto che alle figure umane, anche sacre, ridotte in dimensione e decentrate.  Più fattibile il fatto che Caravaggio conoscesse il Vertumno e Pomona di Francesco Melzi allievo prediletto e fedele di Leonardo che lo assistette sino alla sua morte. In quest'opera, vediamo una seducente Pomona, dal volto leonardesco, con un canestro di frutta vicino a Vertumno sotto le mentite spoglie di un vecchio contadino.


Francesco Melzi, Vertumno e Pomona, 1518-22, olio su tela, Geldmangalerie, Berlin





Nelle raffigurazioni della coppia delle stagioni e dei frutti fra XVI e XVII secolo si sviluppò soprattutto la raffigurazione della seducente Pomona che talvolta assume sembianze androgene, mentre la frutta è posta come offerta in un cesto o in una cornucopia o sparsa sul terreno, come in opere primo seicentesche di Abraham Bloemaert e di Hendrick Goltzius, accentuando il carattere erotico amoroso del tutto legato alla favola mitologica come in Vertumno e Pomona di Van Dyck del 1625 a Palazzo Bianco di Genova dio  in cui si vede una Pomona a seno nudo e un Eros con arco, faretra ed ali bianche, visto da dietro mentre si sta per girare e colpire i due amanti. Il carattere erotico è anche segnalato da un cocomero spaccato in due in terra accanto ad altri frutti sparsi. Caravaggio dipinge il Ragazzo con canestra di frutta che secondo Roberto Longhi è uno dei suoi dipinti più antichi ( Roberto Longhi, Caravaggio, a .c di Giovanni Previtali, Roma, Editori Riuniti, 1968, p. 142, n.1. ), che lo data al 1589-90, considerandolo però uno dei suoi primi lavori romani che però, cronologicamente, alla luce delle ultime scoperte ( arrivò fra 1595 e 1596 ), non risulta possibile. Maurizio Marini lo data ancora al 1593, ma lo indica con un titolo più corretto e significativo: Vertumno offre la frutta ( Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, Newton Compton, 2005, p. 371, n. 3 ), Faceva parte della lista di opere sequestrate dal fisco al Cavalier D'Arpino, nel 1607, che nera in possesso e che passò con altre opere alla collezione del cardinal Scipione Borghese ( Marini, op. cit., p. 371 ) . Nell'inventario del 1693 risulta nella stanza IV al n. 63 di palazzo Borghese a Campo Marzio ( oggi è nella Galleria Borghese ). Il titolo degli inventari è sempre quello del Giovane con canestro di frutta, tuttavia sembra accettabile il titolo, proposto fin dal 1973 da Maurizio Marini ( Maurizio Marini, Io Michelangelo Merisi da Caravaggio, Roma, 1973 II, 1974, p. 337 ribadito nel 1987 e nel 2005 ) e al cosiddetto Fruttarolo visto come giovane dio Vertunno si è richiamato nel 2007 il Berra ( Giacomo Berra, Il Fruttarolo del Caravaggio ovvero il giovane dio Vertunno con cesto di frutta, Paragone, 58, 2007, pp. 3-71. ).

Caravaggio, Giovane ( o Ragazzo ) con canestro di frutta ( il dio Vertunno? ) 1592-94, Roma, Galleria Borghese 

Innanzitutto va detto che le figurazioni di vendita ( mercati ) di frutta e ortaggi è tradizione lombarda ( non ci sono convincenti esempi romani ) e nordica ( fiamminga e olandese ) e che, come abbiamo visto, la stessa raffigurazione dei prodotti della terra offerti nel contesto del mito è lombarda e nordica e così l'attenzione al dio Vertunno a cui si dedica Arcimboldo ( sul Vertunno dell'Arcimboldo cfr. G. Berra, Allegoria e mitologia nella pittura dell'Arcimboldi: la "Flora" e il " Vertunno" nei versi di un libretto sconosciuto di Rime, in Acme. Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Milano"XLI, II, maggio-agosto 1988, pp. 11-39 ). Il Berra non esclude che fra i pittori che ammirarono il Vertunno di Arcimboldi potessero esserci Fede Galizia, Ambrogio Figino, Simone Peterzano e il giovane Caravaggio ( Berra, cit. p.18 ). La fonte letteraria usata da Arcimboldi è il IV libro delle Elegiae di Properzio, commentato da Giovanni Nanni nel 1498 ( ma il testo era ben noto nel XVI secolo ) e il pittore aveva consultato anche Le imagini de gli dei degli antichi del Cartari, Venezia 1571, la cui incisione mostra il dio con la testa piena di grappoli d'uva e spighe di grano che tiene in mano dei frutti, e che in realtà dovrebbe essere la vera fonte, ben nota a tutti gli artisti ( Berra, cit., p. 24 ). E' possibile che un incontro fra Arcimboldo e Caravaggio potesse essere possibile nell'ambito dell'Accademia di Blenio, favorito da amicizie comuni come Lomazzo e Figino, che peraltro conoscevano e frequentavano il Peterzano ( cfr. Giacomo Berra, Arcimboldi e Caravaggio"diligentia" e "patentia" nella natura morta arcaica, Paragone. III, 8-10, 1996, pp. 108-161 p. 117 ), Ci possono essere buoni motivi che questo dipinto giovanile più che dipinto nella bottega del Cavalier d'Arpino dove Caravaggio si trovava per dipingere fiori e frutta, o dopo aver lasciato la bottega, potesse essere stato realizzato quando il pittore era ancora a Milano ed aveva lasciato la bottega del Peterzano nel 1588 e quindi fra il 1589 e il 91-92. Caravaggio poteva averlo portato con sé per farsi conoscere e il Cavaliere dal fine occhio d'artista potrebbe averlo visto nella bottega di Costantino Spada, lo avrebbe acquistato e in seguito potrebbe essersi convinto, anche per le pressioni di Prospero Orsi ad assumere il Caravaggio che aveva dimostrato esperienza in quel genere poco di figurazioni quasi del tutto sconosciuto a Roma. Caravaggio doveva ben conoscere la Fruttivendola del Campi, di cui è detto; nel dipinto di cui alla figura di sopra, che è del genere dei mercati , del 1580, la venditrice tiene in mano un grappolo di uva nera e nel grembo un cesto di pesche ( a sottolineare che il pittore teneva presente i quadri del Campi c'è anche un'altra Fruttivendola a cui si è accennato, quella in cui compare, a mitigare il carattere profano e equivoco che poteva generarsi, il giglio bianco dell'Annunciazione , dove la donna sta sbucciando un frutto ). Nell' opera del Caravaggio non siamo in un esterno ma in un interno, no vi sono motivi per credere ad una vendita di frutti ( il cesto non è mostrato, è tenuto stretto alla vita ), questi ultimi, poi sono disposti in modo che siano a contatto con la pelle nuda del giovane che mostra sensualmente la spalla e la fossa fra il collo e la clavicola: c'è un rapporto naturale fra i frutti e la sensualità e nudità del giovane, cui si aggiunge la bocca semichiusa e l'espressione languida, i capelli neri e sconvolti ( non proprio adatti ad un venditore ) e anche, credo, il pollice e l'indice piegati, Insomma il giovane non sta vendendo frutta né offrendola ( anche se l'idea degli xenia. l'omaggio dei frutti dell'antica Roma poteva essere noto al pittore ), fra invece offrendo se stesso, o meglio l'abbondanza dei piaceri erotici che può offrire ( Donald Posvner, Caravaggio's homo-erotic early works in Art Quarterly XXXIV, 1971, pp. 301-324 ) ; un carattere omosessuale che come afferma l'autore dell'articolo si presenta in modo spontaneo e innocente. Sull'omosessualità e l'androginia in Caravaggio e nei suoi dipinti vedremo in un prossimo post, qui va detto che questo aspetto non va trascurato, almeno per il periodo giovanile fra Milano e Roma e che è espresso anche a livello simbolico, sottolineando come questa disponibilità e abbondanza di doni carnali e di fresche e mature gioie sono in sé effimere, destinate a deteriorarsi tanto nel corpo del giovane che in quello dei frutti che vediamo con qualche segno di corruzione in stato nascente, meno avanzato che nella Fiscella dell'Ambrosiana. Nel giovane raffigurato Antonio Czbor ( op. cit., 1955, p. 208 ) vi vede un autoritratto del giovane Caravaggio, In effetti è possibile vedere punti di contatto con altri autoritratti più certi, come il Bacchino malato e  il giovane di fondo dei Musici : le ciglia folte e separate, una certa androginia, la bocca socchiusa, gli occhi languidi, il piegamento del volto, i capelli folti e neri. La scelta dell'autoritratto è probabilmente dovuta alla mancanza del modello, per cui il pittore si serve dello specchio, come appunto Giovanni Baglione indica per i dipinti giovanili del maestro ( cfr. Roberta Lapucci, " Caravaggio ed i quadretti nello specchio ritratti", in Paragone, XLV, nn. 44-46, pp. 160-170 ). L'ipotesi di Maurizio Calvesi è che il giovane raffigurato sia da vedere come un'allegoria cristologica: Cristo che redime il mondo attraverso una donazione di sé ( la posizione è dello studioso è del 1971 su Storia dell'Arte in seguito ripresa e approfondita in Le realtà del Caravaggio, Torino, Einaudi, pp. 211-213 ). Dalma Fraschelli, aderendo alle idee del Calvesi e in dotto saggio pieno di riferimenti biblici, richiama l'attenzione sul dipinto di Gaudenzio Ferrari in S. Maria della Passione a Milano, del 1543. in cui vediamo sulla destra in fondo, un servitore che porta verso la tavola una canestra di frutti, posto in una posizione simmetrica al giovane che sta versando il vino ( Dalma Fraschelli, "Admirabiles fructus", Nuove proposte per una lettura iconologica del Ragazzo con cesto di frutta e della Canestra  in AA.VV da Caravaggio ai Caravaggeschi a c. di Maurizio Calvesi e Alessandro Zuccari, Storia dell'Arte, 1, Roma, CAM,  2009, pp. 135-168, p.138 ), leggendo in questo supposti significati simbolici. Più interessante appare il servitore che nella Cena in casa del Fariseo di Moretto da Brescia nella chiesa di S. Maria in Calchera a Brescia sta servendo a tavola tenendo un vassoio ( che però sarà anche "ricca" ma non si vede perché nascosta dalle spalle del Fariseo seduto ), con un atteggiamento e una posizione certamente pre-caravaggesche come avete ben visto il Longhi. Insomma nel dipingere il Giovane ( o Ragazzo ) con canestra di frutta Caravaggio avrebbe ripreso una scena sacra che alluderebbe simbolicamente all'eucarestia, come può essere vero per questi dipinti.

