giovedì 20 novembre 2014

La madre cattiva



                                                          LA MADRE CATTIVA

                                           Giovanni Segantini

                                        LE CATTIVE MADRI


Giovanni Segantini, Le cattive madri, 1894, Kunsthistorisches Museum, Wien
     " Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco."
Dante Alighieri,  Inferno, Canto XIII ( vv.4-6 ) 

" Solo, senza amore, da tutti abbandonato come un cane rabbioso", Giovanni Segantini, Testo biografico, in Maria Cristina Gozzoli, L'opera completa di Segantini, Introduzione di F. Acangeli, Milano, Rizzoli, 1973

               In una landa desolata, innevata e gelida, un albero insecchito, spoglio, spunta dalla coltre bianca. Fra i suoi rami una donna a seno nudo con i lunghi capelli rossi al vento impigliati ed una svolazzante veste di veli bruni e azzurrini si regge sospesa nel vuoto mentre un bimbo succhia il latte da una delle sue mammelle. 
La donna sembra come presa da un furor estatico, come una baccante deprivata della sua violenza e della sua eccitazione; il suo viso è tormentato e allo stesso tempo catturato da un moto interiore che sprigiona un'estasi di redenzione : il bimbo dai capelli rossi può finalmente allattarsi al seno materno dopo essere stato respinto, allontanato, da una madre degenere che ora, finalmente, può restare appagata, soddisfatta, sebbene non sembra rendersene conto e piuttosto appare riempita da una grande calma interiore. L'albero non è propriamente secco, senza vita, una vita c'è. Esso vive per quella vita e quella vita lo fa vivere ed esprimersi animandosi, come l'albero dei suicidi del XIII dell'Inferno dantesco, quando è l'albero di Pier delle Vigne, morto suicida, a raccontare la sua vita nel gelido Cocito. In questo dipinto Segantini prosegue un discorso iniziato con un'altra opera : Il castigo delle lussuriose:



        Giovanni Segantini, Il castigo delle lussuriose, pastello su cartoncino graffito, 1897,Kunsthouse,Zurich


In un paesaggio desolato, innevato e gelido, coronato dalla cerchia delle montagne illuminate da un sole freddo due donne, una opposta all'altra, unite dalla medesima veste a filetti argentati, con il seno scoperto e i lunghi capelli al vento fluttuano nell'aria a poca altezza dal suolo, mentre sul fondo, fluttuando anch'esse nell'aria, due altre figure di donne vestite allo stesso modo, sono già giunte alla salvezza e già toccano il suolo.  Sono le anime delle donne che hanno abortito, che hanno rifiutato la vita che avevano in grembo ( è significativo come la veste , che copre le due donne, le unisca al ventre ) e sono condannate a vagare nel silenzio eterno della desolata valle ghiacciata.  La raffigurazione delle lussuriose venne ispirata  al pittore da un poema indiano Nirvana , tradotto dal librettista Luigi Illica : 

"Or ecco fuori della vallea livida/ appaion alberi! Là da ogni ramo chiama forte un'anima/ che pena ed ama; ed il silenzio è vinto e la umanissima/ voce che dice: Vieni! A me vieni, o madre! Vieni e porgimi/ il seno, la vita. Vien, madre!... Ho perdonato!... Là fantasima/ al dolce grido vola disiosa e porge al ramo tremulo/ il seno, l'anima. Oh, portento!/ Guardate! Il ramo palpita!/ Il ramo ha vita! Ecco! E il viso d'un bimbo, e il seno succhia/ avido e bacia! Poi bimbo e madre il grigio albero lascia/ cadere avvinti... Là su Nirvana irradia! Là su il figlio/ con seco tragge la perdonata Madre... I monti varcano/ le due fantasime! ... Varcan l'angoscia de le nubi e volano/ dove è Nirvana. Oh, umana questa fede che dimentica/ e che perdona".


