giovedì 13 novembre 2014

la giungla in salotto




                                         

                                             LA GIUNGLA IN SALOTTO
    
                                         Henri Rousseau

                                            IL SOGNO




Henri Rousseau, Il sogno,  1910,  Museum  of Moderne Art, New York ( già coll. Rockfeller  )


" Su un divano 1830 è distesa una donna nuda. Tutt'intorno sorge una vegetazione tropicale abitata da scimmie e uccelli del paradiso mentre passano tranquilli un leone e una leonessa, un negro, figura misteriosa, suona il flauto. Dal dipinto scaturisce bellezza, non c'è dubbio. Credo proprio che quest'anno nessuno oserà ridere"
 Da una lettera di Guillaume Apollinaire a Rousseau del 14 marzo 1910.

"Questo fenomeno che voi chiamate pittura naive, non è altro che il sogno di un sogno, ricordatevelo. Allora perché non sognare?", Marcel Proust. 

La vita di Rousseau, il " Doganiere", come lo aveva soprannominato Jarry per via del suo lavoro al dazio prima di dedicarsi interamente alla pittura, non fu mai felice : vita di stenti, di difficoltà, soprattutto di incomprensioni critiche ; gli si rimproverava di non aver fatto alcuno studio di pittura, di mancanza di prospettiva e proporzionalità nelle sue opere, di colorismo eccessivo, innaturale, di ambientazioni favolistiche, irreali, false, puerili. I critici non lo avevano mai compreso sebbene importanti amici come Robert Delaunay, Guillaume Apolinaire e Pablo Picasso ne avessero lodato le capacità inventive. In genere, come lui stesso confessava, aveva provocato solo risa compiaciute, ironie, sfottò malcelati che lui faceva spesso finta di non capire. Una vita isolata, sorretta da una grande fantasia che gli permetteva di inventare straordinari paesaggi tropicali senza ma averne visto uno se non al Museo di Storia Naturale o alla grande Serra di Parigi. E' un po' come Salgari che descrive i paesaggi della Melanesia, senza esserci mai stato, solo con l'ausilio di libri di storia naturale e di atlanti. Solo alla fine della sua vita, poco prima di morire, dipinge quest grande quadro e lo invia al Salon ottenendone un lusinghiero successo. Era la sua aspirazione quella di poter dire di essere stato finalmente compreso. L' 11 marzo del 1910 scrive una lettera all'amico Apollinaire, soddisfatto per le prime testimonianze a suo favore:  " Ho mandato il mio grande quadro, tutti lo trovano bello. Penso che tu mostrerai il tuo talento letterario e mi vendicherai di tutti gli insulti e affronti ricevuti." . Nella lettera augura all'amico di essere finalmente anche lui compreso e gli lascia un messaggio di commiato, quello di vendicarsi, ma bonariamente, di tutte le umiliazioni subite. Nella lettera di risposta del poeta che leggiamo sopra, descrivendo il quadro viene messa in evidenza e in contrapposizione l'accoglienza del passato (l'ironia, le risate di scherno con l'evidenza di una indubitabile bellezza. ) . In un articolo successivo, commemorativo del pittore, Apollinaire pubblica i versi che il pittore aveva acclusi a commento del dipinto e che parlavano della modella, una sua amante polacca, alla quale aveva messo un nome esotico che compariva nello stesso dipinto sdraiata nuda su un divano 1830, in mezzo alla giungla tropicale:

         1 Yadwigha dans un beau rêve                           Yadwinga in un bel sonno si era addormentata.
2 S’étant endormie doucement                                     Dolcemente ascolta la musica suonata da un 
3 Entendait les sons d’une musette                                incantatore benpensante, mentre la luna
4 Dont jouait un charmeur bien pensant.                       riflette sui fiori, sugli alberi verdeggianti; le
5 Pendant que la lune reflète                                         belve, i serpenti, prestano l'orecchio al
6 Sur les fleuves, les arbres verdoyants,                        suono gioioso del suo strumento.
7 Les fauves serpents prêtent l’oreille 
8 Aux airs gais de l’instrument          
  