Moretto, Cena in casa del Fariseo, 1534, S.Maria Calchera, Brescia

           
Supposto che Caravaggio abbia visto questo dipinto- dove per altro come in quello milanese, che certo avrà visto, il servitore porta il vassoio o cesta che sia ( non si vede )- e si sia interessato alla posizione e al volto girato ( qui verso Cristo ), non necessariamente deve aver ripreso anche gli eventuali significati cristologici che per altro richiedevano l'assistenza di un letterato, di un iconologo richiesto da un eventuale committente, ma se pensiamo come farebbero pensare i dati documentari che il pittore avesse realizzato i suoi juvenilia da solo, per quanto istruito ben difficilmente si sarebbe potuto districare fra testi e significati come quelli indagati dalla Fraschelli. Oltretutto gli eventuali significati simbolici, svincolati dal contesto sacro difficilmente riescono a sussistere perché mancano proprio dell'immediato rapporto di significazione necessario a renderli comprensibili. Piuttosto Caravaggio si è proprio allontanato da quelli che erano gli originari rapporti simbolici fra i frutti e i riferimenti sacri, si è cioè incamminato su un'altra via. I frutti come doni, anche se nella tradizione cristiana era comune, in  primavera, l'offerta in chiesa dei doni della terra, avevano un forte richiamo nella tradizione classica degli Xenia, l'offerta di fiori e frutti fatta nell'antica Grecia agli ospiti di riguardo descritta da Plinio in Vecchio e rimasta nella tradizione romana dove poi passò nell'illustrazione figurativa degli stessi doni della terra fatta nei mosaici e nelle pitture su tavola di cui parla Vitruvio. Nelle antiche grotte romane, dei cimiteri, ad esempio di via Latina,  vi sono vari esempi di offerte di frutti in vasi e cesti ed è un esempio eccezionale nel Museo Massimo di Roma, il mosaico pavimentale che mostra, nella fascia superiore della decorazione un cesto colmo di frutti. La scoperta fra Quattro e Cinquecento degli antichi dipinti sotterranei nelle cosiddette grotte, detti appunti grottesche, portò gli artisti a imitarne le figurazioni e ad elaborarne i motivi. L'amico romano del Caravaggio e suo propagandista Prospero Orsi era detto delle grottesche proprio per la sua capacità di imitazione di questi motivi decorativi, usati come riempimento degli spazi dipinti murari; lo stesso Prospero ebbe modo di sviluppare e studiare i motivi delle grottesche da unire accanto a quelli delle fioriere e fruttiere del suo tempo, delle ceste, delle caraffe di vetri e di studiare anche gli effetti della luce sul vetro. A Prospero Clovis Withefield attribuisce i dipinti del cosiddetto Maestro di Hatford, della Galleria Borgheseche non appartengono a Caravaggio come credeva Federico Zeri ( esposti con la fiscella e altre nature morte nella recente mostra alla Galleria Borghese ), ma che dimostrano il talento di un pittore trascurato se non addirittura ignorato che, nel periodo romano di Caravaggio non fu solo il suo divulgatore, ma anche collaboratore in alcune opere ( Clovis Withefield, Il maestro di Hartford? Ma era Prospero Orsi! Risolto il dilemma della mostra alla Galleria Borghese, in www.NewsArt.it /2017. ). Prospero era dunque un riferimento ed un aiuto romano, ma se Caravaggio si era già espresso nella natura morta a Milano ( a mio avviso nel Ragazzo che monda un melangolo, nel Ragazzo con mazzo di rose, nel Ragazzo con canestro di frutta o Verunno con canestro di frutta, nel cosiddetto Bacchino malato e forse anche nel primo Suonatore di Liuto ) , portando con sé dipinti da mostrare e da vendere per farsi conoscere, aveva già un patrimonio di conoscenze e esempi figurativi alle spalle da considerarsi già pittore almeno di Nature morte con figure , prima di ulteriori perfezionamenti nello stesso genere e prima di giungere ad una natura morta autonoma, svincolata dalla figura che è una specie di summa delle varie canestre e vasi precedentemente realizzati in altri contesti figurativi carica anche di significazioni autonome e complesse e soprattutto di una grande analisi descrittiva dei frutti anche nelle patologie ed alterazioni che prima di avere significati morali, della caducità del tempo, sono osservazioni dirette, altamente studiate della putrescenza e della malattia ( la mela bacata, la foglia di vite attaccata dalla peronospera ), Anche qui l'interpretazione cristologica poco ci convince, anche se esistono riferimenti al Cantico dei Cantici e all' Exameron di Sant'Ambrogio ( di quest'ultimo anche il Commento all'Apocalisse, Ap. 6,  dove il cesto, in cui venne ritrovato Mosé sul Nilo è una prefigurazione del grembo della Vergine Maria che darà il frutto della salvezza agli uomini con la nascita di Gesù Bambino ). Ma questi significati sono comprensibili solo se vengono ad avere un referente simbolico che possa chiarirli nell'ambito di un contesto sacro, come nella Madonna di Sinigallia di Piero della Francesca, dove la cesta è coperta da un panno bianco simbolo di purezza. Così è il cesto di vimini ricolmo di frutti nella Madonna del Gruccione indiano alla Borghese, dipinto forse da Giovanni da Udine e Perin del Vaga  ben 70 anni prima della Fiscella di Caravaggio, che presenta un pannolino bianco scostato per mostrare i frutti ( Kristina Hermann Fiore, La madonna del Gruccione indiano, in AA.VV, Perin del Vaga, Giovanni da Udine, Marcello Venusti, Madonne in Galleria Borghese. Studi e restauri, Gangemi, Roma, 2014 ) : un cestino inserito, appunto in un contesto sacro che rende possibili e comprensibili i significati. La Fiscella dell'Ambrosiana non nasconde significati altri , come possono essere quelli cristologici, non rimanda ad alcuna figura sacra, ad alcun gesto, ad alcun segno, a nessuna prefigurazione biblica, essa mostra se stessa, la storia del suo essere immagine di abbondanza e di vitalità offerta allo spettatore, ma non solo per farlo apprezzare, ma anche per farlo meditare: è una storia che racconta come la vita non è fatta di solo bene e gioia, di solarità e ricchezza, ma anche di decadenza, di malattia, di precarietà. E' come una messinscena in cui i frutti sono gli attori e la cesta, il tavolo, la parete, lo spazio scenico in cui si manifesta la rappresentazione anche simbolica, ma dei simboli che la fiscella stessa genera e mostra. Allo stesso modo, crediamo, il Giovane ( o Ragazzo ) con canestra di frutta è una messinscena in cui il Giovane ( lo stesso pittore ) è mostrato come il dio Vertunno che offre frutti e, allo stesso tempo, la sua sensuale esuberanza giovanile : il giovane è atteggiato all'antica ( il modello è ancora una volta Atinoo, che il pittore potrebbe aver visto in una delle effigi riprodotte a stampa e che come si vedrà gli servirà più concretamente come modello dall'antico per il Bacco degli Uffizi ), recita il dio Vertunno che offre i suoi doni naturali. In questo senso ci sembra più concreto il contesto figurativo di Vertunno e Pomona di Francesco Melzi, di cui sopra, dove la sensuale Pomona offre la sua bellezza androgina e il suo vaso di frutti gustosi : nel Giovane-Vertunno di Caravaggio ( che nel mito si trasformerà in bellissimo giovane agli occhi di Pomona )c'è, in qualche modo, un ri-conoscersi nel giovane-giovinetta ( in tardi inventari settecenteschi anziché Fruttarolo è scritto Fruttarola ) , un mostrare mostrandosi, un recitare nelle vesti  e nell'atteggiarsi all'antica del dio del mito, Se dunque Vertunno esprime il piacere di donare e di donarsi, in senso erotico, anche i frutti offerti  dovrebbero essere intonati a questo concetto.

