sabato 25 febbraio 2017

IL PRIMO TEMPO.Parte Seconda. Caravaggio a Caravaggio








                                                                          IL PRIMO TEMPO:


                                   GLI ANNI A CARAVAGGIO E L'ARRIVO ALLA BOTTEGA DI
                                                             SIMONE PETERZANO A MILANO 

                                                                                 1576- 1584



            Chi nel Cinquecento fosse arrivato per la prima volta nel borgo di Caravaggio sarebbe rimasto sorpreso, attraversando la grande campagna che lo circonda, dal gran numero di sorgive e di corsi d'acqua che rendono il territorio, fra i fiumi Adda e Serio, particolarmente fertile e atto ad essere coltivato soprattutto a vigneti e orti. Il borgo, al visitatore sarebbe apparso di piccole dimensioni, ma ben munito e atto a costituire una roccaforte di difesa per coloro che aspiravano ad una sua conquista di un baluardo di confine qual era. La città era ben difesa da una robusta cinta muraria e circondata da un fossato e sulla rocca si trovava un castello già nel Duecento, quando la ripartizione urbanistica medievale già prevedeva i quattro rioni principali: Vicinato, Prata, Porta Seriola, Porta Folcero. La cittadina, già formata e costituita a comune in questo periodo e fiera della propria indipendenza, per liberarsi dell'influenza di Cremona, si alleò con Crema, città nemica del Barbarossa, ma questi l'assegnò a Milano come tutta la Geradadda. La popolazione allora si ribellò anche ai milanesi, ma fu per questo duramente punita. Diventata capoluogo della Geradadda, dopo anni di invasioni, spoliazioni, distruzioni, fu teatro di una guerra combattuta nelle sue campagne fra Francesco Sforza e le truppe venete, che vennero sconfitte nel 1448. Poco prima, nel 1432, una giovinetta, Giannetta Varoli, ebbe la visione della Madonna che portò un messaggio di pace che la ragazza chiese che venisse a sua volta dato alle autorità comunali. Da allora il luogo dell'apparizione, nel campo di Mezzolengo, fu meta incessante di pellegrinaggi e vi venne costruito un piccolo ospedale ed una prima cappella, che nel 1516, quando ebbe il privilegio da Leone X, era già come una chiesa" veramente insigne, con edifizi adatti, ornamenti e pitture venerande". Questo primo nucleo, detto di Nostra Signora della Fonte, non era ancora, propriamente un Santuario,questo venne costruito ad iniziare dal 1575 e affidato al progetto dell'architetto di fiducia di Carlo Borromeo, Pellegrino Tibaldi. A dimostrazione di come i Merisi avessero il primato nell'edilizia del borgo, quando il Tibaldi ottenne l'autorizzazione alla demolizione della vecchia chiesa e fece aprire il cantiere della nuova ad occuparsi del cantiere fu uno zio di Michelangelo, Bartolomeo Merisi. In quel periodo, poco prima del ritorno al Borgo dei Merisi, era marchese Francesco I Sforza, appartenente ad un ramo minore della famiglia, cresciuto sotto la vigile e severa attenzione della nonna Violante Sforza e rimasto accanto alla madre, Faustina Sforza di Santa Flora, moglie e vedova di Muzio Sforza perito durante la battaglia di Metz nelle file di Carlo V. Francesco aveva sposato di malavoglia a fine 1576, la tredicenne figlia dell'eroe di Lepanto Costanza Sforza Colonna che il padre, pur con preoccupazione per la giovane età aveva voluto che si sposasse per mantenere buoni rapporti non tanto con gli Sforza quanto con gli Spagnoli. Ad appoggiare il matrimonio era Carlo Borromeo in persona sebbene presto fu costretto ad intervenire, su sollecitazione del padre, a cercare una sistemazione a Milano, in un convento alla giovane Costanza che si era ribellata minacciando il suicidio lamentando i modi violenti del marito. In realtà, dopo che era girata la voce che questi fosse impotente e reagisse così alla sua impossibilità nonostante la foga e il desiderio giovanile, si comprese come il problema fosse invece della giovane inesperta, che aveva preso per violenze quelle che erano manifestazioni irruente di desiderio. Fatto sta che già quando era nel monastero le suore si accorsero che Costanza era incinta e quando tornò a Caravaggio, prima del 1576, ebbe in sequenza ben sei figli, fin quasi alla morte del marchese avvenuta nel 1580 (sul Borgo e i marchesi di Caravaggio, Francesco Tresoldi, Il borgo di Caravaggio nel marchesato degli Sforza, Bergamo, 2005, Berra, 2005 ). 

