venerdì 24 febbraio 2017

Il primo tempo ( parte prima ) Il giovane Caravaggio a Milano

                                 



                                                                IL PRIMO TEMPO:
                                            IL GIOVANE CARAVAGGIO A MILANO 

                                                                       Parte prima

                                                                     ( 1571- 1577 )



Ottavio Leoni, Ritratto di Caravaggio, 1691
carboncino e pastello su carta azzurra
Biblioteca Marucelliana di Firenze

                  Il 14 febbraio 2007, giorno di San Valentino, l'ex manager della Standa, Vittorio Pirani in pensione, appassionato di storai dell'arte e archivistica, era impegnato nell'archivio della parrocchia di S.Stefano in Brolo alla ricerca di nomi di artisti milanesi sconosciuti; mentre consultava il Liber Baptizatorum relativo agli anni 1565-1587, all'anno 1571, mese di settembre, ebbe un sussulto, come di fronte all'apparizione di un vecchio amore: davanti agli occhi gli era apparso uno dei documenti più ricercati della storia dell'arte, quello di Michelangelo Merisi, al secolo il Caravaggio. Nell'annotazione manoscritta, sottoposta dopo una prima scorsa alla luce della lampada di Wood per rendere il testi più comprensibile si legge: " Adì 30 fu bat [tezzato ] Michel angelo f[ilio]de D[omino ] Fermo Merixio et Lutia de Oratoribus/ compare Fran[cesco] Sessa."( notizia su Il Sole 24ore del 24 febbraio 2007 che pubblica l'inedito documento e si veda Macioce,,Michelangelo da Caravaggio. Fonti e documenti, Roma 2010, p, 23 ).Dunque il pittore venne battezzato il 30 settembre 1571 presso il fonte battesimale della chiesa di S. Stefano in Brolo ( oggi S. Stefano Maggiore in piazza S. Stefano ). Ora, giocoforza vuole che, considerando il matrimonio dei genitori, avvenuto a Caravaggio il 15 gennaio 1571 nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo, il giovane Michelangelo Merisi doveva essere nato otto mesi dopo, si presume con ottima certezza a Milano, dove Fermo Merisi lavorava come capomastro alla Fabbrica del Duomo ( nel novembre del 1572 era presente con la famiglia a Milano nella parrocchia di S. Maria della Passerella, dove venne battezzato il secondogenito Giovan Battista ) , probabilmente il 29 settembre, giorno di S. Michele Arcangelo da cui la famiglia prese il nome. Con rammarico dei caravaggini il luogo di nascita era Milano e non Caravaggio, come lo stesso pittore, non estraneo a generare confusioni sulla sua biografia, aveva affermato. E' noto, infatti come nell'atto di accettazione del Cavalierato di Malta 14 luglio 1608, è scritto di pugno del pittore: " Magnificus Michael Angelus Carraca, oppido vulgo de Caravaggio in Longobardis natus" ( il " Magnifico Michel Angelo nato nel borgo di Carraca, in volgare detto Caravaggio, in Lombardia ) ( Cinotti, 1971, p. 161 ), Si trattava però di un atto di omaggio ad una terra molto amata e alla quale si era sempre sentito legato al punto da affermare di esservi nato. Ma le cose non finiscono qui: il pittore non lasciò mai che si precisasse la sua nascita o non dicendola o levandosi gli anni. Il 25 settembre 1589, quando risiede a Caravaggio, dovendo vendere un terreno, che aveva in comune col fratello Giovan Battista, dopo la morte del padre, con l'autorizzazione della madre e con diritto di riscatto, dichiara di avere diciotto anni ( Macioce, 2010, p. p.35,Doc.n.35  )  nato dunque nel 1571, ma il 25 settembre. Ma anche a Roma, quando conosce il giureconsulto e poeta Marzio Milesi doveva aver fornito dati sbagliati se poco dopo la sua morte, nel 1610, in un epitaffio scrisse che il pittore aveva vissuto 36 anni, 9 mesi e 20 giorni ( Fulco,1980, p. 67 ) : Roberto Longhi, che aveva scoperto le rime, sentenziò che, di conseguenza, doveva essere nato nel 1573. Aveva, dunque, mentito di nuovo. L'incertezza sulla sua età, del resto, era anche nei biografi che lo avevano conosciuto in vita, Mancini e Baglione, che sono o approssimativi, il primo ( arrivò a Roma a circa 20 anni, ma non dice in che anno  ), o non ne parlano proprio, il secondo. Ed anche all'inizio della sua attività a Roma, l'età non era conosciuta: il testimone Luca, barbiere, fa una descrizione del pittore affermando che aveva nel luglio 1597," vinti o vinticinque anni". Età taciuta, anni levati, luogo di nascita indicato al posto di quello vero, dimostrano una certa altezzosità nel pittore che doveva essere tanto agli inizi, quanto dopo, quando era accresciuta dalla fama. Le cose, riguardo ai suoi dati biografici si sono regolarizzate proprio a seguito della scoperta di Vittorio Pirani che ha fatto parlare un documento inequivocabile. Dunque nato il 29 settembre 1571, giorno di San Michele Arcangelo, come aveva già ipotizzato, nel 1973, Maurizio Calvesi. Circa la scelta del nome ( non raro a Milano, giacché risultano in quegli anni nati altri Michelangelo: Comincini, 2004 ), che interrompeva la tradizione di famiglia Merisi, dei Bernardino, Fermo, Pietro e che risulta l'unico a non essere legato alla festa di un Santo fra gli altri figli: Giovan Battista, nato il 21 novembre 1572 e Caterina, nata il 12 novembre, 1574, possiamo ipotizzare che la scelta del nome dell'angelo guerriero Michele fosse in qualche modo legato allo scontro fra la Cristianità e l'Impero Ottomanno che si sarebbe concluso di lì a nove giorni con la vittoria della Lega Santa nelle acque del Golfo di Corinto presso Lepanto, l'8 ottobre 1571. Michele, in ebraico Mi ka el  ( chi è come dio ? ) , aveva guidato la Militia Christi contro le schiere di angeli ribelli guidati da Lucifero, sconfiggendole. Poteva dunque essere un nome ben augurale per una vittoria attesa da tutti i cristiani. Si può aggiungere che il vincitore di Lepanto, capitano della flotta pontificia, Marcantonio Colonna, era il padre della marchesa Costanza Colonna, moglie del marchese Francesco Sforza di Caravaggio  che era stato testimone di nozze di Fermo e Lucia Merisi e che il padre di Lucia Aratori, Giangiacomo, agrimensore e notabile del paese, amministratore del Santuario di Caravaggio, fungeva anche da consulente del marchese. Infine, la sorella di Lucia, era balia dei figli della marchesa Costanza. Quindi, oltre che un augurio di vittoria cristiana, il nome Michele poteva anche essere un omaggio agli Sforza-Colonna di Caravaggio i cui contatti erano tenuti per parte di madre dal solo Giangiacomo Aratori (  sui rapporti fra i Merisi, gli Aratori e i marchesi di Caravaggio Berra, 2005 ).