Per essere più precisi la raffigurazione che ne ricava Segantini riguarda entrambi i dipinti: per meglio dire, ne  Le cattive madri , che sono protagoniste negative de Le lussuriose , il bambino che vediamo mentre si stringe al seno della madre ( e che fa fuoriuscire la sua voce dall'albero della vita nella quale sembra essere contenuto ) , richiama le donne che volteggiano nella landa ghiacciata e deserta enunciando il suo perdono e una donna, perdonata, dopo aver varcato l'angoscia del peccato volando fra le nubi dove è la purificazione dell'anima, dove è il nirvana, ed essersi abbassata a toccare finalmente terra, si riunisce, finalmente al bimbo sul ramo " che ha vita ". Il tema esprimeva la condizione dell'infanzia del pittore, dopo la morte della madre che lo lasciò all'età di cinque anni e l'abbandono da parte del padre che lo aveva affidato ad una sorella ed era partito per l'America. Dall'affidamento infelice, poi, era passato da un orfanatrofio all'altro, sempre in una condizione di povertà, tristezza e malinconia. Il riferimento costante alla madre e alla maternità ritorna spesso nell'opera di Segantini, specie nella sua fase simbolista e il ricordo della madre sarà sempre presente anche nei ricordi biografici: " Io la ricordo ancora mia madre...la rivedo con l'occhio della mente, quella sua figura alta, dall'incedere languido. Era bella, non come aurora o meriggio, ma come tramonto di primavera"( Buffagni,2009, 143 ). Nei due dipinti domina un tema simbolico molto caro al pittore, che aveva vissuto nel Cantone svizzero dei Grigioni, in diretto contatto con la natura montana, quello della sacralità della montagna: un luogo fuori dal mondo, fra paradiso e inferno dantesco. La montagna come centro cosmico e luogo della divinità o dove dio si manifesta è un aspetto di rilievo nella figurazione di Segantini. E la montagna come espressione profonda di un silenzio superiore che è al tempo stesso pace e condanna. Insieme al simbolismo della montagna di grande importanza è il simbolismo dell'albero. Segantini guarda in specie all'associazione fra maternità sacra e albero della vita. Nell'iconografia cristiana l'albero è infatti il simbolo della vita voluta da dio, quindi sacra e inviolabile.  L'albero è inoltre collegato al simbolismo della morte e della rinascita ( e dunque della resurrezione ) : muore in inverno ( come Cristo sulla Croce ) e rinasce o risorge in primavera ( come Cristo che lascia il sepolcro per andare in Cielo e ricongiungersi al Padre ). Ma nell'albero è insistita anche una forte simbologia mariana. Superata la prima fase, quella dell'Alto Medioevo, in cui dominavano ancora elementi di paganesimo che portavano a credere che gli alberi, le querce in particolare, fossero abitati dagli spiriti maligni e che quindi andavano abbattuti, più tardi, dopo l'anno Mille, cominciarono ad assumere elementi positivi e spesso venivano collegati alla vita, alla nascita, alla morte cristiana. Intanto fra le fronde degli alberi si cominciò a vedere la Madonna e si diffusero santuari di S. Maria della Quercia. Giacinto Gimignani, pittore seicentesco, dipinse nell'Oratorio Vecchio di Prato a Prato Serio, in provincia di Novara, una Madonna della quercia e Santi , in cui si vede, al centro delle frondi, una specie di nicchia vegetale con una Madonna e Bambino.  E' possibile che Segantini la conoscesse, tuttavia gli esempi pittorici classici non potevano mancargli a cominciare dalla Madonna della Quercia di Raffaello, dove l'associazione con la robusta pianta rimanda alla robustezza della fede in dio. L'idea di associazione fra la madre, il bambino e l'albero, era stata già sviluppata da Segantini nel dipinto L'angelo della vita , del 1896:



Giovanni Segantini, L'angelo della vita, 1896, Segantini Museum, St. Moritz








A differenza delle Cattive madri, dove la madre esprime un forte sentimento di espiazione contorcendosi come l'albero alla quale è impigliata con i capelli e come un ideale cordone ombelicale che si attorciglia sul tronco, nell' Angelo della vita , domina una serena atmosfera materna, la madre accosta il mento ai capelli del bambino e questi il viso al collo e la mano al seno della madre angelica. La maternità è un'immagine pacata, dove il bianco luminoso della pace e della purezza risalta, come la corteccia argentea della betulla, l'albero sul quale la madre è seduta. La betulla, albero sacro ai Druidi e ai Celti, è un albero cosmico e un albero della Vita, della saggezza e dell'energia vitale e fecondatrice. I lunghi capelli biondi fini, dorati scendono lungo la schiena della madre che assume una posizione di assoluto dominio della posizione materna, equilibrata e disposta in asse con il nodo del tronco in basso. Passato l'inverno, il senso della morte angosciante, ritorna la vita con la primavera, con la luce più calda e chiara. La betulla, albero tipico dell' Engadina, le cui valli montane erano ben note al pittore, è nel folcklore teutonico un simbolo di maternità e di protezione, con il suo legno nelle valli del nord italia e del Tirolo s costruivano le culle per i bambini perché si pensava che la corteccia avesse un potere magico in grado di scacciare gli spiriti maligni. In questa opera, la tecnica del divisionismo, cioè della giustapposizione di filamenti sottili di colori puri, viene ad assumere caratteristiche diverse, in quanto la linee sono meno sottili e più marcate. Se guardiamo il suolo sotto il tronco, le linee sono anche ondulate e contorte, con un colore multiplo, sabbia, grigio,seppia,marrone chiaro. Allo stesso modo si ispessiscono le linee che seguono i piegamenti del manto bianco della madre-angelo: il pittore gioca con i viraggi del bianco, che vanno dal bianco argento al bianco latte, al bianco luce, al bianco azzurrino, se ne serve per sviluppare tutta una forma di pieghettature alla base del ventre gonfio della madre e dunque per metterlo meglio in rilievo concentrando su di esso il massimo della luminosità. Il bianco, colore di purezza virginale, che rimanda al sacro femmineo della Vergine, finisce per unirsi, confondersi col cielo, con la massa delle nubi chiare. Proprio la luce come vita e come vitalità è il centro dell'interesse divisionista del pittore, egli qui è più attento al fluire fluettante di masse di luce-colore che si svolgono sulla figura in primo piano e che si uniscono all'ambiente circostante. Il meglio di questa tecnica applicata dal pittore alle immagini di figure con paesaggio è ancora di un tema legato alla maternità, Ne Le due madri , infatti, tutta la natura e con essa ed in rapporto ad essa che le figure umane ed animali, sono attraversate da queste linee ispessite, ingrossate, da queste matasse che si svolgono sul terreno, da questa unione di fili colorati che muovono e sconvolgono la natura, come muovono e sconvolgo l'animo umano.


                                  Giovanni Segantini, Le due madri, 1899-1900, Kunstmuseum di Chur

Le due figure accoppiate ( la madre ed il bambino; la pecora e l'agnello ), sono disposte a destra del dipinto e sono unite in una simbiosi, appunto di singola coppia : la madre e il bambino, la pecora-madre e l'agnello. Se ben guardiamo la madre indossa una cuffia simile a quella del bambino e l'agnello e la pecora, molto vicini fra di loro, assumono la stessa posizione. Il pittore qui dipinge a linee di colore accostate ( a matassa ) tanto i rilievi, quanto il muretto della strada, la strada stessa, quanto, infine, la madre e le due pecore. Vi è dunque un rapporto molto stretto fra le linee colorate e le figure; la composizione avviene proprio grazie alla giustapposizione di queste linee che animano la scena, la rendono mossa e coinvolgente. Sulla stessa linea è l'Amore alle fonti della Vita ( opera conosciuta anche come La Fontana della Giovinezza ). Qui la linea ondulante e serpentinata che sviluppa un discorso del colore mosso, del colore-vibrazione, è caratterizzata da aspetti cromatici primaverili ( il verde, il bruno, il bianco, l'azzurro ) che sviluppano tanto le figure umane o con immaginario umano ( i due giovani amanti e l'angelo ), in una sorta di amalgama filamentoso. Al centro della strada vediamo due giovani innamorati vestiti con abiti bianchi, virginali ( puri, che alludono anche alla purezza dei gigli ), stretti fra loro in un abbraccio tenero, giovanile; mentre posano i piedi nudi su di uno sterrato sconvolto dalle linee marroncine che si intrecciano fra loro, si seguono, si cercano, si sovrappongono, ad indicare un andamento nervoso, palpitante, espressione di un sentimento amoroso. Mentre i rossi rodoentri che vediamo dietro la coppia alludono al sentimento amoroso, unito ed eterno, gli zembri verdi, alludono alla speranza. Sulla sinistra, seduto ai piedi della fonte, è un angelo gigantesco, bianco, con grandi ali bianche, con un volto attento e uno sguardo quasi sospettoso rivolto verso i due giovani amanti che vede venire verso di lui. La fonte indica l'eterna giovinezza, alla quale l'angelo fa la guardia,




  
                       Giovanni Segantini, L'amore alla fonte della vita, 1896, Galleria d'Arte Moderna, Milano