Il sogno del dipinto è il sogno della modella, un sogno fantasioso, il desiderio di essere altrove, di proiettarsi in un altro luogo, un paradiso terrestre dove essere un'Eva libera e avvolta dall'abbraccio della natura lussureggiante, madre viva e calda. Da nessuna parte Rousseau avrebbe mai potuto vedere una natura così, nemmeno illustrata su un libro di favole, né certo nella Serra di Parigi o al Museo di Storia naturale. Quella natura è la natura che vive nella mente, è la proiezione di un sogno femminile, di un desiderio di libertà e di amore sensuale. La posizione che Yadwingha assume è ben nota, è quella che vediamo nell' Olympia di Manet, realizzata nel 1863, anche la coppia donna nuda e personaggio di colore ( qui una serva là l'incantatore negro ) si ritrova in entrambi i dipinti. Ma in Manet la donna guarda lo spettatore e la serva guarda la donna, in Rousseau la donna ha lo sguardo rivolto di profilo a destra, disperso nella boscaglia, ma nella stessa zona dove è il serpente arancione che striscia in basso, mentre il negro guarda lo spettatore. L'intenzione di Rousseau è l'incantamento dello spettatore allo stesso modo di come il negro incantatore incanta col suono del suo strumento tutta la natura, mentre la donna che guarda nuda verso il serpente, non invita lo spettatore come Olympia, che si offre alla contemplazione e al desiderio, ma sembra scrutare ed indicare l'origine di questo incantamento sospeso e sognante: è come se si fosse svegliata in trance. La donna circondata dalla natura falso-tropicale, dall'atmosfera favolosa e incantata, richiama Eva nel Paradiso Terrestre. Rousseau aveva dipinto due figure di Eva, un'Eva bianca ed un' inquietante Eva nera. Guardiamo il primo dipinto, forse databile al 1905.


Rousseau il Doganiere: Eva riceve la mela
Henry Rousseau, Eva riceve la mela, 1904-5,  Kunsthalle, Amburg 
  
Se guardiamo i capelli di questa Eva in piedi e li mettiamo a confronto con quelli della donna sdraiata de Il sogno,notiamo un certo rapporto di somiglianza , allo stesso modo de Il sogno, malgrado la postura eretta della donna, la natura è molto più evidente, curata, ed espressa nella consistente varietà cromatica ( il viraggio del verde, che indica la vegetazione rigogliosa e perenne del locus amoenus, prevede ben più di 20 tonalità diverse che sovrapposte e giustapposte forniscono un senso di smarrimento incantato. Come il taglio di profilo della donna ne Il sogno è secco, legnoso, spigoloso, anche qui, dove meglio si vede ha le stesse caratteristiche; e come nel Il sogno lo sguardo della donna sembra essere disperso, lo è anche qui; vediamo anzi come Eva non fissa il serpente e come riceve la mela quasi automaticamente senza guardarlo. Il serpente ( principio maschile ), azzurro-rosa, attorcigliato attorno al fusto verde scuro con una mela arancione in bocca, sembra uscire dalla terra e precipitarsi  sulla mano aperta di Eva. Se inseriamo una direttrice diagonale che passi attraverso la testa de serpente e, magari, da suo occhio incattivito, vediamo come questa direttrice, passando per la mano, vada ad unirsi con la vulva di Eva, ad indicare, simbolicamente un collegamento con l'eros e il senso del peccato. Qui, insomma, è il serpente ad incattivirsi con Eva offrendoli la mela, mentre ne Il sogno la direttrice è orizzontale e il serpente arancione, che la donna non guarda ignorandolo, è quasi nascosto nella vegetazione; non se ne veda né il capo né la coda, ma solo il tubicino contorto del corpo. E' evidente che il richiamo all'episodio biblico ( la nudità della donna, il serpente, l'Eden ), presenta qui un valore semantico molto basso. C'è un'altro quadro di Rousseau che possiamo collegare a Il sogno. Si tratta dell'incantatrice di serpenti. Il dipinto venne commissionato al Doganiere dalla madre del pittore impressionista suo amico Robert Delaunay che era appena tornata dalle Indie.




Henry Rousseau, L' incantatrice di serpenti, 1907, Musée d'Orsay, Paris.