Caravaggio, Ragazzo con canestra di frutta ( come il dio Vertunno o come la 'dea' Pomona ?), particolare della cesta. Galleria Borghese, Roma

La splendida frutta dipinta che vediamo nel cesto è essenzialmente ciò che raffigura: prodotti per la tavola della stagione autunnale mostrati nel loro splendore che eccitano la vista ed il gusto del fruitore al quale sono offerti ( ma il Giovane-Vertunno, che dovrebbe offrirli secondo il mito alla dea della frutta Pomona, dopo essersi così trasformato, da vecchia quale era apparsa, li offre ad un ipotetico amante, la dea nel dipinto non appare ). La stagione scelta è significativa del fatto che il pittore vuole mostrare come i frutti che maturano fra settembre ed ottobre e che sono offerti nel loro splendore sono anche destinati a perdere presto in bellezza e vitalità e in questo senso vediamo le foglie strinate, avvizzite, girate, piegate della vite, che stanno ad indicare il declino stesso dell'esistenza, il passaggio rapido della giovinezza, la presenza prossima della morte. La nostra convinzione è che il dipinto sia stato realizzato a Milano e che i frutti erano quelli che potevano essere raccolti ed immessi sulla tavole nelle campagne lombarde. Uno straordinario testo ottocentesco, scritto da Giorgio Gallesio fra 1810 e 1839, Pomona italiana raccoglie e classifica tutti i frutti e gli alberi da frutto esistenti in Italia dal Napoletano alle Alpi Lombarde. Nel testo si parla dettagliatamente anche della presenza di questi frutteti nel più remoto passato, almeno sino al '500. Ma ad occuparsi di frutta lombarda e italiana in genere nel Cinquecento è l'agronomo Agostino Gallo che pubblica nel 1564 Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa che riscuote un grande successo ( si legge on line in www.lombardiabeniculturali.it/dolly/oggetti/462/bookreader/ ), l'autore parla diffusamente delle piante, delle verdure, degli ortaggi, dei frutti, del bresciano. Ne Le sette giornate della vera agricoltura e piaceri della villa ( in idem, /461/ ), pubblicato a Venezia nel 1569, nella Prima Giornata si occupa ampiamente della frutta con grande spazio alla frutta lombarda e della Pianura Padana. Nel Cinquecento non è concepibile la coltivazione del frutteto come la conosciamo noi, le coltivazioni sono fatte nell'ambito della villa e del giardino ( Agostino Gallo non chiama agricoltore il coltivatore di frutteti, ma giardiniero )  e sono destinate al consumatore ricco e aristocratico, si tratta di cibo selezionato che non va mai sulla mensa dei poveri. In una novella di Giovanni Sabatino degli Arienti ( Novelle Porretane del 1492c, Roma, Salerno, 1981 ), un nobiluomo cattura un contadino che gli rubava le pesche rimproverandolo dicendo: " Un'altra volta lassa stare le frutta delli miei pari e mangia le tue che sono le rape, gli agli, porri, cepolle, e le scalogne con pan de sorgo". Un'espressione molto significativa che distingue il cibo nobile e ricco, da quello povero. La frutta del Caravaggio è una frutta nobile, con indicazione di preziosità, di ricercatezza, ideale per indicarne il disfacimento come ogni cosa bella, destinata a finire ( per una storia della frutta, cfr. Francesco Alivento, Ave Appiano, Alberto Arletti, Alberto Capetti, Le parole della frutta. Storia, saperi e immagini tra Medioevo ed età Contemporanea, Torino, 2015 ). Nella cesta del Vertunno di Caravaggio l'uva ( bianca, nera e rossa ), il fico. Probabile che si tratti del brogiotto nero , il tipo di fico più antico e più riprodotto nelle nature morte, citato anche da Plinio il Vecchio e persino nella Bibbia, che veniva coltivato anche in Lombardia e in provincia di Bergamo. Ma probabilmente ci sono anche fichi verdi o brianzoli. Al centro in basso semicoperto da una foglia accartocciata si dovrebbero vedere frutti di ribes rosso piuttosto che un melograno ( in genere il frutto è spaccato per mostrarne l'interno, ma qui si vedono solo singoli frutti a grappoli ). Sulla destra a margine della canestra una pera, forse una pera scipiona, Forse al centro una mela cotogna ( il frutto dell'amore, caro a Venere ), cytonia oblonga.. A sinistra, accanto all'uva nera, sembra esserci una pesca ( prunus persica ). Al centro accanto alla mela e al fico verde mi sembra vi siano due nespole del tipo comune ( mesplisu germanica ), di colore marroncino scuro; mentre all'estrema sinistra, fra i due fichi neri, ci sembra di ravvisare dei frutti molto antichi, giuggioli ( ziziphus jujuba ). A destra, infine fra i due grappoli d'uva nera e bianca, sembra di poter ravvisare frutti di sorgo. Altri frutti sono in genere nascosti dalle foglie e poco visibili.Questi frutti sono quasi tutti di maturazione primo o tardo autunnale e funzionano, simbolicamente, come segni del declinare della vita.

