lunedì 21 luglio 2014

Tutto è niente : la vanità






                           TUTTO E' NIENTE: LA VANITA'

                                                                  BERNARDO STROZZI

                                                          LA VANITA'






Bernardo Strozzi, La Vanità, 1635-1640, Museo Puskin, Mosca




Bernardo Strozzi, detto anche il " Cappuccino" o il  "prete genovese", è stato un prolifico e talentuoso pittore italiano di metà Seicento, di formazione toscana, ma in seguito legato ad influenze lombarde e venete, soprattutto dal Veronese. Per poter mantenere la madre rimasta vedova fu costretto ad entrare diciassette nell'ordine dei Frati Minori Cappuccini; ma poi, grazie al suo considerevole talento lasciò l'ordine per fare il pittore. Quando nel 1625 morì la madre venne accusato di pratica illegale della pittura e arrestato; per evitare ulteriori complicazioni suo malgrado rientrò nell'Ordine. Ma l'Ordine gli stava alquanto stretto così decise di varcare il confine di Stato fra Lombardia e Veneto ed entrò nel territorio della Serenissima chiedendo asilo. A Venezia poté riprendere l'arte di pittore e presto si fece conoscere ed apprezzare. In laguna era noto come "Il prete genovese", dalla sua precedente militanza nell'Ordine dei Frati Cappuccini e dall'origine della sua Patria. In questo dipinto Bernardo si richiama al noto tema allegorico della vanitas , rappresentando la vanità della bellezza. Nella sua scelta Bernardo non rappresenta una donna bella e nel rigoglio della sua età giovanile, ma una vecchia che, ignara della sua età, delle rughe, dei seni cadenti, della pelle avvizzita, si specchia vanitosa allo specchio, metafora stessa della vanitas , ma qui anche della caducità della bellezza che è svanita nel tempo e non torna più malgrado la donna voglia ignorare questo aspetto ed i segni che la mostrano in tutta la sua vecchiaia: i capelli bianchi, la pelle rugosa, le ossa sporgenti che si riflettono nello specchio che non mente ma mostra ciò che la realtà è. Bernardo aveva in precedenza, nel 1623, fatto un disegno dello steso soggetto e lo aveva fatto incidere da Theodor Matham. Se osserviamo l'acquaforte, notiamo come la figurazione della donna anziana che si specchia è spostata da destra, come appare nel dipinto del museo Puskin, a sinistra. Questo fatto permette meglio di vedere alcuni aspetti che nel dipinto erano solo genialmente suggeriti; l'ancella che cerca inutilmente ed ironicamente di addolcire la pillola alla vecchia che si crede giovane, sollevando sulla sua testa una piuma ( è il simbolo della leggerezza e dunque è utilizzata in senso ironico in quanto posta perpendicolarmente sulla testa e quindi indica "testa leggera", di donna superficiale e stupida ), nella stampa è vista a corpo intero e con espressione beffarda e la sua presa in giro è anche replicata dall'altra ancella che qui si mostra meglio con espressione più che beffarda di compatimento.