Qui l'incanto di questa natura favolosa, rappresentata al chiaro di luna, con i suoi contrasti di luce-ombra, è veramente straordinario. Eva, completamene in ombra ( se ne vedono solo gli occhi accesi ed inquietanti ), suona un flauto traverso incantando i serpenti, anche loro neri, che si sollevano da terra, spuntano dagli alberi, si attorcigliano, addirittura, attorno al collo dell'incantatrice. Eva non subisce la presenza del serpente tentatore, non viene incantata da lui, ma è lei che incanta i serpenti. Il colore scuro che unisce Eva ai serpenti è il colore del peccato, del male. Qui non sono mele, qui basta il richiamo essenziale: la donna, i serpenti. Il suono incantatore paralizza la stessa natura. Tutto sembra immobile ( tranne le leggere increspature sull'acqua ), tutto sembra in silenzio ed in ascolto. A sinistra un uccello del paradiso rosa col becco giallo che è pura invenzione di Rousseau : lo ricopiò da un libro illustrato con storie di fate per bambini. Un rosa straordinario che forma una macchia di colore morbida, strana, imprevedibile. La natura è curata in in modo veramente meticoloso, dipingendo foglia per foglia, stelo d'erba per stelo e giustapponendo le tonalità di colori dove il verde e le sua varietà cromatiche è dominante. Guardiamo l'incantatrice : è in piedi e rivolta verso lo spettatore, essa vorrebbe incantare anche noi che guardiamo il dipinto. Anche ne Il sogno il suonatore negro ha il compito di suonare una musica che incanta; anche qui siamo al chiaro di luna, siamo nella notte, che è principio femminile dominante. Qui la donna, illuminata dalla suggestiva luce lunare, non è molto a suo agio nella flora e nella fauna che la circonda. Ma il divano, sul quale ella si è addormentata per il suo viaggio onirico elemento logicamente estraneo, non viene respinto dalla vegetazione incantata, ma quasi assorbito in essa. La donna è entrata nel suo sogno, lo sta vivendo, smarrita, turbata. Il sogno della foresta è un'immagine onirica che rimanda alla ricerca, alla scoperta, del sé. E' un desiderio di fuga dalla solitudine, dall'abbandono, dal panico. Ma non è tanto il sogno di Yadwingha, è il sogno di Rousseau stesso e delle sue paure, della claustrofobia, dell'angoscia e della solitudine. Guardiamo la parte centrale del dipinto, cioè la parte che sta fra la donna nuda sdraiata a sinistra e il serpente arancione a destra, fra il femminile e il maschile : se figurativamente è la parte che bilancia gli opposti attraverso un triangolo equilatero  disposto di lato di fronte alla donna, che ha i due vertici in basso sul leone e la leonessa e il vertice in alto sul suonatore negro, è anche la parte che esalta e rafforza l'elemento femminile. Il suonatore negro ha un gonnellino con strisce marroni, rosse e gialle orizzontali sovrapposte: è un indumento femminile senza che, necessariamente, chi suona il flauto possa essere una donna, anzi sembra propriamente una figura maschile; anche il leone ( al di là del fatto che vi sia una leonessa ) ha un richiamo all'elemento femminile; infatti la simbologia dell'animale, nella civiltà egizia, greca e induista è associata alla femminilità. Sono infatti le dee ad essere rappresentate con questo simbolo, così in Egitto la dea Sekhnet ha la testa di leonessa; Ecate, nella mitologia greca è raffigurata con una testa leonessa, una di giumenta e una di cagna ( animali tutti femminili ). La leonessa, inoltre, è l'animale sacro alla dea-madre che simbolicamente indica la maternità e la sensualità; mentre il leone indica la forza, il coraggio e la regalità. Insomma il triangolo centrale è i triangolo simbolico della femminilità e il suono del flauto è un richiamo alla naturalezza selvaggia e libera di questa femminilità.