               L'arrivo a Caravaggio dei coniugi Merisi e dei loro figli era nato sotto grandi speranze e buoni auspici: la campagna e l'aria salubre del borgo, unitamente all'aiuto e al conforto delle due famiglie, Merisi e Aratori che li accolsero. Probabile che Fermo fosse stato contagiato dalla peste a Milano, tuttavia vi erano stati casi di peste anche al Borgo. La peste si manifesta sul corpo umano con delle macchie nere diffuse un po' dappertutto e con dei rigonfiamenti detti bubboni all'inguine e sotto le ascelle. In genere porta a febbre molto alta e può causare emorragia polmonare capace di portare alla morte una persona in un solo giorno. Considerata un male velenoso contenuto nell'aria, nemico dello spirito vitale, la peste, al di là dei riti sacri, delle processioni e delle preghiere, è combattuta dai medici, almeno nel'76, ancora in uno stato di sostanziale impotenza. Se ne era occupato il medico milanese Ludovico Settala ( 1552-1633 ), autore anche di uno specifico trattato del 1622, De Pestis, e di un manuale del 1629, Cura locale de'tumori pestilentiali, Le cure si basavano sull'incisione dei bubboni per far uscire la materia e disinfettando poi la parte interessata con unguenti, come quello non meglio precisato, detto egiziaco, triaca, mitridate, aloe, aceto e miele, o impacchi a base di erbe. Si usavano anche applicare ventose e sanguisughe per tirar fuori il sangue infetto. Naturalmente non erano rimedi efficaci e talvolta ad un apparente risanamento seguiva un peggioramento rapido sino alla morte. Di fatto non  c'erano rimedi e quando la persona era stata contagiata ed erano comparse macchie e bubboni bisognava solo condurre la vittima al Lazzaretto dove in isolamento avrebbe atteso la morte; dopodiché veniva portata fuori delle mura cittadine; i vestiti bruciati e la vittima seppellita e la terra ricoperta di uno strato di calce. Per i malati l'unico vero conforto era quello religioso e Carlo Borromeo in questo si era prodigato al massimo anche se di fatto i preti spesso, per evitare di venire contagiati, si tenevano a distanza dei moribondi lasciandoli senza estrema unzione. 