Allegoria della vanità
Stampa di Theodor Mattham, invenzione di Bernardo Strozzi, La Vanità, c. 1623, Villa Mylius Vigoni, Menaggio 
             Nel dipinto, come anche nella stampa vi sono mostrati gli oggetti della vanità, le cose inutili, la caducità dei beni terreni, i gioielli ( le due collane di perle sulla toeletta ), il vaso d'argento con protome a forma di arpia e il porta profumi d'argento, i merletti, la stoffa preziosa, i nastri colorati ecc. Tutti aspetti che fanno pensare che la donna possa essere ricca, ambiziosa oltre che vanitosa. La conservazione della bellezza come la conservazione degli oggetti preziosi : ma se i secondi possono essere conservati inalterati, la prima è sfiorita e il fatto di continuare a cercarla diventa l'elemento comico per eccellenza. Nell'opera L'Umorismo , Luigi Pirandello, parla della differenza che vi è fra l'avvertimento del contrario e il sentimento del contrario e fa proprio l'esempio di una donna anziana che per parere più giovane si imbelletta e si improfuma e si veste in modo esattamente contrario a come dovrebbe essere una donna della sua età e che quindi provoca le risa di chi la guarda. Il passaggio al sentimento avviene nel momento in cui veniamo a sapere perché questa si comporta in modo esattamente contrario a come dovrebbe comportarsi una della sua età: fa così perché cerca di riconquistare il marito più giovane che l'ha abbandonata giustificando in un certo qual modo la sua trasformazione. Ecco, nel caso della donna di Bernardo noi abbiamo solo l'avvertimento del contrario. Il pittore non vuole dirci altro che la donna mostra agli altri solo la sua sciocca vanità ignorando la propria realtà. Non sappiamo altro ma non ci importa saperlo: ella è ciò che mostra : vanitosa, illusa, stupida e per questo coloro che sono attorno a lei ed avvertono il contrario, non possono che prendersi gioco di lei. A funzionalizzare la vanitas  è chiaramente lo specchio: Uno specchio ben grande che riflette la donna a mezza figura, a torso nudo. Nella tradizione occidentale lo specchio è attributo figurativo delle sirene che conducono gli uomini alla perdizione e alla lussuria e per questo il suo significato è quello della vanitas ( non a caso è anche attributo di Satana, come indica Petrarca nel sonetto " Fiamma del ciel...", ma è anche un simbolo della veritas , in quanto mostra le cose come stanno. Un segno con duplice significato: da un lato inganna perché seduce ( nel caso specifico la donna stessa che si guarda ), dall'altro dice la verità perché riflette sempre ciò che è. Nel bellissimo dipinto di Diego Velasquez Venere e Cupido del 1648 , il pittore ritrae Venere nuda e sdraiata su di un fianco che si specchia, mentre suo figlio eros regge lo specchio che riflette l'immagine del volto della dea. Qui abbiamo una riflessione reale della bellezza giovane. Ciò che nel dipinto di Bernardo è la riflessione di un dato oggettivo che non viene visto da chi si riflette, nel dipinto di Diego è la riflessione di un dato oggettivo che viene visto da Venere che non ha bisogno di specchiarsi per sapere che è bella, ma che è Amore che le porge lo specchio per mostrarle la sua inarrivabile bellezza.

Diego Velasquez, Venere e Cupido, 1648, National Gallery, London
 

Nella Iconologia  di Cesare Ripa, del 1611 e più volte ristampata, la Vanità è descritta come una giovane florida e bella: " Giovanetta, ornamente vestita, con la faccia lisciata, porti sopra alla testa una Tazza con un Core. Vanità si dimanda nell'huomo tutto quello, che non è drizzato à fine perfetto e stabile, per essere solo il fine gegola delle nostre attioni, come dicono i Filosofi. Et, perché il vestire pomposamente, e il lisciarsi la faccia si fà per fine di piacer ad altri, con intentione di cosa vile, e poco durabile, però questi si pongono ragionevolmente per segno di Vanità. E'vanità medesimamente scoprire à tutti il suo core e i suoi pensieri, perche è cosa che non hà fine alcuno, e facilmente può nuocere, senza speranza di giovamento; però il Core si dipinge apparentemente sopra alla Testa." 



Cesare Ripa, Vanità, da Iconologia, 1611.


Qui vediamo la bella giovane con le braccia allargate accanto ad un divanetto in un ambiente che si immagina signorile. Nella tradizione figurativa però la Vanità, uscita fuori da questa classificazione iconologica ripresa dal Ripa ed esemplata sulla letteratura classica, poteva essere raffigurata anche attraverso l'esaltazione della bellezza per il tramite dello specchio, come in Velasquez; ma vista vista in senso moraleggiante, dove chi si specchia, la donna, lo fa per esaltare la sua bellezza, e quindi per vanità:

Bugiardini Giuliano , Allegoria della Vanità - insieme
Francesco Bugiardini, Allegoria della Vanità, New York, mercato antiquario, attribuzione di Federico Zeri, Fondazione Zeri, n.  scheda 33899, Università di Bologna.


A Bernardo Strozzi, invece, interessava soprattutto mostrare come la vanità espressa in tarda età evidenziava ancora di più il senso del peccato, della luxuria. Ma lo evidenziava attraverso il riso, attraverso la comicità; l'invito a guardare la vecchia che si specchia e si sente giovane è anche un invito a tenersi lontani dal vizio. Vi sono alcuni elementi simbolici nel dipinto. Uno è il vaso d'argento con protome di Arpia. Le arpie erano figure mitologiche con viso di donna e corpo d'uccello. In alcune leggende le immagini femminili delle arpie non sono quelle di belle fanciulle, ma di sordide vecchie con i seni cadenti ( nelle Eumenidi Eschilo, ad esempio. Nella cultura popolare e nei proverbi arpie sono le donne malevole, cattive, che si comportano male, che agiscono come streghe. L'associazione fra l'arpia e la vecchia nacque per distinguerle dalle sirene, sempre rappresentate come giovani. Per cui le sirene sono seduttive e ingannatrici perché seducenti, le arpie sono si rapitrici, come indica l'etimo greco, ma rapiscono le anime, sono le rapitrici che portano nel regno dei morti e come tali si trovano nell'antro del Tartaro come in Virgilio. Ora la donna vecchia che si specchia è come un'arpia, ma è una rapitrice di se stessa, inganna solo se stessa. Un altro simbolo presente nel dipinto è la rosa, che è simbolo della caducità della vita e proprio questa rosa, come un segnale, come indice semantico, si mostra nello specchio, riflette ironicamente la realtà. Ma vi è anche un altro indice semantico ironico, i fiori d'arancio, che sono simboli consueti del matrimonio e alludono alle spose. Dunque la donna vecchia è stata un tempo una giovane sposa, ma ora quel tempo è fuggito via e quei fiori altro non sono che un inganno, un'indicazione del tempo che è passato ed il fatto che ella tenga fra le dita tanto i fiori d'arancio quanto la rosa è un ulteriore rafforzativo di questa ironia sul duplice aspetto che il quadro vuole raffigurare: ciò che si vede e ciò che vuole indicare: la vecchiaia e la bellezza svanita, la vanità e la lussuria, il vizio.