              Dunque, il 30 settembre 1571, il trentaduenne Fermo Merisi si recò nella chiesa di S. Stefano in Brolo per battezzare il suo primogenito della seconda moglie ( dalla prima, Maddalena Vacchi, di cui restò vedovo, nacque Margherita ). In genere ci volevano dai tre agli otto mesi per battezzare un nuovo nato, però nelle società di antico regime, specie nei tempi di peste ( e a Milano nel 1524 c'era già stata una pestilenza cosiddetta di Carlo V ed era una città considerata a rischio in questo senso ), si era soliti far battezzare i bambini il giorno dopo a causa dell'elevata mortalità e la Chiesa incoraggiava questa pratica in quanto serviva a far si che, sia pure innocenti, ma macchiati dal Peccato Originale, i bambini non finissero al Limbo. Questo fatto però comportava problemi per la madre che in sole 24 ore doveva essere pronta per andare in chiesa e ciò, sia pure in presenza di costituzioni forti, era problematico ( alle madri la medicina del tempo prescriveva la quarantena da passare in letto e durante questo periodo venivano fatte confessare comunicare perché la morte era sempre possibile  ). E' dunque probabile che Fermo si sia recato al fonte battesimale di S. Stefano in Brolo con la sola levatrice, il piccolo Michelangelo e il compare Francesco Sessa, un amico di famiglia, un socio di lavoro o addirittura il padrone di casa:  allo stato attuale delle ricerche non vi sono informazjoni.