                   Malgrado l'aria buona, l'acqua pulita e le cautele raccomandate da medici ed autorità locali, la peste colpi la famiglia Merisi a Caravaggio. Morirono Bernardino, nonno paterno di Michelangelo e suo padre Fermo nel 1577. Fermo lasciò la famiglia il 20 ottobre del 1577 senza fare testamento, cosicché Lucia prese le redini della conduzione familiare, gestendo il patrimonio immobiliare che consisteva in alcuni terreni agricoli della campagna caravaggina. Lucia, i figli e il padre Giangiacomo andarono ad abitare in una casa, oggi scomparsa, di porta Folcero. Il nonno materno di Michelangelo aveva ceduto, forse per necessità economiche o per dipendenza con i nobili Sforza, la vecchia casa di famiglia che era adiacente al palazzo Sforza Colonna ( oggi vi è il Municipio di Caravaggio ), un palazzetto gotico che, si crede, fosse appartenuto a un prozio del pittore, notaio benestante, del quale si possono vedere alcune strutture e l'arco gotico di accesso. Il palazzetto, del XV secolo, era piuttosto grande e il notaio aveva provveduto a decorarlo con tavolette dipinte che raffiguravano virtù, personaggi storici e antenati della famiglia (cfr. Mario Marubbi, Eroi antichi di casa Aratori. Tavolette da soffitto del Quattrocento a Caravaggio, Milano, 2013 ),  Alcune di queste tavolette di figurazione tardogotica e primoumanista ed artisti anonimi, si sono conservate ( sono nel museo di Cremona ), in una vi è il ritratto di un uomo che indossa un abito con collo di ermellino ( lo portavano i giudici ed i notai ), con una scritta, Caranzo ( forse Caravaggio ), che potrebbe essere anche un ritratto del prozio di Michelangelo (cfr la tavoletta in www.StileArte.it. 26 settembre 2015, Il Caravaggio fra Bergamo e Milano ), Il nonno materno di Caravaggio, Gian Giacomo ( o Giovan Giacomo ), era nato nel 1520 a Caravaggio era un affermato agrimensore consulente dei marchesi Sforza. La sua famiglia, di cui si conserva lo stemma ligneo ( un drago circondato di stelle ), non si sa bene se fosse nobile, se cioè Lucia e suo padre erano di casato gentilizio o gli Aratori di antica nobiltà fossero altri. Le ricerche di Berra porterebbero a crederlo ( sono complesse le relazioni ed i rapporti parentali all'interno della famiglia ) , ma vanno considerate anche quelle di Marubbi in relazione alla committenza delle tavolette del soffitto del piano nobile ( www.creamaonline.it/articoli/images/9008-0-tavolette-25-39.pdf ). Fermo Aratori e Giustina Baruffi, proprietari del palazzetto nel XV secolo sono i committenti delle tavolette in legno di conifere dipinte a tempera, Fermo, figlio di Gasperino Aratori, forse nato nel 1440, era notaio dal 1460 al 1501, aveva uno studio in Porta Seriola e al culmine della sua professione possedeva un patrimonio ragguardevole. Il patrimonio e la frequentazione di famiglie nobili come i Secco, gli fecero ricoprire ruoli importanti in comune, come quello di Console ( talvolta carica attribuita erroneamente a Gian Giacomo ). Dalle ricerche di Marubbi risulta che il notaio Fermo Aratori era fratello maggiore di Giovan Antonio, bisnonno di Caravaggio ( i Giovan Antonio erano due ) e che il palazzetto gotico con il soffitto delle tavolette dipinte, passò in eredità a Gian Giacomo ( o Giovan Giacomo ) nonno di Michelangelo, che vi abitò sino alla cessione agli Sforza. Il giovane Caravaggio non abitava questa casa al momento del suo arrivo a Caravaggio, però è facile che il nonno lo avesse portato ad ammirare il soffitto del piano nobile e gli avesse spiegato l'identità dei personaggi storici e mitologici raffigurati: un primo incontro con l'arte pittorica, dunque e con con quel fare" capocce", poi ripreso nella prima attività romana. Sempre secondo il Marubbi le figure virili dipinte appartenevano ad una attività di bottega che le produceva in serie, forse quella del  Maestro di Monticelli ( cfr. Mario Marubbi, Pittori, opere e committenze dall'apogeo dell'età viscontea alla fine della signoria sforzesca, in AA. VV, Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di Milano, Cremona, 2008, pp. 318-319 ), a cui si deve anche la decorazione della chiesa di S. Bernardino a Caravaggio le cui figure presentano rapporti figurativi con le teste delle tavolette ( Marubbi, Le tavolette, cit, pp.35-39, figg, 13-14, 15-16 ). Caravaggio , dunque, avrebbe potuto avere due punti di riferimento pittorici in qualche modo collegati fra di loro: dai singoli volti ai dipinti di figure. Sempre a San Bernardino a Caravaggio, il giovane pittore, poteva certamente aver ammirato Le storie di Gesù dipinte nel Tramezzo dal pittore caravaggino seguace e collaboratore di Gaudenzio Ferrari, Fermo Stella ( su di lui Giovanni Romano, Fermo Stella e Sperindio Cagnoli seguaci di Gaudenzio Ferrari. Una bottega d'arte nel Cinquecento padano, Silvana ed., Cinisello Balsamo, 2006 ). A lui sono stati attribuiti interessanti dipinti a fresco recentemente apparsi proprio nelle pareti di S. Bernardino ( Pietro Tosca, Corriere di Bergamo, 24 maggio, 2015 ).     