             Come si sapeva negli ambienti eruditi, grazie alle ricerche antiquarie fatte a Roma alla metà del Cinqucento, presso gli hortus dell'antica Roma venivano poste statue del dio della Natura Generante , spesso rappresentato con un grande fallo in erezione; bene, si sapeva anche che fanciulle usavano portare cesti zeppi di frutti al dio Priapo. Questi aspetti potevano amalgamarsi nell'ambito della storia ovidiana di Vertunno e Pomona e infatti nel Padiglione dell'Unione feconda di Vertunno e Pomona posto accanto al giardino fatto costruire da Francesco I a Fointenebleau e dipinto da Primaticcio e Rosso Fiorentino ( dipinti conosciuti, dopo la distruzione settecentesca, solo grazie a copie degli allievi del Primaticcio oggi nella Galleria Gismondi a Parigi  ), dove di fronte al dio Priapo, ma sotto la sorveglianza di Vertumno, vi sono giovani maschi e femmine che dopo aver portato ceste cariche di frutti sono intenti al lavoro nell' hortus  ( cfr. Carmelo Occhipinti, Su l'unione feconda di Vertumno e Pomona della Galerie Gismondi. Primaticcio e la cultura artistica di Fointenebleau, in Horti Hesperidium, I, 2001, 2, pp. 31-61 ). La carica di forte sensualità è data dalla presenza di una donna nuda di profilo dall'accurata acconciatura posta in primo piano. Nella precedente scena Pomona aveva resistito alle seduzioni di satiri e fauni, ma si era lasciata affascinare da Vertumno sotto le mentite spoglie di una vecchia. Nella scena successiva, invece, Pomona ha ceduto alle lusinghe di Vertumno, che le aveva parlato di famiglia e matrimonio e la scena mostrava il trionfo dell'amore e della fecondità inerente al simbolismo stagionale e campagnolo della coppia dei due dei. Occhipinti accennava, anche richiamando osservazioni di Leonardo e citando il dipinto di Francesco Melzi suo allievo di Vertumno e Pomona, ad un secondo significato, alla superiorità della pittura che può raffigurare ogni cosa, di fronte ai limiti della scultura. Un aspetto questo, che era caro anche al Caravaggio. Degli antichi affreschi perduti, databili fra 1541 e 42, circolavano diverse copie a stampa e potevano essere utili per una illustrazione delle storie ovidiane di Vertumno e Pomona.
              Ora, il giovane col cesto di frutta di Caravaggio in veste di Vertunno che porta il dono della frutta con la cesta, lo offre anche a Priapo, dio della fecondità, simbolo dell'istinto sessuale e della forza generativa maschile, celebrato nei carmina priapea e riprodotto nei cippi marmorei collocati nelle campagne. L'ambiguità sessuale del giovane accentua questo aspetto dell'offerta erotica, come i frutti ne sono segni simbolici ( il fico spaccato e la mela, che richiama il frutto proibito biblico e il cui nome latino malum porta alla valutazione simbolica del male, come peccato; l'uva richiama il culto di Dioniso: Priapo era figlio di Dioniso e di Afrodite ). La canestra è poi un attributo erotico del fauno ed indica simbolicamente la lussuria ( la divinità italica Silvano, assimilabile al Fauno, portava una pelle caprina sulle spalle sorretta da un braccio a fare da cesto che conteneva dei frutti ) : Vertumno innamorato ( coi simboli sessuali di Silvano, dio dei boschi e delle campagne ) celebra l'amore erotico sotto il segno di Priapo ed offre i doni del suo amore ( Properzio, Elegie, IV, 2 ) ( Marini, cit., p.372 ). Scrive Sigmun Freud in Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci ( in Freud. Psicanalisi dell'arte e della letteratura, Roma, Newton Comton, 2012 III ed., p, 79 ) che le figure androgine di Leonardo sono "giovani belli, di delicatezza femminea e dalle forme effeminate; essi non abbassano gli occhi, ma osservano in un misterioso trionfo come se conoscessero un grande perseguimento di felicità sul quale mantenere il silenzio, Il noto sorriso d'incanto induce a pensare che si tratti di un segreto d'amore". I giovani belli ed effeminati di Caravaggio, dei suoi primi dipinti, sembra che nascondano un segreto amoroso vissuto con l'intensità della passione repressa o impedita, spinta più dal desiderio sessuale che da quello sentimentale.
           In un saggio su Storia dell'Arte del 2011, Dalma Frascarelli torna sui riferimenti religiosi del quadro questa volta sotto il profilo musicale: insomma il Ragazzo altro non sarebbe che un cantore intento in un Offertorium basato sui Mottetti dei Frutti, stampato a Venezia nel 1539 per i tipi dell'editore Gardano ( Dalma Frascarelli, Il "Ragazzo con cesto di frutta" di Caravaggio:un quadro musicale? su Storia dell'arte, 128, 28, 2011, pp.52-61 ) dei quali si ha anche una incisione del British Museum la cui invenzione sarebbe per Meijer di Dosso Dossi ( p. 47 ). In particolare l'atteggiamento al canto sarebbe dato dalle labbra socchiuse a coprire i denti, come vediamo anche nel Suonatore di Liuto e nel giovane di fondo al centro dei Musici. Un atteggiamento riscontrabile anche in altri dipinti di cantori a cominciare dal Cantore appassionato attribuito a Giorgione della Borghese. A sottolineare poi il rapporto di un contesto figurativo fra musica e natura morta la studiosa propone la Natura morta con violinista del cosiddetto Maestro dell'Acquavella, in collezione privata a Lecce ( Fig. 10 ), che indica come prosecutore del Caravaggio come indicherebbe la riproduzione del frontespizio del Libro Primo de'Madrigali dell' Arcadelt con il suo emblema del leone e dell'orso. Indubbiamente una proposta interessante. Tuttavia nel ribadire che per quanto istruito, intellettualmente curioso e con qualche buona relazione in ambito culturale, Caravaggio difficilmente poteva avere competenze teologiche e capacità di richiami simbolici fra ambiti diversi quali la natura e la musica. Ripeto che per questo era necessario un dotto iconologo. Il problema nasce sempre dal voler legare il pittore alla cultura borromaica controriformista, al cardinale Federico che acquistò ( più che riceverla in dono ) la Fiscella, il dipinto della sola cesta ripiena di frutti. In un passo del Decreto del Sacro Concilio di Trento che il cardinale cita nel suo De pictura sacra  a proposito degli errori che i pittori commettono nel fare le immagini sacre si legge: " ,,,nulla appaia di disordinato o di accorciato alla rinfusa o alla rovescia, nulla di profano, e nulla di indecente" ( in Ferdinando Bologna, L'incredulità di Caravaggio, cit., p. 122 ). Pertanto il profano è bandito dal sacro: un dipinto sacro deve essere riconoscibile per sacro. Riprendendo l'amico Paleotti il cardinale era stato molto chiaro circa le cose vane che non debbono essere confuse o mischiate con quelle sacre, coloro" che pongono gli accessori al primo posto e il principale e il tema dell'opera quasi velano e occultano..."farebbero molto meglio a raffigurare quella varietà di scene" in un'altra tavola"(p. 130); dunque la Fiscella che era solo per se stessa, in altra tavola, che non faceva parte di alcun contesto figurativo diverso o sacro, poteva andare bene ed essere apprezzata per quello che era, un'opera di alta perizia pittorica. Anche riguardo all'interpretazione allegorica e simbolica che egli riconosce ne" i nostri antichi e santi Padri", Federico non mostra particolare interesse per essa nei dipinti moderni ed afferma che una interpretazione simbolica può anche essere adattata" post factum": così riguardo agli angeli che spargono fiori nel dipinto Inverno di Jan Brueghel, " uccelletti " nella corretta lettura del testo latino. il cardinale nota come nel dipinto vi sia una incongruenza stagionale e sottolinea come si voglia contrapporre primavera ad inverno simboleggiando" la Gioia del Cielo e la tristezza del soggiorno terrestre", ma poi aggiunge: " Ma per dire il vero, quando ordinai il quadro non pensavo affatto né a simboli né a misteri" ( p. 133 ).  Un'opera dunque può non nascere con una simbologia a priori, ma può essere letta con una simbologia a posteriori senza che questa abbia riferimenti con un precedente pensiero simbolico. Naturalmente anche attribuzioni simboliche odierne nascono a posteriori senza che siano collegate ad un pensiero simbolico originario. Che poi il giovane, povero e sbandato Caravaggio,venuto a Roma come un pellegrino, costretto a passare da una bottega all'altra e sostenuto ai suoi inizi solo da Prospero Orsi che, compreso il suo talento, si spendeva in tutti i modi con le sue conoscenze per farlo apprezzare e, venuto, come crediamo con alcune tele già composte a Milano con  una sola figura, fra le quali anche questa del Ragazzo con canestro di frutta , potesse pensare non solo a farsi apprezzare per la perizia compositiva delle sue opere, ma anche per la sua capacità di invenzione iconologica, ci sembra veramente azzardato. Il Ragazzo , che crediamo concepito nell'ambito della cultura figurativa lombardo-veneta e nordica ( fiamminga e olandese ), che offriva i suoi doni, mostrava quella varietà e precisione descrittiva che era propria della pittura olandese, come ha ben chiarito Svetlana Alpers e presentava, con il soccorso del mito ( gli amori di Vertunno e Pomona, il culto di Priapo e di Pan ), leggibile nelle traduzioni ovidiane e visionabile negli esempi figurativi che abbiamo fornito, una languida espressione di amore, una passionalità erotica adolescenziale, libera e innocente. E allora le labbra dischiuse non sono un segno di un canto di offertorio ( come si fa guardando il dipinto a  credere che esprima un richiamo ad un motivo cristologico? e se anche lo avesse come, era possibile per un pubblico non selezionato, non necessariamente colto, non in possesso di strumenti di decodificazione simbolica, capire il significato sacro nascosto? Non è più semplice comprendere la disponibilità ad amare, a lasciarsi prendere, coinvolgere ), ma sono un segno di offerta erotica, nascondono un segreto d'amore. Inoltre, quando Caravaggio arrivò a Roma prima di incontrare il cardinal Del Monte, non pensava ad una fruizione culturalmente elevata perché non era nemmeno nelle sue speranze e la stessa pittura ordinata di bottega non la vedeva di buon occhio e il suo carattere ribelle e litigioso lo aveva portato a scontrarsi anche con il Cavalier D'Arpino con il quale aveva lavorato e che aveva acquisito alcune delle sue prime opere pittoriche ( testimoniato da Joachim von Sandrat e Karl van Mander che registravano ciò che avevano visto o sentito con oggettività, senza essere di parte o polemici, vedi le testimonianze in Rodolfo Papa, Caravaggio. Lo stupore dell'arte , Verona, Arsenale, pp. 16 e 17 ), Karl Mander, puntualizzando sul metodo di lavoro del pittore scrive: " ...egli è un misto di grano di pula, infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone di fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all'altro, molto incline a duellare e far baruffe, conciosacché è raro che lo si possa frequentare..."( p. 9 ) . Karl Mander sapeva dell'importanza per il pittore dell'applicazione continua e dello studio; qui non si tratta di nessuna polemica, ma della registrazione documentaria di un'attività disordinata che certo non nasceva dall'immersione in studi teologici, iconografici, iconologici, né sembra che, almeno nei primi anni, non potendolo frequentare, potesse essere avvicinato e guidato da qualche dotto. E se era così a Roma, ben difficilmente era diverso a Milano, dove certo mal sopportava la rigida disciplina imposta dal Pederzano e sarà stato più incline a seguire le trasgressioni dell' Accademia di Bleno del Lomazzo e del Figino. Il problema, per gli studi accademici che pur hanno fatto un lavoro meritevole ed utilissimo per togliere le patine di maledettismo al pittore nasce dal fatto che dopo averlo rivestito, spogliato che era, non si è più riuscito a vederlo nella sua naturalezza e gli si sono attribuiti aspetti che non gli spettavano proprio ( l'adesione unilaterale al cattolicesimo riformato ) o se ne sono sdegnosamente rifiutati altri, come la sregolatezza, l'incostanza, il disordine operativo, soprattutto l'atteggiamento violento e litigioiso ed i costumi sessuali ( l'omosessualità, come si dirà in apposito post, è la più verosimile e documentata fra i vari pittori del Rinascimento, è inutile e improduttivo ignorarla o cancellarla e che essa emerga, talvolta, anche nelle opere, è un fatto concreto ). Detto questo, occorre segnalare come Giorgio Vasari, riportato dal Warburg, parli di una scultura antica molto ammirata dagli artisti, oggi nel Museo degli Uffizi, ma che di certo faceva parte delle Collezioni Medicee, che egli considera essere Pomona: " Una femmina con certi panni sottili, con un grembo pieno di varij frutti, la quale è fatta per Pomona". Il Bocchi la vide nel 1591 e la dice" di bellissima grazia, con frutte in mano, con ghirlandetta in testa, ammirata dagli artefici sommamente". ( Aby Warburg, La Rinascita del Paganesimo antico, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 39-40 ). A vedere la fotografia della statua romana pubblicata dal Warburg ( Fig. 15 ), vediamo come la dea tenga con le due mani posizionata in grembo e molto stretta al ventre dalla tunica che raccoglie a mò di cesta un insieme di frutti con un grappolo d'uva. Potrebbe anche essere una Flora, ma l'indicazione del Vasari molto consultato e certo qualche stampa o disegno potrebbero aver attirato l'attenzione del giovane Caravaggio che non rifiutava il modello antico se questo poteva suggerire la posa, il gesto, ma che poi lavorava sul vivo, sul naturale per quello che concerneva la varietà degli oggetti e dei colori.
Pomona, Statua romana, Firenze, Museo degli Uffizi
Se guardiamo la posizione della mano sinistra della dea notiamo che è quasi la stessa di quella del Caravaggio, come la stessa posizione è assunta dalla veste raccolta nel grembo-cesto. In genere nella statuaria antica a portare il grembo pieno di frutti non è tanto Vertunno quanto proprio Pomona, si può dunque pensare che Caravaggio non tanto si mostrasse in veste di dio Vertunno, ma in veste di dea Pomona, in una sorta di travestimento teatrale, molto diffuso tanto nella novellistica quanto nel teatro del Rinascimento ( B. Concolino Mancini, Travestimenti, inganni e scambi nella commedia del Cinquecento in Atti e memorie dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, vol. CXLVII, 1989, pp. 199-228 e dello stesso Da Ovidio a Shakespeare: la metamorfosi del travestimento, in Filologia e Critica, XVIII, gennaio-aprile, 1993, pp. 87-99 ) . E in questo senso vanno considerati anche i vari aspetti relativi all'androgina nell'arte e nel teatro che partono dalla ripresa del mito dell'androgino platonico fatta, in chiave orfica, da Marsilio Ficino ( Luciano Bottoni, Leonardo e l'androgino. L'eros transessuale nella cultura, nella pittura e nel teatro del Rinascimento,Milano, Franco Angeli, 2002 ).