            La famiglia Merisi, con la figlia di primo letto Margherita, doveva risiedere a Milano, dove Fermo lavorava al cantiere del Duomo, dai primi mesi del 1571, poco dopo il matrimonio ( possibile, anche se non certo, che Michelangelo fosse concepito a Caravaggio ) e forse risiedere nella parrocchia di S. Stefano in Brolo in una delle case dei molti lavoranti del cantiere, forse ospite di un conoscente o in affitto. Doveva essere una residenza provvisoria o che venne cambiata per qualche motivo, quale un litigio o un contrasto, oppure S. Stefano in Brolo era servita solo per il battesimo perché S. Maria della Passerella aveva un'attività limitata o non era disponibile.  In ogni caso se Giovan Battista nasce a novembre del 1572 nella parrocchia di S. Maria della Passerella, è possibile che la famiglia si fosse trasferita  nei primi mesi del '72.  S. Stefano in Brolo, oggi S. Stefano Maggiore in piazza S. Stefano, La chiesa, storicamente nota perché nel 1476 vi venne assassinato nell'atrio  Galeazzo Maria Sforza, esiste ancora oggi nell'aspetto assunto fra XVII e XVIII secolo, sia nella facciata che nelle parti interne, tutto l'antico quartiere che vi gravitava intorno è andato distrutto durante le sistemazioni urbanistiche napoleoniche. Accanto vi scorreva il lago di S. Stefano, un canale necessario a portare materiale sino al cantiere del duomo e lungo questo canale vi si affacciavano case di artigiani e laboratori. La chiesa di S. Maria della Passerella ( si trovava nell'attuale via della Passerella ) , invece, fondata nel 1172, venne distrutta a seguito delle ristrutturazioni edilizie e della sistemazione urbanistica volute della riforme giuseppine del 1787. Era compresa fra le parrocchie di Porta Orientale e risulta documentata nei Registri dei Benefici della Diocesi di Milano per le imposte del periodo 1576-1585, accanto vi era la chiesa e il convento dei padri serviti ( Lombardia Beni culturali, 2007 ). Secondo ricerche del Berra, la casa di Michelangelo Merisi e della sua famiglia si trovava di fronte alla chiesa di S. Maria dei Servi ( in Corsia dei Servi, demolita nel 1847 per costruirvi l'attuale neoclassica S. Carlo al Corso ) e nella zona della chiesa di S, Vito in Pasquirolo, nella abitazione di Jacoma de'Rossi, presa in affitto, sembra, dopo una controversia sorta con Gabriele Vasola; era composta di due piani, al primo c'era la cucina e la bottega di Fermo, al secondo vi erano 5 stanze, più un solaio ( Berra, 2005, p. 30 ).

              Fermo Merisi lavorava come capomastro murario. Non è verosimile che facesse l'architetto, sia pure dilettante e il maestro di casa del marchese di Caravaggio Francesco Sforza, come aveva scritto il primo biografo Giulio Mancini ( Considerazioni sulla pittura, 1619-25, !957, p. 224 ), non vi sono documentazioni oltre questa e l'inventario dei beni del Merisi, redatto dopo la sua morte il 18 febbraio 1578, non riporta strumenti pertinenti alla professione dell'architetto, bensì solo quelli per l'attività di lavoratore in campo edile ( cfr. Doc. 183, Macioce, 2010, p. 34 ). Era invece, probabilmente, un artigiano e piccolo imprenditore che lavorava, con dipendenti e una bottega ( quella che si trovava, al primo piano della sua casa ), per la Fabbrica del Duomo. Del resto la sua famiglia, denominata Merisi Quacchiato ( dalla voce dialettale quata tèc, riparatore di tetti )  per distinguerla dal resto dei Merisi, era sempre stata attiva nell'edilizia e nel commercio del borgo ( il padre Bernardino possedeva una rivendita di vini e non proprio un'osteria, lo zio Bartolomeo nel 1575 aveva attivato il cantiere per la nuova realizzazione del Santuario di Caravaggio progettato da Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia di Carlo Borromeo  ). Della professione di muratore parlano anche gli altri due biografi, Giovanni Baglione ( 1642 ) "figliolo[Caravaggio]d'un maestro che murava gli edifici assai bene" e Giovan Pietro Bellori ( 1672 )" impegnandosi Michele in Milano col Padre, che era muratore" .