Anonimo, Helena, Tavoletta dipinta del soffitto di palazzo Aratori a Caravaggio, sec. XV, tempera su legno,
       Museo Civico di Cremona
                         
Anonimo, Ipocras ( Ippocrate ) Tavoletta dipinta del soffitto di palazzo Aratori a CAravaggio, sec.XV, tempera su legno, Museo Civico di Cremona

Fermo Stella per la grande opera a fresco in S. Bernardino del 1531, nel Tramezzo, si servì di cartoni di Gaudenzio Ferrari, le figure sono imbevute di un arcaismo popolareggiante e molto espressive, segnate da intenti devozionali e didascalici. L'impatto del visitatore, certamente anche per il giovane Caravaggio, è emotivo per la grandezza della figurazione cui spicca la grande crocefissione. 


Fermo Stella, Storie di Gesù ( Crocifissione, part ) Chiesa di S. Bernardino, 1531, affresco, Caravaggio.
Di Fermo Stella ( la firma è curiosamente ricavabile dalla decifrazione di un rebus in basso, nella stessa chiesa di S. Bernardino ), vi è anche un bell'affresco con la Madonna fra i Santi Bernardino e Rocco, che dimostra le qualità di questo artista caravaggino poco conosciuto.
            
               Gian Giacomo Aratori, il nonno materno di Caravaggio, non nobile probabilmente, ma appartenente a famiglia medio borghese di professionisti, era un uomo colto e molto impegnato al borgo. Agrimensore, amministratore del piccolo ospedale e della cappella di S. Maria della Fonte, che ad opera dell'architetto Pellegrino Tibaldi dal 1575 veniva trasformata in Santuario, consulente dei marchesi Sforza-Colonna ai quali aveva ceduto il suo vecchio palazzetto gotico. Era sicuramente la persona più adatta per occuparsi di un giovane di talento, sveglio e voglioso di apprendere, come Michel Angelo. Pertanto è possibile, soprattutto dopo la morte di Fermo Merisi, che Gian Giacomo si occupasse di educare il giovane alle glorie locali, soprattutto quelle artistiche visto che, di certo, già doveva evidenziare qualità che poi lo porteranno all'apprendistato a Milano nella bottega di Simone Peterzano. E' possibile che ad indirizzare la figlia Lucia in tal senso sia stato lo stesso Gian Giacomo, magari confortato da qualche parere autorevole di artigiani e artisti che lavorano nel cantiere gestito dallo zio del giovane, Bartolomeo Merisi. Gian Giacomo Aratori avrà di certo parlato al ragazzo della più importante gloria artistica locale, Polidoro Caldara da Caravaggio, del quale avrà sicuramente letto la vita nel Vasari. Gli avrà raccontato della sua fortuna artistica, della sua precoce scelta di andare a Roma, dove convergevano i giovani artisti in cerca di lavoro e di gloria ( cosa che, fra gli altri motivi, può aver influito sulla stessa scelta di Michele ) e gli avrà anche detto del suo itinerario al sud e della tragica morte a Messina per mano di un garzone che lo aveva rapinato ( una vita precedente per Caravaggio che per uno strano scherzo del destino in qualche modo la ricalca ). Lo avrà condotto anche a vedere, oltre che il suo ex palazzetto con le già dette tavolette dipinte con gli eroi nel soffitto del piano nobile, anche i dipinti più importanti del Borgo, dalla chiesa di S. Bernardino con le Storie di Gesù di Fermo Stella e la Madonna fra S. Bernardino e S. Rocco, alla chiesa di San Fermo e Rustico, con i medaglioni delle campate dipinti a soggetto biblico dei pittori milanesi, Federico e Carlo Ferrario, agli affreschi della cupola del caravaggino Francesco Prata, attivo soprattutto a Brescia, del quale si sa pochissimo ( era seguace del Romanino ) e che potrebbe essere, in qualche modo, nella coloritura e nel lume, un precedente importante del Caravaggio ( Paola Castellini, www.StileArte.it, il misterioso proto-Caravaggio, 1/5/2007 Servida, Gli affreschi di Francesco Prata da Caravaggio nella Cappella del Sacramento a Caravaggio, in Artes, 3, 1995  ; sull'artista M. Tanzi, Pittura a Caravaggio, in AA.VV, Pittura tra Adda e Serio dal XII al XIX secolo. Il Cinquecento, Bergamo, 1975. e dello stesso Francesco Prata da Caravaggio:aggiunte e verifiche, Bollettino d'Arte, 1987, pp. 44-45 ). L'itinerario artistico all'interno del paese sarà stato completato di certo anche con la storia e la visita a S. Maria della Fonte dove era in costruzione il nuovo santuario su progetto dell'architetto Pellegrino Tibaldi. Nella vecchia cappella vi erano dei dipinti a fresco, ma questa costruzione venne demolita dall'architetto del nuovo santuario  nel 1575, pertanto quando il Caravaggio bambino accompagnato dal nonno, vi fece visita non trovò che il nuovo grande cantiere, ma poté giovarsi dei ricordi e della storia dell'apparizione alla fonte, che poteva vedere accanto alle strutture della nuova costruzione.  