Di non poca importanza, con riferimento all'ordine del mostrare e dell'organizzazione del gusto da vedere, sono i trattati sulla disposizione delle portate e sulla loro composizione. Per la festa di Tortona del 1489, Leonardo si incarica di preparare il banchetto che comprende una serie organizzata di piatti-trionfo. Uno di questi è il Trionfo di Vertunno e Pomona : è di considerevole rilievo il fatto che a questo Trionfo corrispondano dei frutti, piatti di mele e pere, così maturi da sfiorare il marcio. Il Trionfo è descritto in Ordine de le imbadisone se hanno adare a cena ( Milano, Biblioteca di Tortona, Sez. Tortona, XIV, 29 ). E' mia convinzione che a Milano Caravaggio avesse preso informazioni sui banchetti del secolo XV, specie di quelli preparati da Leonardo:trattatelli e poesie rinascimentali definiscono la tipologia dei frutti, i significati, le scelte. Ma per le composizioni di frutta da portare sulle tavole imbandite nobiliari vanno visti i trattati di Cristoforo da Messisburgo che lavorò come cuoco di corte presso gli Este a Ferrara e presso i Gonzaga a Mantova: Libro novo nel quale si insegna a far d'ogni sorta di vivanda, Venezia 1557 ( ed. Forni, Bologna, 2001 ) e Banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale, Venezia, 1610. Il trionfo di Vertunno e Pomona è il pretesto per organizzare, ordinare, disporre composizioni ornamentali di frutti. E' del tutto possibile che Caravaggio usasse questi testi per le sue composizioni spettacolari, teatrali, di frutti e che anche la presenza di frutti bacati o marcescenti, salvo il riferimento simbolico all'autunno della vita ( ma anche all'autunno dell'amore, al suo declinare ) e l'attenta descrizione oggettiva dei dati naturali studiati dal vivo, facesse parte di questa finzione scenica.