             Non vi sono documenti che Fermo fosse maestro di casa ( maggiordomo ) dei marchesi di Caravaggio; un lavoro per altro del tutto estraneo alla sua professione. Vero è che i marchesi avevano un palazzo a Milano non lontano dalla casa di Fermo ( era dov'è oggi piazza Missori; ne rimangono solo pochi ruderi ), ma sembra che non vi fossero fra il 1571 e il 1576 quando vi erano i Merisi, ma risiedettero a Caravaggio, dove la marchesa Costanza nel 1576 ebbe la prima gravidanza gravidanza e in quel periodo il palazzo era affittato alla famiglia nobile dei Cusano, legata da rapporti con gli Sforza di Caravaggio ( cfr, le ricerche di Giacomo Berra, 2005, p.119. Sulla critica ai presunti rapporti di Fermo Merisi con gli Sforza-Colonna di Caravaggio, anche Dusio, 2009, pp.15-17, che tende a ridimensionare le stesse ricerche del Berra ). I rapporti col marchese di Caravaggio Francesco, di un ramo minore degli Sforza, erano dunque solo tenuti dal nonno di Michelangelo, Giangiacomo Aratori, notabile del Borgo,  amministratore del Santuario e agrimensore di professione e, probabilmente, in questa veste consulente del marchese.

               La zona dove Fermo abitava, quella di S. Vito in Pasquirolo, era intensamente abitata e laboriosa, le case, i laboratori, i cantieri, le botteghe ai lati delle strette vie, erano popolate da artigiani operai e piccoli imprenditori che non potevano dire, però di trovarsi in un posto tranquillo e onesto: gli studi di storia sociale hanno dimostrato come vi fossero molte bische, anche clandestine, osterie di dubbia reputazione e vari bordelli. La criminalità aveva un alto tasso e impegnava di frequente le autorità come mostrano i dispacci di polizia; il gioco clandestino, le zuffe fra bande di giovani rivali, i furti, le aggressioni, gli stupri, la prostituzione, erano fenomeni difficili da combattere e quasi impossibili da estirpare. I bordelli, nella zona del Castelletto erano molto frequentati e presi costantemente di mira dalle prediche e reprimende del cardinale Carlo Borromeo, sebbene fossero sotto il controllo e la gestione dell'autorità municipale. La corruzione ( addirittura anche nelle chiese, come in quella di S. Giacomo frequentata da meretrici e lenoni ) e la prostituzione erano così dilaganti che il cardinale riuscì alla fine ad ottenere la demolizione di varie case chiuse , con evidente sconcerto della numerosa clientela. Allo scoppio della peste, nel 1576, erano quasi del tutto demolite, anche se rimanevano una ventina di prostitute. Nel 1578 per combattere la criminalità che era ripresa, le autorità fecero costruire sul posto caserme e carceri ( D'Amico, 1995, in la Città e i poveri, pp. 273-290 e D'Amico, 1988, pp. 394-424 ). Nonostante condizioni di vita così difficili, non sembra che ai Merisi accaddero fatti disdicevoli: la vita proseguiva con l'intenso lavoro di Fermo e con il costante impegno domestico di Lucia, che dopo la nascita di Giovan Battista e di Caterina ebbe un altro figlio, Giovan Pietro. Non appare verosimile che il giovane Caravaggio, come afferma il Bellori, iniziò come aiutante del padre e si esercitò lavorando a fare le colle per i pittori, frequentandoli e scoprendo così la sua vocazione per l'arte pittorica: " Si esercitò da giovane nell'arte di murare, e portò lo schifo della calce nelle fabbriche, poiche impiegandosi Michele in Milano col Padre s'incontrò à fare le colle ad alcuni pittori che dipingeuano à fresco e tirato dalla voglia di usare i colori, accompagnandosi con loro, applicandosi tutto alla pittura" ( 1672 p. 202 ). Michelangelo restò a Milano con la famiglia dal 1571 sino alla fine del 1576 quando i Merisi si trasferirono a Caravaggio per sfuggire alla peste, in un lasso di tempo così stretto e per essere un fanciullo ( nel 1576 aveva solo 5 anni ), egli non poté fare  praticamente nulla di quello che afferma il Bellori, che aveva ripreso dal Vasari ( V, 142 ), che l'aveva riferita a Polidoro Caldara da Caravaggio, la frase " portò lo schifo della calce". Ciò non significava che non potesse frequentare i pittori che lavoravano al cantiere del Duomo; ma l'interesse per la pittura poteva essere anche vissuto all'interno del nucleo familiare. Nell'inventario dei beni di Fermo, del 18 febbraio 1578 vi erano infatti dei quadri, Alcuni erano grandi, altri più piccoli"Un quadro de noce et un picolo de Albara" ; " E più quadri da camera n.4" ( Macioce, 2010, Doc. 183, p. 34 ). Dunque vi era un quadro grande con supporto in noce, uno più piccolo con supporto in pioppo ( Albara in veneto ) e quadri da collocare nelle camere ( a Milano erano 5, al piano superiore dell'abitazione ). Il quadro grande doveva essere superiore al m, mentre i 4 piccoli fra 60 e 100 cm (De Tomasi, New art, 2014 ). Purtroppo non sappiamo cosa i quadri raffigurassero, probabilmente si trattava di dipinti devozionali, di allegorie morali, o di quadri con personaggi storici che trovano posto nelle dimore dei mercanti e imprenditori per arredare prevalentemente camere da letto ( R.A.Goldthwaite, Ricchezza e domanda nel mercato dell'arte in Italia dal Trecento al Seicento. La cultura materiale e le origini del consumismo, Milano, 1995, pp. 240-250 Sugli inventari con dipinti, S. Mazzi, Gli inventari dei beni. Storia di oggetti, storia di uomini, " Società e storia",III,7, 1980, pp.534-536 ). Nulla autorizza a credere che fossero opere di Fermo ( De Tomasi, 2014 ); non esiste alcuna documentazione o accenno a questa attività sia pure dilettantistica. Più facile che fossero doni di amici e conoscenti pittori che lavoravano con lui a seguito di un molto modesto collezionismo o solo per finalità di arredamento della casa di famiglia come segno di distinzione, che era poi una delle attività di un capofamiglia benestante ( Frigo, 1985 , D'Amato 2001, in part. pp. 185-267 ). Potevano anche essere forme di pagamento fornite da clienti che non avevano potuto pagare in denaro. In ogni caso nella casa dove abitava il giovanissimo Michelangelo era possibile guardare dei dipinti, magari molti mediocri, ma certamente dei dipinti. Frequentando i pittori dei  cantieri, affrescatori, a stare al Bellori e trovandosi dei dipinti in casa Caravaggio iniziò a familiarizzarsi con quella che sarebbe poi diventata la sua attività, la sua professione.                