La fontana della vita o della giovinezza, le cui sorgenti si credeva, nel Medioevo, che fossero localizzate nell'Eden, compare accanto all'angelo che la protegge con la sua grande ala. Verso di essa giungono i due giovani che sono a metà della strada. L'angelo li aspetta. I due giovani sembrano della stessa sostanza dell'angelo, bianchissimi loro, bianco l'angelo seduto, con una piccola capigliatura rossiccia e l'incarnato rosato delle braccia nude. La spiegazione al dipinto commissionato dal principe russo Jussopov, è dello stesso Segantini, che tiene a sottolineare l'importanza che nel dipinto assumono i colori filamentosi, il verde, il rossiccio, l'azzurrino, il bianco, L'atmosfera è dichiaratamente simbolista e vi è un netto scarto fra il paesaggio naturale, che è quello tradizionale dell' Engandina e le figure antropomorfe : il soprannaturale angelo e i due amanti che aspirano all'eternità del loro amore: queste figure sembrano del tutto estranee al paesaggio naturale, sembrano posticce, sovrapposte. Per quanto la composizione a sottili linee del divisionismo tendi ad amalgamare figure con paesaggio, non si ha lo stesso risultato del dipinto precedente, qui le figure sono stranianti, come se vi fossero senza esserci veramente se non come apparenze.
Per chiudere il discorso simbolista di Segantini attorno al tema dell'amore materno, dell'amore sentimentale come eternità, occorre sottolineare, attraverso un ulteriore dipinto, la raffigurazione della donna in sé, cioè svincolata dal suo essere madre ( cattiva o redenta che sia ) e amante. La figurazione di una donna nuda, china, che si specchia nelle acque di uno stagno, come figura allegorica della vanità. L'immagine riflessa nelle acque vede il sorgere di un serpente dalle forme mostruose, mitologico, come ammonimento.




                                   Giovanni Segantini, Vanità, 1897, Collezione privata, Milano


La donna si regge i fluenti capelli rossicci con una mano, mentre con l' altra si appoggia al muretto. Il serpente sbuca all'improvviso e la donna lo guarda stupita e impressionata. La tecnica divisionista qui gioca sul paesaggio naturale primaverile, con la fluente massa filamentosa dell'erba verde-giallino del fondo, mentre al centro del dipinto a fluire sono i capelli rossi della donna, ed in basso le linee azzurrine dell'acqua. L'intento è moralistico : la donna non può essere altro da ciò per la quale è destinata: la maternità, l'amore ( madre o amante ). L'allontanamento da questo destino non può che essere condannato. Il serpente ha una funzione diversa dall'immagine del teschio che nei dipinti seicenteschi era il memento che indicava la vanità delle cose terrene e l'eternità ed inevitabilità della morte: indica il pericolo; propone un alt, una meditazione, colpisce la stessa vanità libera e sfrontata della donna nuda. Ma di fatto la funzione è sempre quella dell'ammonimento, dell'intento moralistico, dell'attenzione verso le cose effimere. E' per questo che nella poetica simbolista di Segantini la donna è madre cattiva, redenta o buona ( ma sempre madre ), o amante giovane e vergine. Essa non può sfuggire al suo destino già segnato, non può sottrarsi all'essere donna come le regole del vivere moralistico borghese del pittore la vedono e la visualizzano. E ogni scarto e distanziamento da queste regole non può che essere punito dall'immaginario mitico e infernale. La donna di Segantini è un' Eva che non può vivere il suo Eden prima della consapevolezza del peccato, ma nemmeno la vita dopo che questo peccato si è manifestato; essa non ha nemmeno una vera corporeità. Il suo essere è quello incorporeo di un sogno, di un mito, di una proiezione inconscia, di un disperdersi nell'incubo del tradimento, della punizione, dell'espiazione, o di un fondersi nel piacere di una intima passione, di un perdersi nell'estasi di un affetto ritrovato o di un incamminarsi verso una felicità eterna alla fonte della giovinezza e della vita.

Bibliografia:

Giovanni Segantini su Wikipedia
Francesco Arcangeli, L'opera completa di Segantini, Milano, Rizzoli, 1973
Belli-Quinsac, Segantini, Dipinti e disegni, Milano, Skira, 1999
AA.VV. Giovanni Segantini, luce, colore, lontananza e infinito, Sondrio, 2003
Giovanni Segantini, Testo biografico, Trento, 1977
Karl Abraham, Giovanni Segantini: un saggio psicoanalitico, in Opere, vol 2, Milano, 1979
Patrizia Buffagni, Sogno e mito nell'opera di Giovanni Segantini, in www. Epa. Oszk.Hu    

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