                 Il cosiddetto Bacchino malato è un altro dei possibili dipinti nati nell'ambito della cultura lombardo-veneta e nordica. Il titolo più idoneo potrebbe essere quello proposto da Maurizio Marini, Bacco coronato d'edera , assegnato dallo studioso al 1594c. Ma potrebbe anche essere precedente e lavorato a Milano pur se poi rielaborato e replicato come altre opere a Roma. E' identificabile al n. 54 della lista compilata dal Fiscale di Paolo V dopo il sequestro dal Cavalier d'Arpino ed in seguito incamerato dal cardinal Scipione Borghese per la collezione di famiglia, dove risulta inventariato nel 1607 ( Marini, cit., n. 7 p. 377 ). Molto importante è una nota del Mancini al Codice Marciano dove si legge: "...fra tanto fa un Bacco bellissimo et era sbarbato lo tiene Borghese l'haveva Costantino"(si veda Marini, cit., p. 377. ) Il D'Arpino l'aveva acquistato presso il rivenditore di quadri Costantino Spada al quale, insieme all'amico Prospero Orsi, suo propagandista, Caravaggio portava le tele, Giovanni Baglione a sua volta scrive: " Poi andò a stare a casa del Cavalier Giuseppe Cesare D'Arpino per alcuni mesi. Indi provò a stare da se stesso e fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti. E il primo fu un Bacco con alcuni grappoli d'uve diverse, con gran diligenza fatte, ma di maniera un poco secca." ( Marini, n. 7, p. 377 ). Sembra effettivamente più il cosiddetto Bacchino malato che Bacco coronato di pampini degli Uffizi. Tuttavia non vi è alcuna certezza assoluta che sia il dipinto della Borghese e potrebbe essere anche una replica autografa di un originale maturato e fatto durante il periodo milanese con alcune asprezze giovanili che potrebbero risalire al periodo passato alla bottega del Peterzano o dopo averla da poco lasciata, secondo la proposta della Arslan ( cfr. E. Arslan, Nota caravaggesca in Arte antica e moderna, 6, 1959, pp. 191-218 ). L'autografia è comunque oggi riconosciuta da tutti gli studiosi. La definizione, di cui il titolo tradizionale, di Bachino malato, nasce dalla convinzione, ma senza apporti documentari, di un ricovero nell'ospedale dei poveri di S. Maria della Consolazione dove venne effettivamente ricoverato, non si sa bene per quale malattia, ed a seguito della sua indigenza: " Fra tanto fu assalito da una malattia che, trovandolo senza danari, fu necessario andarsene allo Spedal della Consolatione, dove nella convalescenza fece molti quadri per il priore che se li portò in Sicilia [ Siviglia ] sua patria", ( Giulio Mancini, Considerazioni, ed 1956, p. 224 ). Forse un'infezione o forse un trauma a seguito di un calcio di un cavallo ( Lothar Sickel, Gli esordi di Caravaggio a Roma, Prepint, Romisches Jahrbuch Biblioteca Hertziana, Roma, 2010, pp. 47-48 . Il priore dell'ospedale, dal 1594 al 1608, sembra essere stato Luciano Bianchi, siciliano, messinese, pp. 47-48 ). Il Longhi riteneva che il colorito del Bacchino fosse da attribuire alla malaria della quale il pittore giovane era stato colpito ( Roberto Longhi, Caravaggio, a cura di Giovanni Previtali, Roma, Editori Riuniti, 1968, ed. 2006, p. 142, n. 2 ), ma ripeto, non vi è alcuna testimonianza di ciò e il colorito giallognolo-verdastro, come ha rilevato Maurizio Marini dovrebbe essere dovuto ad un eccesso nella ripulitura ( Maurizio Marini, Se Bacco non è malato, in Quadri e sculture, n. 32, agosto settembre 1998, pp. 36-37 ). In ogni caso, però, il Bacco coronato di edera, mostra un aspetto malato e stante il fatto che si tratta di un autoritratto giovanile ( Antonio Czobor, 1955 ) privo di barba ( che era un segno evidenziato dal barbiere testimone del luglio 1597 ), dovrebbe trattarsi di una situazione patologica al momento spettante allo stesso Caravaggio. A mio avviso l'originale venne dipinto a Milano, con l'ausilio dello specchio, una volta che il pittore, dopo il 1588, ebbe lasciato il Peterzano. Il volto è qui quello di un ragazzo che ha certo meno di vent'anni, forse 18 o 19 e quindi prima del 1596. L'autoritratto dei Musici che vediamo sul fondo al centro del dipinto, sia pure nei tratti somatici più segnati e maturi, dovrebbe essere stato condotto sul volto del Bacchino e realizzato, questo si, in area romana, quando il Merisi era già presso il cardinal Del Monte a Palazzo Madama, ringiovanendosi. Secondo Mauro Di Vito" il pallore, la posizione scomposta delle gambe, il nastro annodato e il marciume nell'uva ( Botrytis cinerea ) sono chiari riferimenti alla sfera culturale dell'epilessia" ( Mauro Di Vito, Iconografia di Caravaggio attraverso gli autoritratti veri e presunti, in  www.cultorweb.com già pubblicato in L'adorazione dei pastori, Catalogo del restauro a Messina, Milano, Skira, 2010. Sull'epilessia, dello stesso, La conversione dei pastori  in Caravaggio a Milano. Miano, Skira, 2008, pp. 203-216 ) e in questo senso va considerata l'osservazione di Mauro Di Vito sulla posizione e disposizione delle gambe del giovane e quindi sulla evidente impossibilità di reggersi in piedi, come è tipico dei malati di epilessia sia abbastanza convincente anche in relazione alle prove iconografiche portate e alle dichiarazioni di Onorio Longhi presenti nei registri criminali che affermano che il pittore non si reggeva in piedi e che un servitore gli portava la spada ( cfr. Mauro Di Vito, Caravaggio e la magia naturale, Tesi di Dottorato in Storia della Scienza, Università di Pisa, A.A. 2009-2010, p. 279 ). Il pittore poteva forse era preda, dunque di crisi epilettiche ripetute. Va detto, però, che se si tratta di un autoritratto il pittore non avrebbe potuto effettuarlo durante la convalescenza e che magari dipingendolo potrebbe aver tratto ispirazione da quelle crisi. Ora, a me sembra, che il dipinto vada separato dal ricovero all'ospedale della Consolazione, che non vi sia rapporto con un trauma dovuto al calcio di un cavallo o ad un ricovero a seguito di febbri malariche, che, inoltre, il dipinto della Borghese è una replica autografa di un originale perduto pensato e sviluppato prima di venire a Roma ( più difficile che si tratti dell'originale anche se non si può escludere ). Molto interessante l'osservazione di Di Vito sul fatto che il Bacchino stia piluccando acini di uva malata con la mano sinistra, tradizionalmente carica di significati negativi,  ( anche se va considerato il fatto che essendo un ritratto fatto allo specchio, ciò che si vede è il rovescio di ciò che è in realtà, la destra risulta essere la sinistra ) e che in un suo trattato Giovan Battista Della Porta sconsiglia l'ingestione di frutta marcia che causa marciume nel corpo ( Di Vito, p.280, G.B.Della Porta, De i miracoli et meravigliosi effetti dalla natura prodotti, Libri IIII, Venezia, 1560, p. 55 ) . Allo stesso modo va considerata la disposizione d'animo del rappresentato come Bacco, al cosiddetto" mal di luna", o meglio al " furor lunare", segnalato da K. Hermann Fiore: Il Bacchino malato autoritratto del Caravaggio ed altre figure bacchiche degli artisti, in AA.VV. Caravaggio. Nuove riflessioni, Roma, 1989, pp. 95-134 specie p. 119. Un furor che è ancora da riconnettere con una manifestazione di attacco isterico, che come indica Di Vito, p. 261, è riportato in un passo del Vangelo di San Matteo, dove l'epilettico è definito con il termine lunaticus ( Mt. 17.15 ).
             Riprese queste considerazioni credo sia importante porre in relazione a proposito del Bacchino malato , la figura di Bacco, un aspetto patologico nella fisiognomica e nella disposizione corporea riconducibile all'isteria ( nel suo mostrarsi attraverso il furore malinconico e lunare ), un riferimento all'ebrezza, ad un coinvolgimento dionisiaco orgiastico, un richiamo figurativo alla vite come attributo simbolico di Bacco, al grappolo di uva malato come ulteriore segno di malattia e di perdizione.


Caravaggio, Autoritratto come Bacco coronato d'edera, 1593c, Galleria Borghese, Roma 
Come già accennato il grappolo d'uva bianca, tenuto in mano dal Bacchino, è aggredito dalla Bothrys Cinerea, patologia vegetale che colpisce i frutti della vite provocata da un fungo che penetra negli acini attraverso pioggia ed umidità ( Di Vito, p. 284 ). Quindi il pittore si sarà occupato della posizione all'antica col lenzuolo accomodato come tunica, del riferimento iconografico all'immagine di Bacco, ma soprattutto ha posto in essere un'osservazione accurata della malattia della vite e dei suoi frutti, studiata direttamente nelle campagne caravaggine e grazie ai due nonni, quello paterno, che aveva una rivendita di vini e quello materno che era un agrimensore ( Giacomo Berra, cit., 2005 )
La malattia, chiamata vermiculosi o anche syderatio, era stata per sommi capi descritta dallo Scaligero nel 1566 ( Commentarii et animaduersionis in sex libros De causis Plantarum Theofrastis,De Vito, p. 285, nn. 646-647 ) ed era associata alla epilessia : "Fisiologicamente parlando significa che essa era il risultato morboso di una diskrasia ingenerata da un surplus umorale di freddo e umido, ovverosia di flemma" ( Di Vito, p. 285 ). Il Di Vito dunque sulla base della sua ricerca è portato a collegare la patologia dell'uva ( causata dal freddo e dall'umidità, che, aggiungiamo,  erano più propri al clima lombardo e bergamasco )  al tipo di malattia catarrale, flemmatica di cui sembra affetto il Bacchino ( Di Vito, p. 285 ). E questo rapporto analogico è possibile perché rientra nella concezione dellaportiana della Signatura rerum ( aliquid stat pro aliquo, qualcosa sta per qualcosa d'altro,come afferma Sant'Agostino, e intendendo , secondo la filosofia medievale, che qualcosa rinvia sempre a qualcos'altro  ). Di Vito, p. 285. Accanto al grappolo di uva nera sul piano marmoreo, notiamo due pesche gialle o due pesche cotogne che hanno una maturazione di tarda estate, fra agosto e settembre e rientrano nei frutti che anche qui Caravaggio scegli fra quelli autunnali o, come in questo caso, pre-autunnali o primo-autunnali. Sono frutti in grado di causare flemma umido che a sua volta genera quel marciume che provoca l'epilessia(p.286). Si tratta di un frutto per tavole pregiate, coltivato negli hortus dei signori e quindi destinato a tavole selezionate. Il Gallorio, nel suo trattato afferma che se trovano di ottima qualità a Roma, ma anche presso il Lago Maggiore, nel Varesotto e nel Comasco, ma soprattutto nel Veronese dove assumono considerevoli dimensioni, sebbene le specie del nord Italia non siano troppo fragranti ( Gallorio, Pomona italiana, 1817- 1839, Genova, 2004, cit., da Di Vito, p. 289, nota 658 ). Il fatto che le pesche cotogne siano sane e vengano anche consigliate come rimedio terapeutico, ( Di Vito, p. 190 ), mentre l'uva in mano al giovane sia malata, costituisce una sorta di contrasto o contrappeso fra il sano e il malato, fra il bene e il male. Al suo arrivo a Roma Caravaggio, come indicano tutte le fonti disponibili era in situazioni economiche molto precarie, difficile quindi pensare ad un suo status sociale più alto, diverso da quello sinora ipotizzato; le cose migliorarono dopo essere entrato nell'entourage del cardinal Del Monte, ma prima egli era in condizioni precarie e anche il ricovero alla Consolazione che ospedale dei poveri è significativo del fatto che non poteva permettersi cure private. Ma quando era a Milano, ed aveva intascato l'eredità dei fondi venduti e ancora non si era macchiato di alcun fattaccio, di certo poteva avere condizioni economiche migliore e amicizie più importanti: è qui infatti che insisto sul fatto che egli poté concepire gran parte dei suoi juvenilia potendo anche disporre di mercanzie per signori, donate o ritratte dal vivo negli orti di qualche nobile. Ed è qui che, nell'ambito della cultura lombardo-veneta matura, matura la espressione figurativa che non è solo quella della concezione ordinata ed accademica della bottega del Peterzano che fornisce solo le basi, ma è nell'ambito della marginalità "scapigliata", rivoluzionaria, originale, estranea alle direttive dell'ufficialità e delle disposizioni controriformistiche, che essa trova la sua migliore e più originale riuscita. E parliamo ancora dell'Accademia dei Vignaiuoli della Val di Blenio del Lomazzo, del Luini e del Figino, del bizzarro, del comico e del grottesco. Dunque sembra necessario fare riferimento di nuovo al noto autoritratto del Lomazzo.