             Qui la donna, illuminata dalla suggestiva luce lunare, non è molto a suo agio nella flora e nella fauna che la circonda. Ma il divano, sul quale ella si è addormentata per il suo viaggio onirico elemento logicamente estraneo, non viene respinto dalla vegetazione incantata, ma quasi assorbito in essa. La donna è entrata nel suo sogno, lo sta vivendo, smarrita, turbata. Il sogno della foresta è un'immagine onirica che rimanda alla ricerca, alla scoperta, del sé. E' un desiderio di fuga dalla solitudine, dall'abbandono, dal panico. Ma non è tanto il sogno di Yadwingha, è il sogno di Rousseau stesso e delle sue paure, della claustrofobia, dell'angoscia e della solitudine. Guardiamo la parte centrale del dipinto, cioè la parte che sta fra la donna nuda sdraiata a sinistra e il serpente arancione a destra, fra il femminile e il maschile : se figurativamente è la parte che bilancia gli opposti attraverso un triangolo equilatero  disposto di lato di fronte alla donna, che ha i due vertici in basso sul leone e la leonessa e il vertice in alto sul suonatore negro, è anche la parte che esalta e rafforza l'elemento femminile. Il suonatore negro ha un gonnellino con strisce marroni, rosse e gialle orizzontali sovrapposte: è un indumento femminile senza che, necessariamente, chi suona il flauto possa essere una donna, anzi sembra propriamente una figura maschile; anche il leone ( al di là del fatto che vi sia una leonessa ) ha un richiamo all'elemento femminile; infatti la simbologia dell'animale, nella civiltà egizia, greca e induista è associata alla femminilità. Sono infatti le dee ad essere rappresentate con questo simbolo, così in Egitto la dea Sekhnet ha la testa di leonessa; Ecate, nella mitologia greca è raffigurata con una testa leonessa, una di giumenta e una di cagna ( animali tutti femminili ). La leonessa, inoltre, è l'animale sacro alla dea-madre che simbolicamente indica la maternità e la sensualità; mentre il leone indica la forza, il coraggio e la regalità. Insomma il triangolo centrale è i triangolo simbolico della femminilità e il suono del flauto è un richiamo alla naturalezza selvaggia, istintuale e libera di questa femminilità. 

                                                Particolare della parte centrale del dipinto " Il sogno " di Henry Rousseau

Guardiamo bene gli occhi aperti e allucinati degli animali e del negro : questo e il leone ci guardano, la leonessa è più rivolta verso la donna, ma non la guarda. Qui si sogna ad occhi aperti, anche la donna sogna allo stesso modo nel dipinto. Oltre alla impressionante visionarietà cromatica, la cura così meticolosa nel realizzare questi grandi fiori colorati ci porta addirittura ad immaginane l'odore dalle proprietà narcotizzanti e allucinatorie, come se si trattasse di grandi papaveri del sonno. Guardiamo ora a sinistra, dov'è la donna. La curva dell'anca e quella del polpaccio sono ripetute dalla voluta del divano; i fiori, con il loro viraggio cromatico dal celeste, all'azzurro, all'indaco, insieme al grigio e al rosa pallido, circondano la donna che è come una regina su un trono; sul fondo, fra gli alberi una fiabesca sagoma grigia di elefante e poi uccelli variopinti. La luce sgorga dal basso, misteriosa, strana, come se venisse su di riflesso dopo essere stata depositata e sparsa dalla luna. Illumina la donna di un velo morbido e caldo che esalta il suo incarnato, la sua sensualità; poi la luce si sparge attorno a lei, penetra fra  rami, fra il fogliame, esalta i colori nel suo flusso ascendente, sollecita il desiderio. Nel dipinto tutto sembra immobile, esseri umani, animali, vegetali; c'è quasi una paralisi generalizzata che segna un momento interminabile e irreale, uno spazio che non c'è, popolato di una vita da fiaba, d un immaginario infantile, spontaneo e primitivo ( il termine tecnico è naif ), dove tutto è armonia, pace, serenità e allora il suonatore negro ha il compito di suscitarla e di sottolinearla questa armonia anche al fruitore che guarda ammaliato, smarrito, ammirato.
            Poco dopo, a cinquantasei anni, il pittore rifiutato, deriso, beffato dai suoi stessi amici, moriva prendendosi una grande rivincita: ora tutti, dopo aver visto Il sogno, lo esaltavano come il portatore di un'aria nuova e fresca. Breton lo vide come un anticipatore del surrealismo e notava come il dipinto forniva uno straordinario sentimento del sacro e che un giorno lo avrebbero portato in processione per le strade come la Vergine di Cimabue.

Bibliografia:

Giovanni Artieri, L'opera completa di Rousseau il Doganiere, Rizzoli, Milano, 1966
Maurizia Tazantes, Rousseau il doganiere, Art e Dossier, Firenze, Giunti, 1994.
Cornelia Stabenow, Henry Rousseau, Tasche, berlin, 1992.

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