              Come tutti i ragazzi della sua età Michele, come era affettuosamente chiamato, frequentò le scuole per ricevere una educazione scolastica di base impartita ai figli della classe medio borghese commerciante e artigiana, Nei comuni venivano allestite scuole con precettore pubblico che impartiva lezioni di grammatica volgare e latina, di abbaco, di matematica commerciale, di umanità, che comprendevano letture dei classici latini. Esistevano anche scuole private e religiose, ma è facile che a Caravaggio vi fossero solo precettori pubblici, mentre le parrocchie erano attive in proporre ai ragazzi lezioni di educazione cristiana. In una di queste scuole insegnava proprio la marchesa di Caravaggio, Costanza Colonna. Non sappiamo se Michele la frequentasse. Dopo la presenza dell'illustre testimone alle nozze fra Fermo e Lucia, non ci sono altre indicazioni di frequenza dei marchesi con la famiglia; è facile che i rapporti venissero mantenuti da Gian Giacomo, ma solo per questioni professionali. Nelle affettuose lettere di Costanza alla sua balia Margherita Aratori, sorella di Lucia ( e in quelle della balia alla marchesa  ), non si fa alcun cenno a Michele, né vi sono indicazioni di possibili frequentazioni da parte di Lucia. Il Berra ipotizza che il nonno Gian Giacomo potesse essere maestro di disegno di Michele in quanto il disegno faceva parte delle conoscenze degli agrimensori. Ma non si tratta, appunto, che di ipotesi che non possono appoggiarsi a niente. Il Caravaggio, comunque, era culturalmente curioso e buon lettore come dimostrano i volumi ( purtroppo non sono riportati i titoli ), della cassa inventariata con altre robbe nel 1603 ( Riccardo Bassani, Flora Bellini, La casa, le 'robbe', lo studio di Caravaggio a Roma. Due documenti inediti del 1603 e del 1605, in Prospettiva, 71, 1993, pp. 68-76 ( pp. 69-70 ). Avere una buona dimestichezza con la scrittura e la lettura, erano richieste di base per poter entrare a bottega e quindi Michele quando si recò a Milano per essere accolto nella bottega di Simone Peterzano, doveva certamente disporre di buone conoscenze di base. Non sappiamo chi influì nella decisione di scegliere la professione dell'arte; è possibile che Gian Giacomo Aratori, resosi conto delle capacità del nipote, abbia fatto pressione sulla figlia per avviare il ragazzo alla pittura. Coloro, come Maurizio Calvesi, che credono nel rapporto di Michele con Federico Borromeo, pensano che a fare da tramite fra Gian Giacomo e Lucia Aratori fosse stato l'architetto di Carlo Borromeo, Pellegrino Tibaldi ( anche pittore ) , impegnato nella realizzazione del Santuario in quegli anni e che probabilmente conosceva il nonno del pittore dato che era amministratore di Santa Maria della Fonte e dunque del Santuario stesso ( vi accenna cautamente anche Berra, 2005, pp. 169-170 ). Ma non esistono documenti che fanno supporre un qualche rapporto fra Gian Giacomo Aratori e Pellegrino Tibaldi e poi quest'ultimo era architetto di Carlo Borromeo e non di Federico, che divenne arcivescovo di Milano nel 1595, mentre l'architetto morì nel 1596. Si può pensare che Fermo Merisi avesse conosciuto il Peterzano, di origine bergamasca, a Milano. Nella chiesa di S. Vito in Pasquirolo presso la quale i Merisi abitavano, vi è una Pala di Simone, ma venne dipinta nel 1590 ( C.Terzaghi, Simone Peterzano, DBI, vol 82, 2015 ), quando Fermo era morto da tempo. Anche il collaudo degli angeli del Coro del Duomo di Milano ( Arslan, Le pitture del duomo di Milano, Milano 1960, p. 44, n. 19 ) è fatto da Simone in una data, il 1977, estranea ai rapporti con Fermo, perché questi era partito già per Caravaggio. Vero è che il Peterzano era a Milano già dal 1572 e che la sua prima bottega era a Porta Orientale, non lontano da S.Vito in Papirolo, però nulla autorizza a credere che conoscesse Fermo Merisi. La scelta per Caravaggio della bottega di quest'ultimo resta, pertanto, avvolta nella nebbia. Forse la motivazione nasce dal fatto che il pittore era oberato di lavoro ed aveva bisogno di giovani di talento come allievi e futuri aiuti ( nel 1575 aveva richiesto un giovane, Francesco Alicati che doveva specializzarsi nella realizzazione di motivi decorativi e al quale il Peterzano aveva promesso di insegnare l'arte del ritratto, Terzaghi, 2015 ) e ancora di più questa necessità vi era nel 1584, data del contratto stipulato con Lucia Aratori per permettere al giovane Caravaggio di andare nella sua bottega. E il fatto che Peterzano fosse bergamasco come i Merisi-Aratori lo erano della provincia di Bergamo, poteva essere un motivo valido per la scelta e, forse, da tramite fecero i due caravaggini pellicciai amici di famiglia, Bartolomeo e Giovan Battista Baschi. 