Bernardo Strozzi, La Vanità

 Nella tradizione iconografica della allegoria della Vanità entra anche un altro simbolo che avrà larga fortuna nel Seicento, il teschio come memento mori, come ammonimento alla vanitas. Guardiamo ad esempio il dipinto di Giulio Campi Allegoria della vanità del 1574;


Giulio Campi, Allegoria della vanità, 1571-1574, Museo Poldi Pezzoli, Milano
All'estrema destra del dipinto vediamo il teschio che allude alla fine di tutte le cose, compresa la bellezza della donna. Questa mostra un abito discinto che allude alla passione ( non diversamente, sia pure nel senso ironico si trova nel dipinto dello Strozzi ), guarda il teschio e dunque alla morte con sorpresa e timore. Altro simbolo sono i fiori d'arancio sul petto della donna che alludono al fatto che ella è una sposa o una promessa sposa. Sempre a destra un servitore nero che evidenzia come ci si trova in un ambiente ricco e sfarzoso che probabilmente occhieggia allo stesso committente ricco che può permettersi schiavi neri e tessuti preziosi, come il tappeto di damasco sul tavolo. Un uomo che può essere assimilato a quello che compare sulla sinistra con abiti sfarzosi e anelli preziosi. Tutte però allude alla vanità delle cose terrene, ai piaceri e agli agi, come l'amore e la musica ( sul tavolo ci sono degli spartiti musicali aperti davanti alla donna ). Una allegoria ancora più evidente è quella di Guido Cagnacci in cui la bellezza della donna è associata direttamente alla morte, alla fine delle cose, attraverso l'abbraccio che essa fa con un teschio.

Guido Cagnacci, Allegoria della Vanità, c. 1655, Andalusia, USA, collezione Nelson Shanks ( da Arte Ricerca
di Erich Scheler ) 
La donna seminuda, dal morbido incarnato, tiene con la destra il teschio e con la sinistra simboli dell'amore e della sua fugacità ( la rosa e il soffione ). Anche qui, come nel dipinto dello Strozzi la donna tiene con le dita la rosa. Un altro elemento che è associabile al teschio e che indica la fugacità del tempo è la candela che si consuma e che può essere oggetto di suggestioni notturne e di riflessi nello specchio. Un dipinto anonimo ( si suppone di un seguace di George de La Tour, Theophine Bigot ) , con l'Allegoria della Vanità , di metà XVII secolo, associa la candela allo specchio e al teschio, un completamento, insomma di alcuni elementi che Bernardo Strozzi aveva indicato sulla scorta della tradizione toscana rinascimentale e che presto diffusero il tema della vanitas in tutta Europa, specie in Olanda, a metà del XVII secolo, in concomitanza con la diffusione della peste, quanto la morte distruttrice ricordava a ogni persona la caducità delle cose terrene e la fugacità del tempo richiamando le parole dell'Ecclesiaste  che certo dovevano essere ben presenti anche al " prete genovese" :   Vanitas vanitatum et omnia vanitas ( " vanità delle vanità, tutto è vanità " ) .

Anonimo ( Theophine Bigot  ), Allegoria della Vanità, metà XVII secolo, Galleria di Palazzo Barberini, Roma 

Bibliografia

Liberliber, progetto Manunzio, Cesare Ripa, Iconologia, Vanità, in www.liberliber.it/mediateca/libri/ r/ripa/iconologia 
Camillo Mangitti, Bernardo Strozzi, Torino, 2012
wikipedia, Vanitas, Bernardo Strozzi, Allegoria della vanità, Théophine Bigot.
Matilde Battistini, Simboli e allegorie, Milano, Mondadori Electa, 2002, pp. 360-365.