Gian Paolo Lomazzo, Autoritratto come Abate della Val  di Blenio,olio su tela, 56x44, Milano, Pinacoteca di Brera 

Qui il Lomazzo si autoritrae come abate dell'Accademia della Valle di Blenio, col nomignolo di Compar Zarvargna, con le insegne del tirso coperto di foglie d'edera e di un serto di vite intrecciato secondo l'iconografia di Bacco. L'Accademia, nella quale erano riuniti poeti, pittori, incisori, ricamatori, musici, orefici, attori di teatro, era infatti votata al culto di Bacco ( da qui anche il riferimento alla vite, al vino e ai vignaioli ) e si sentiva trasportata dal furor bacchico o creativo che spingeva gli artisti verso le loro arti all'insegna dell'originalità, del grottesco, del bizzarro, del folle, del comico, in armonia con lo spirito manierista del tempo. Ogni artista si creava una sua personalità fittizia ed era soggetto ad una sorta di iniziazione che prevedeva il mantenimento del segreto su riti probabilmente a base di libagioni e di grandi bevute di vino a bocca aperta sino all'euforia e all'ubriachezza, ma anche sulle attività artistiche che si contrapponevano alla rigida direzione dell'ufficialità controriformistica. Gli iniziati si servivano di un dialetto incomprensibile, il facchinesco, una sorta di grammelot, con inflessioni del Canton Ticino e delle valli comasche, che serviva sia per i rapporti fra compagni sia per talune espressioni artistiche nell'ambito delle attività dell'Accademia ( Giulio Bora, Da Leonardo all'Accademia della Val di Bregno: Giovan Paolo Lomazzo, Aurelio Luini e i disegni degli accademici, in «Raccolta Vinciana», XXIII, 1989, pp. 73–101. Rabisch" Il grottesco nell'arte del Cinquecento. L'Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l'ambiente milanese, catalogo della mostra [Lugano 1998] a cura di M. Kahn-Rossi e F. Porzio, Milano 1998.)
            Il Lomazzo era l'artista di riferimento, il personaggio principe, autore dei componimenti poetici Rabisch . Qui compare nella sua veste di Compare con il cappellaccio di paglia ( capelàsc ) che mostra una medaglia ( o scudetto ) d'oro con il simbolo dell'Accademia, un inaffiatoio ( galigliògn, il galeone ), mentre la vite e l'edera alludono al culto di Bacco. Si tratta di un precedente importante del Bacchino, forse conosciuto da Caravaggio che oltre a probabili rapporti con Figino, Lomazzo e Luini, probabilmente aveva anche frequentato segretamente l'Accademia  ( J. B.Lynch, Giovanni Paolo Lomazzo's self portrait in Brera, in " Gazette des Beaux Arts", LXIV, 1964, pp. 189 e sgg., Francesco Porzio, Lomazzo e il realismo grottesco; un capitolo del primitivismo nel Cinquecento, in  Rabisch" Il grottesco nell'arte del Cinquecento. L'Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l'ambiente milanese, catalogo della mostra [Lugano 1998] a cura di M. Kahn-Rossi e F. Porzio, Milano 1998 G. Berra, Arcimboldi e Caravaggio" diligentia e patientia" nella natura morta arcaica, Paragone, III, 8-10, 1996, p. 117. K.Hermann Fiore, Il Bacchino malato autoritratto di Caravaggio e altre figure bacchiche degli artisti, in " Quaderni di Palazzo Venezia", 6, 1989, p.99 ). Se guardiamo bene il volto del Compar Lomazzo alias Zarvagna, non possiamo non notare come esso sia quello di un avvinazzato, di una persona che ha abbondantemente bevuto.

Giovan Paolo Lomazzo, Autoritratto come Abate della Val di Blenio, particolare del volto

 Lo sguardo è sghimbescio, direzionato verso destra, le labbra arrossate, segni di arrossamento anche sugli zigomi e sulle gote, Anche lo sguardo del Bacchino è direzionato di lato anche se più proiettato verso il basso. Anche qui non  è uno sguardo normale, sembra anch'esso alterato, accentuato dal gonfiore delle palpebre.