                Dunque, Lucia Aratori e forse il nonno di Michele Gian Giacomo si recarono nell'aprile del 1584 a Milano a firmare il contratto di apprendistato (  scovato dal Pevsner nel 1927  ) che venne stipulato il 6 aprile 1584 per circa 40 scudi d'oro e firmato da Lucia Aratori ( il contratto venne ripubblicato dal Sameck-Ludovici, Il documento della formazione, in Archivi, XVIII, 1951, pp.140-142 ). Il ragazzo, Michelangelo, tredicenne, già si trovava a Milano da qualche tempo, nella casa del Peterzano come afferma un documento ( Gian Alberto Dell'Acqua, Mia Cinotti, Michelangelo Merisi da Caravaggio, tutte le opere, Bergamo, Le date debbono essere considerate certe perché la Riforma Gregoriana del calendario è del 1582). Il contratto specificava obblighi ed impegni che l'apprendista si apprestava ad assolvere. Leggiamo: 

             " Si conviene che il detto Michelangelo è tenuto a stare e abitare con il detto maestro Simone per imparare l'arte del pittore, e questo per i prossimi quattro anni a partire da oggi, e che il detto Michelangelo si addestri in quest'arte notte e giorno, secondo la consuetudine di detta arte, bene e fedelmente, e non commetta alcun dolo o frode sui beni del detto maestro Simone. Il detto maestro Simone è tenuto e obbligato a tenere il detto Michelangelo nella sua casa e bottega, e istruirlo in quest'arte in tutto quanto possa, affinché alla fine dei quattro anni egli sia qualificato ed esperto in detta arte, e sappia lavorare per conto proprio. Il detto Michelangelo è tenuto a dare  e pagare al detto maestro Simone, quale sua ricompensa, ventiquattro scudi d'oro del valore di sei libbre imperiali a scudo, da versare in anticipo ogni sei mesi da parte del detto Michelangelo al detto Maestro Simone, dei quali Michelangelo promette di pagare il restante. " ( da Andrew-Graham Dixon, Caravaggio, vita sacra e profana, Milano, Mondadori, 2010, p. 58 ) 

           Da fidejussori ( la fideiussione è un negozio giuridico tramite il quale il fideiussore si rende garante presso il creditore di un'obbligazione proposta da un debitore, nel caso specifico Lucia Aratori nei confronti del Peterzano ), fecero due caravaggini residenti a Milano di professione pellicciai che erano amici di famiglia, Bartolomeo e Giovan Battista Baschi ( Gian Alberto dell'Acqua e Mia Cinotti, cit., p. 208 ). 