               Negli Stati d'Anime del 1576, la famiglia Merisi risulta ancora a Milano, ma l'anno successivo è documentata a Caravaggio. Il governatore spagnolo Antonio Guznam, il 17 aprile del 1576 non era più tanto contento del grande afflusso di pallegrini in città  a seguito dell'estensione del Giubileo romano del 1575 fortemente voluta da Carlo Borromeo: le notizie provenienti da Venezia dove la peste bubbonica sta dilagando, sono molto preoccupanti e il governatore è costretto a limitare gli afflussi di pellegrini in città. In luglio, però, il Giubileo era stato già interrotto e si erano verificati dopo i casi di peste a Porta Comasina. In agosto è conclamata, vengono raccolti i morti e gli ammalati gravi condotti nel Lazzaretto di S. Gregorio, a settembre è indetta la quarantena per donne e bambini e in ottobre Carlo Borromeo si prodiga in visite, processioni, messe solenni. L'eccezionale impegno del Borromeo porterà Alessandro Manzoni che descrisse nei Promessi Sposi la peste del 1630 a chiamare la grave epidemia precedente,del 1576, peste di S. Carlo. Alla fine di ottobre il ritmo dei morti di peste era di 100 al giorno e a fine anno si contò un totale di 15.000 morti. Fermo comprese che non si poteva stare più a Milano e decise di trasferirsi con la famiglia, all'inizio del 1577, a Caravaggio dove pensava di trovare un'aria più salubre e dunque una protezione dal contagio, ma appena giunto nel borgo dovette constatare che alla peste non c'era scampo nemmeno lì.


   

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