Caravaggio, Autoritratto in veste di Bacco, particolare del volto
          
Si può pensare che si tratti di uno sguardo sintomatico di uno stato di ebrezza; le due espressioni fisiognomiche presentano delle differenze l'Abate-Lomazzo evidenzia una apparente ironia che è invece solo uno stato di alterazione dovuto all'ebrezza, mentre in Bacchino-Caravaggio sembra di poter meglio vedere quel furor bacchico caro agli accademici che a mio avviso si esplica attraverso una sorta di complessione erotico-malinconica, espressa anche dalla bocca aperta che anche qui, come in altri dipinti giovanili, non è un accenno al canto, ma un invito all'eros, una disponibilità erotica. A tal proposito la figura della lussuria descritta dal Ripa nella Iconologia precisa:" Dipingevano per la lussuria ancora gli antichi un Fauno con una corona d'eruca et un grappo d'uva in mano per fingersi il Fauno libidinoso e l'eruca per invitare a spronare assai gli atti di Venere. Et propriamente sono lussuriosi quelli li quali sono soverchi ne i vezzi di amore cagionato dal vino che riscalda et dà molte altre lascive commodità"  ( Cesare Ripa, Iconologia, Roma, 1603, p.155; la prima edizione è ancora a Roma del 1593, subito molto diffusa, si veda on-line in www.bivio.filosofia.sns.it ). L'espressione faunesca e quindi libidinosa di questo giovane coronato d'edera e con un grappolo d'uva malata in mano è piuttosto evidente. Significativo è anche l'accenno al vino che riscalda e eccita i sensi. L'edera è un tradizionale simbolo bacchico, il dio è coronato dall'edera che simbolicamente indica la passione amorosa, la fedeltà, l'attaccamento. Bacco portava un tirso, un ramo, coperto di foglie di edera durante le feste, bacchiche, in suo onore o lo portava nei Trionfi dove appariva da solo o in compagnia della sua sposa Arianna. Sul tavolo di marmo accanto all'uva nera si trovano due pesche gialle, una ritta con lo schiacciamento ai poli longitudinale, l'altra coricata, con lo schiacciamento ai poli latitudinale. Le pesche hanno un connotato simbolico di tipo erotico. Francesco Berni, nei Capitoli , delle Rime, al n. 10, allude ad un aspetto omoerotico nella simbologia delle pesche: " che sopra gli altri avventurato sia/colui che può le pèsche dare e tòrre", intendendo colui che può darlo e prenderlo, che può essere attivo e passivo e che può avere in questo il massimo godimento ( sul testo, al n. 10, www.nuovorinascimento.org, 25 settembre 1995, Rime di Francesco Berni a c. di Danilo Romei, vv. 75 e 76  ). Le pesche sono" le reine delle frutte" e il poeta ne fa un lungo elogio che presenta vari doppi sensi e in larga parte si basa sul dualismo davanti/dietro. Va inoltre detto che il verbo pescare, legato al doppio senso delle pesche la cui rotondità e rientranza centrale rimanda all'ano, è propriamente legato all'atto sodomitico della penetrazione anale ( cfr. Sara Moscagiuri, Università degli Studi di Padova, Laurea Magistrale in Filologia Moderna, Sodoma e Firenze. Lettura pre-omosessuale del Rinascimento, AA, 2015-2016, Relatore, Guido Baldassarri, p. 73 . ). Nel Berni e nel Burchiello esiste un intero vocabolario di doppi sensi erotici quasi esclusivamente riferiti alla pederastia, alla sodomia: in particolare i frutti sono visti in relazione alla loro forma equivoca: la rotondità di pesche e mele, rimandano alla rotondità anale, il cardo al pene. Berni, omosessuale lui stesso, esiliato da Roma in Abruzzo a seguito di uno scandalo omosessuale, insiste su questi doppi sensi per l'intera rete di vocaboli a sfondo erotico delle Rime ( J.Toscan ., Le carnaval du langage. Le léxique érotique des poètes de l’equivoque de Burchiello à Marino, Lille, Presses Universitaires, 1981 Vol I.  ) e nel considerare gli aspetti simbolici dei frutti occorre fare riferimento a questi doppi sensi erotici che rimandano alla diffusione della sodomia a Firenze ed il Toscana fra XV e XVI secolo, sulla quale possiamo basarci oltre che sui documenti giuridici anche su poesie e novelle ( Paolo Pucci, Tra atto sessuale e identità: aspetti della sodomia in alcune novelle dal XV al XVI secolo, in " Rivista della letteratura italiana", 2007, 25; sugli aspetti sociali e storici della sodomia fondamentale Michael Rocke, Forbidden Frienship. Homosexuality and Male colture in Reinassance Florence, Oxford, Oxford University Press, 1998. Per Firenze e Venezia nel XV secolo, Romano Canosa, Storia di una grande paura: la sodomia a Firenze e a Venezia nel Quattrocento, Milano, Feltrinelli, 1991; Giovanni Dall'Orto, La Fenice di Sodoma: essere omosessuale nell'Italia del Rinascimento in Wayne R Dynes and Stephen Donaldson, History of homosexuality in Europa amd America, New York. Garland, 1992, pp. 61-83  ). Nonostante la negazione del Longhi e degli accademici di formazione cattolica che come Murizio Calvesi nelle Realtà del Caravaggio del 1990, arriva a negarla in quanto considerata devianza, gli juvenilia di Caravaggio sono connotati simbolicamente da un carattere apertamente androgino e omosessuale (importante in questa chiave il contributo di Donald Psosner, Caravaggio's homoerotic early works. in " Art Quarterly", 34, 1975, pp. 301-324 )   che in seguito viene meno, non un aspetto eclatante e difficilmente negabile; vi sono anche riferimenti documentari che possono essere interpretati solo in un modo ed è fuorviante negarli: non si tratta di caricare il pittore di maledettismo e trasgressione, si tratta di attribuirgli la propria natura , considerando che la sodomia e l'omosessualità nel XV e nel XVI secolo erano abbastanza tollerate se vissute negli spazi del privato e sanzionate con pene anche gravi come la morte quando invece diventavano oggetto di scandalo pubblico. Inoltre la sodomia e l'omosessualità iniziatica e pedagogica erano praticate nelle scuole, ma anche nelle botteghe d'arte: il maestro ed il suo allievo, spesso anche usato ed abusato ed oggetto di un amor socratico giustificato attraverso la lettura di Marsilio Ficino ( Nell'Alcibiade fanciullo a scola, di Antonio Rocco, del 1634, ma pubblicato a Venezia nel 1654 usato come "libro da carnevale", per inserire la trasgressione in un contesto di 'libertà', grottesco e proiettato nel passato dell'antica Grecia, un maestro cerca di convincere un adolescente ad avere con lui rapporti omosessuali, ed. Roma, Salerno, 1985 ) . Inoltre la sessualità dei temperamenti forti, malinconici e saturnini, era alquanto complessa e poteva avere anche risvolti contrari e doppi, con passaggi alla bisessualità. Che vi fossero artisti sodomiti e omosessuali ben sappiamo, Leonardo e Botticelli vennero denunciati per sodomia e un pittore, Giovanni Bazzi  che si faceva chiamare Il Sodoma, era comunemente considerato omosessuale ( Giorgio Vasari chiarisce molto bene il significato del soprannome:" aveva sempre attorno fanciulli e giovani sbarbati, i quali amava fuor si modo" e per questo " si acquistò il sopranome di Soddoma", Giorgio Vasari, Le Vite, ed. 1906, vol. VI, p. 380 )    . Che le opere d'arte, senza perdere in nulla delle loro qualità né senza essere considerate espressioni maudit , posseggano riflessi omoerotici è cosa nota e studiata oltre oceano ( da noi il solo Giovanni dall'Orto e alcuni giovani ricercatori hanno cercato di scardinare la resistente cultura cattolica; cfr. sui rapporti omosessualità-arte, James Saslow Homosexuality in the Renaissance: behavoir, identy and artistic exspression in Dubermann, et alii, Hiddet from History, 1989, pp. 90-105 ). Oltre che Venezia, anche Firenze fu piuttosto tollerante nei confronti della sodomia e questo naturalmente provocò l'indignazione dei moralisti. Bernardino da Siena, in una delle sue prediche, si scaglia contro il dilagare della pratica della sodomia fra i giovani e denuncia il dove ed il quando degli incontri, specificando che i luoghi malvagi della prostituzione maschile e femminile erano le osterie, complice il vino che eccitava gli animi :" (…) taverne di corso di malvagge, (i) luoghi riposti ove si tiene pubrico bordello de’ garzoni come di pubbliche meretrici, i letti per albergare la notte quando ‘anno pieno il corpo di vino, la lossuria sodomita in campo. Insensati cittadini che vedete i vostri figliuoli che diventano indemoniati e non vi provvedete a fare serrare le taverne alle ventiquattro ore" ( Bernardino da Siena, Prediche volgari, Pistoia,1934, p. 45 ). Le taverne che avevano sempre nel retrobottega un bordello dove esercitavano il mestiere uomini e donne disponibili alle voglie di sodomiti e puttanieri. La sodomia era diffusa in ogni ambiente sociale e i nobili, anche se rischiavano multe e carcere, potevano esercitarla sin quando non incappavano nelle denunce. Inoltre non bisogna associare sodomia sempre ad omosessualità, anche se questa era la norma e la voce diffusa, perché a volte il " vitio nefando" era praticato su giovani adolescenti e donne indifferentemente : un caso eclatante è quel Francesco Cenci, padre di Beatrice, che aveva rapporti tanto con donne quanto giovani adolescenti e che finì in prigione perché denunciato per sodomia ( la pubblicazione dei documenti e degli atti giudiziari nella biografia di Beatrice Cenci scritta da Corrado Ricci, Roma, 1923 ). L'interesse per i giovani imberbi e dall'aspetto androgino poteva essere aumentato dall'eccitazione del travestimento, dall'uso di abiti femminili, di trucco e atteggiamenti femminili, L'adolescente morso da un ramarro che sbuca fra il fogliame nel dipinto di Caravaggio, con un fiore fra i capelli e un atteggiamento femmineo, andrebbe letto anche in questa direzione, così come il Bacchino, legato all'eccitazione provocata dal vino e dal turbamento amoroso, dovrebbe essere letto anche in chiave omoerotica, come la stessa simbologia delle due pesche, poste in primo piano, spinge a considerare.
                  Il Bacco degli Uffizi , commissionato dal cardinal Del Monte, ambasciatore a Roma della Nazione Fiorentina, per farne dono al Duca Ferdinando I de' Medici è decisamente diverso dal Bacchino della Galleria Borghese : il primo è nato nell'ambito della raffinata cultura umanistico-rinascimentale ed ermetico-alchemica che si respirava alla corte del cardinale in Palazzo Madama, il secondo è un prodotto a mio avviso individuale, sviluppato in seno alla visione grottesca e bizzarra dell' Accademia dei Vignaioli della Valle di Blenio, ma anche attraverso un procedimento di difficile e critica autorappresentazione, in un momento di abbattimento morale e di profondo sconvolgimento interiore anche in senso erotico e patologico, segnato dai segni profondi dell'epilessia. La floridezza alterata dall'euforia del vino, come ci mostrano gli arrossamenti sulle guance del Bacco degli Uffizi, ma senza intaccarne l'essenza della salute fisica, nel Bacchino è assente : l'adolescente è malato del suo umor umido, della sua lunarità, della sua perdita del centro, del suo chiudersi in sé tormentato dagli spasmi: non c'è bisogno di vederne il colorito del corpo, basta vedere il corpo che come quello di un mostriciattolo prigioniero di se stesso.

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