            Dunque, mentre Giovan Battista Merisi, secondogenito di Lucia veniva avviato al sacerdozio e si apprestava a recarsi a Roma per studiare al Collegio Romano dai gesuiti, grazie ai buoni auspici dello zio prete Ludovico Merisi, il primogenito di secondo letto del fu Fermo, si avviava a Milano a diventare pittore professionista. In questo modo Lucia, vedova di Fermo, poteva dire di aver assicurato un futuro lavorativo ad entrambi i suoi figli che comunque avevano diritto a beneficiare delle proprietà terriere di cui era erede e che in seguito, malgrado non pochi contrasti con i figli di primo letto di Fermo, riuscirono a vendere per poter disporre di un patrimonio personale. Di certo la scelta fatta per Giovan Battista era più sicura; il prete era un privilegiato, se diventava parroco poteva beneficiare di prebende, altrimenti poteva tentare la scalata al potere ecclesiastico. La scelta di Michele, che certo deve aver convinto per le qualità dimostrate in campo artistico, rappresentava un interrogativo, però non solo era giusto assecondare il talento, ma era proprio nella tradizione dell'avviamento professionale dei giovani fare in modo che quel talento potesse svilupparsi nell'ambito di una bottega.  Sulle botteghe milanesi, la loro organizzazione, funzionamento e lavoro, abbiamo lo studio della Shell ( Janice Shell, Pittori in bottega, Milano nel Rinascimento, Torino, Alemandi, 1995 ) . La bottega era situata fronte strada e aveva, come in genere le botteghe artigiane, un locale al piano terra, spazioso e ben illuminato, che fungeva da laboratorio, una scala portava al piano superiore dove c'erano altri ambienti, a volte anche la stanza del magister e quelle dei suoi allievi. Probabilmente al piano superiore già abitava Cavaggio prima che la madre firmasse il contratto, pertanto il maestro aveva già avuto modo di constatare le sue doti attraverso qualche lavoro che gli venne presentato. 

              Così, mentre il fratello Giova Battista, si apprestava a partire per Roma per andare a studiare da  prete al Collegio Romano a Roma, decisione nella quale, probabilmente dovette entrare in merito lo zio, fratello del padre, Ludovico, che era prete, Michelangelo si avviava ad iniziare una carriera, ben più complessa e difficile dove solo il talento poteva essere un segno di distinzione ed affermazione. Certo, avere un figlio prete dava garanzie a priori e poi già ne era presente uno in famiglia ( nelle famiglie borghesi e mercantili, ci era quasi sempre un prete in famiglia, spinto a prendere l'abito quasi mai da vocazione, ma per fini utilitaristici, quali benefici, prebende, protezioni); con Michelangelo la cosa doveva essere un po' più complessa: a convincerla sarà stato di certo anche il padre, come si è detto, ma Lucia aveva in famiglia, come attesta l'inventario dei beni del marito, dei dipinti e quindi aveva una certa familiarità con l'arte e poteva comprendere se il ragazzo meritava o meno di essere incoraggiato. In ogni caso, la strada era segnata, ed il fatto che il Peterzano avesse già ospitato Michele prima della firma del contratto era di certo un incoraggiamento e in un certo senso un segno del destino. Entusiasmo, voglia di imparare, volontà non dovettero mancargli, magari spinti anche da un carattere già fiero ed irruento ( il Mancini, che è forse il biografo più sobrio e non prevenuto, accenna" Studiò in fanciullezza per quattro o cinque anni in Milano, con diligenza ancorché di quando in quando, facesse qualche stravaganza causata da quel calore spirito così grande"( Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura,  Vita del Caravaggio, Roma 1621, 1957 ).    

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